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LA ZONA DI INTERESSE

Purtroppo non ho visto questo film nelle condizioni migliori perché ero troppo lontana dallo schermo e questo mi ha impedito, a volte, di riconoscere i volti e cogliere alcuni aspetti del film.
Tuttavia, penso che fosse intenzione del regista dare una visione d’insieme e non soffermarsi sulla psicologia dei singoli personaggi, quasi a sottolineare più la patologia del sistema familiare e sociale nel suo complesso.
Una patologia caratterizzata da profondi meccanismi psicologici di difesa dall'angoscia basati sulla scissione e negazione della realtà, funzionali al mantenimento di un certo tenore di vita e del quieto vivere di questa famiglia e della comunità nel suo insieme.
Uniche eccezioni la ragazzina che nascondeva le mele nei campi di lavoro degli internati e la suocera che ad un certo punto sparisce, avendo forse intuito cosa accadeva all’interno di Auschwitz.
Pur nella nebulosità di questo film (alcuni passaggi non erano immediatamente comprensibili), si coglie che la moglie sapeva cosa succedeva nel campo. E tutt'attorno, nel fiume, nell' aria, nelle grida, nelle ciminiere, nei lapilli, qualcosa sì poteva percepire di quello che avveniva al di là di quel muro.

Anche se il regista ci mostra che Hoss dorme con la luce accesa (forse per fugare i suoi incubi) e ha dei conati di vomito, prevale l'indifferenza di una comunità intera di fronte alla sofferenza e a quell'immane tragedia umana che è stato l'olocausto. E l'indifferenza, come afferma Antonio Gramsci in un suo noto saggio, è il peso morto della storia, qualcosa che opera passivamente ma potentemente nei destini dei popoli.

Mimosa

 

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Film intelligente e sofisticato. Anche troppo sofisticato. Asciutto, asettico, quasi “nazista” che necessita della successiva ricerca di informazioni per chiarire alcune parti. Il tema base è quello di denunciare l’indifferenza egoistica dell’uomo rispetto a drammatiche tragedie pur di garantirsi un benessere personale. Anche se non solo questo. Paradossalmente, con me, ha ottenuto invece l’effetto opposto di ignorare quello che succedeva al di la del muro. Credo anche per la scelta di tenerti lontano dai personaggi (disumani) senza nessun primissimo piano. Non mi ha preso, emozionato, al momento. Mi ha invece fatto pensare successivamente. Apprezzandolo.

Mi sono molto piaciute le scene in negativo presumibilmente girate con una telecamera termica (con qualche trucco artigianale come ad esempio scaldare le mele per farle risultare così luminose) perfezionate poi in post produzione. Affascinanti quelle immagini, che però hanno avuto bisogno della spiegazione degli animatori per una comprensione del loro significato.

Interessante e chiarificatore il successivo dibattito sul film.

 

Silente


PERFECT DAYS

Devo dire che dopo la visione di alcune giornate in cui le cose si ripetevano tali e quali, pur con qualche imprevisto, ho cominciato a provare un senso di irritazione e a chiedermi perché. In effetti, è come se fossi rimasta in attesa di un cambiamento che, di fatto, non avveniva mai.
Come dicevano Marco e Giulio, bisognerebbe entrare nella cultura orientale per comprendere, perché se dovessi usare la psicoanalisi dovrei appellarmi ad ipotetici sensi di colpa che non consentono di perseguire obiettivi di elevazione o riscatto sociale; o dire che una routine così assoluta è psicologicamente protettiva rispetto a tutta una serie di ansie o paure della vita o delle relazioni sociali o affettive.
Se invece utilizzassimo anche solo i criteri della pratica meditativa di derivazione buddista, come quello dell'accettazione, dell'amorevole gentilezza, del non giudicare o dello stare sul presente (tutte caratteristiche anche del protagonista), allora riusciremmo a vedere Hirayama e tutto il film sotto una luce culturale diversa, di minor stranezza ma soprattutto molto compassionevole e poetica.

 

Mimosa


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Un film fatto di niente ma con dentro tanto. Estremamente poetico e minimalista, che racconta di un uomo che ha trovato la serenità nella rassicurante routine quotidiana e nella ricerca della perfezione nel lavoro. Maniacale nel suo hobby da fotoamatore che ritrae lo stesso soggetto che però non è mai uguale perché cambia a seconda della luce, delle stagioni, dei momenti. Il formato 4/5, quasi quadrato, del film gli da un aspetto un po’ retrò. Anche un po’ documentaristico riguardo il paesaggio di Tokyo fatto di contrasti di una città caotica che si scontra con le azioni semplici del protagonista, come mangiare ogni giorno un tramezzino seduto nel parco.

Però è anche un film facilmente attaccabile per la sua lentezza e durata e per i pochi, a volte troppo semplici, colpi di scena. Se non ci si lascia affascinare dalla poesia delle piccole cose può risultare molto noioso.

Il finale è splendido. Il primo piano dell'attore che ha mille espressioni appena accennate è appunto da palma d’oro a Cannes. Sul suo volto si legge tutta una storia, è un volto che racconta. Devo dire però che già un film con George Cloney di qualche tempo fa aveva una stessa identica scena proprio nel finale, un primissimo piano del protagonista alla guida di un’­­auto e anche in quel caso la mimica appena accennata di Cloney era fantastica.

Silente


PALAZZINA LAF

Questo film, che ha avuto diversi riconoscimenti, ha il merito di aver portato a conoscenza del grande pubblico il primo caso di mobbing della giurisprudenza del lavoro italiana, quello dell'Ilva di Taranto degli anni Novanta.

Non avevo mai sentito parlare di questi "reparti lager" del sistema industriale essendomi sempre interessata del fenomeno del mobbing più da un punto di vista psicologico individuale assieme al fenomeno del bullismo sul versante scolastico.

Le conseguenze del mobbing sul piano psicologico individuale, trattandosi di una forma di violenza sottile prolungata nel tempo e di emarginazione progressiva nell’ambiente di lavoro, sono molto gravi poiché caratterizzate da forti sentimenti di mortificazione e depressione.
Nei ragazzi il bullismo (e cyberbullismo nella versione più attuale) interferisce molto negativamente con il processo di crescita portando spesso a un blocco dal punto di vista scolastico, talvolta anche al suicidio.

Nel film invece si capisce come persone adulte abbiano potuto reagire grazie alla messa in comune del proprio disagio, alla coscienza di classe e a quella stessa formazione sindacale che per la maggior parte di loro aveva portato all' emarginazione da parte del datore di lavoro.

Interessante è anche l'unica licenza rispetto alla veridicità della storia raccontata, la figura del protagonista Caterino che spicca per essere un personaggio meschino, senza nessuna coscienza politica e di appartenenza a quella che una volta si chiamava la classe operaia, e quindi facilmente manipolabile. Fino all'ultimo si spera in un suo ravvedimento, soprattutto a partire dal sogno-incubo in cui si immagina come Giuda che sfila in processione di fianco a Cristo, ma al processo, con le sue affermazioni, Caterino si rivela per quello che è e continua convintamente ad essere: una persona succube del padrone, convinta di aver fatto soltanto il proprio dovere, si potrebbe dire "la banalità del male" di arendtiana memoria (come mi pare sia emerso anche dal dibattito). Affermazioni che lasciano disarmati sia il pubblico ministero che i colleghi, a giudicare dalle loro scarse e allibite reazioni.

Ottime le interpretazioni di Riondino ma anche Germano, irriconoscibile, nel ruolo del cattivo.
Di grande impatto anche le musiche assordanti in certi momenti particolarmente pregnanti dal punto di vista emotivo.

Mimosa


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Il Mobbing è una forma di abuso esercitato da una persona o da più persone nei confronti di uno o più soggetti (Whikipedia). È una forma di molestia psicologica esercitata sul personale delle aziende, consistente nell’impedirgli di lavorare o nel porgli insopportabili costrizioni nello svolgimento del lavoro (Treccani). È un comportamento molesto verso un lavoratore, per emarginarlo e farlo sentire un intruso. Il verbo inglese to mob, significa infatti 'affollare, assalire' e rimanda all'immagine dello stormo di uccelli che si scaglia contro l'intruso (Accademia della Crusca).

Se ho capito bene quello dell’ILVA di Taranto è stato il primo caso acclarato di mobbing in Italia o perlomeno quello che per primo è stato definito tale. Forse per questo i dipendenti emarginati e il sindacato non sapevano bene come comportarsi, vedi il fallito tentativo di consegnare la lettera al vescovo. Una cosa che mi ha stupito del film è stata il fatto che nessuno si fosse accorto fino al processo che La Manna era una spia ma anche che poi fosse tornato a lavorare in fonderia. Comunque un bel film che ho rivisto volentieri. Potenti le musiche e ottimo il montaggio. Sempre bravo Elio Germano.

Anch’io ho subito il mobbing. A fine carriera iniziarono a passarmi dei lavori sempre meno impegnativi, alcuni persino elementari, o addirittura non me li passavano proprio. Ingenuamente la consideravo una cortesia nei miei confronti data l’età. Si trattava invece di mobbing, in quanto io ero ancora uno di quelli con uno stipendio alto e con tutte le garanzie contrattuali. Il tentativo era quindi quello di svalutarmi per spingermi ad una uscita anticipata per prendere al mio posto un paio di giovani, con la stessa spesa totale e con un contratto meno vincolante. Devo dire che il loro progetto non mi toccò e continuai nel mio “lavoro”. Pensai che fosse peggio per loro. Mi convinse solo una cospicua buona uscita.

Silente

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THE HOLDOVERS


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Più che un film ambientato negli anni ’70 mi è sembrato un film degli anni ’70. Con i suoi pregi e i suoi difetti. Il pregio di un film di quegli anni è di essere molto ben spiegato e ben realizzato, un film per niente faticoso. Il difetto è di essere prevedibile, un po’ troppo lungo e la strana sensazione di rivedere un film più che vederlo per la prima volta. Eccezionale la recitazione della nera Da’Vine Joy Randolph giustamente premiata con l’Oscar ma anche quella di Paul Giamatti, e di Dominic Sessa, anche se ho trovato un po’ azzardato far recitare un 22enne nel ruolo di un 17enne perché bisognava fare uno sforzo di autoconvincimento per vederlo di quell’età e apprezzarne la capacità recitativa. Comunque già a metà film ci si ritrova affezionati ai tre personaggi, che sono molto ben descritti, intimamente, tanto che sembra di conoscerli da sempre. Bello il soggetto che sembra tratto da un romanzo.

Il film mi ha riportato a quando all’età di otto anni durante le vacanze nella colonia estiva di Temù avevo fatto il bimestre ed ero stato l’unico a farlo. Mi sono riconosciuto nella sensazione di essere stato abbandonato dai genitori. Tra un mese e l’altro avevo passato alcuni giorni da solo in quella grande struttura, alla maniera del bambino di Shining che si aggira per i corridoi dell’Overlook Hotel ma per fortuna coccolato dalle cuoche e dalle “signorine” (come le chiamavano ai tempi) che attendevano come me l’arrivo degli altri bambini.

Silente