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TORNANO I "CAPOLAVORI ALLA MOVIOLA!"
DUE VERSIONI DELLO STESSO FILM E DELLO STESSO REGISTA!
ALFRED HITCHCOCK
"L'UOMO CHE SAPEVA TROPPO" (1934)
MARTEDI' 25 MARZO 2025 ore 21.00
"L'UOMO CHE SAPEVA TROPPO" (1956)
GIOVEDI' 27 MARZO 2025 ore 21.00
sala Van Gogh fino ad esaurimento posti
prenotazione obbligatoria prima delle proiezioni del Cineforum
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ANCORA UNA NOVITA' IN "CIAK SI VIAGGIA"
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Il gusto delle cose
da domenica 9 a venerdì 14 marzo2025
IL GUSTO DELLE COSE
regia di Anh Ung Tran
“Pentole, tegami, mani rapide che eseguono gesti precisi: la cura per il dettaglio è alla base di Il gusto delle cose (La passion de Dodin Bouffant). Il vietnamita Trần Anh Hùng, naturalizzato francese, Leone d’oro a Venezia con Cyclo ormai quasi trent’anni fa, costruisce una relazione sentimentale nella Francia di fine Ottocento con gli strumenti della cucina. Dodin (Benoît Magimel, in un ruolo degno della sua stazza) si muove tra i fornelli come un imperatore. Eugénie (Juliette Binoche) segue con abnegazione il suo ruolo da cuoca, forse amante, al servizio di sua maestà. Hùng compone il suo quadro quasi eliminando la trama, mostrando una relazione come una ricetta: gesti precisi, attenzione maniacale agli ingredienti, amore universale per quel che si crea. Dodin e Eugénie sono una coppia immaginaria, il loro rapporto è scandito da una liturgia destinata a solleticare il palato di altri. Le parole sono poche, sembrano istruzioni. La trama volutamente latita. Ma c’è qualcosa di ipnotico nella preparazione di piatti sempre più complessi, di pietanze sempre più elaborate. La macchina da presa di Hùng si muove sinuosa, sicura, pronta a cogliere ogni momento, ogni increspatura. Magimel e Binoche sottolineano con economia sentimentale un rapporto costruito nel suo farsi, saldato dalla realizzazione di ogni pietanza, solcato da una solidarietà afasica ma intensa. Il gusto delle cose si srotola come un menu, alterna i momenti di cucina a quelli di degustazione, assiste alle sentenze del cuoco geniale e le contrappone al piacere dei commensali. Al centro di questa famiglia, a suo modo disfunzionale, irrompe la piccola Pauline, nipote della padrona di casa, che mostra – per la sua età – un vivo interesse e un notevole palato. Il simulacro della famiglia si fonde con quello del talento, l’iniziazione culinaria si mescola con un affetto appena accennato. Il film usa il cibo come metafora smaccata di una forma di altruismo, di accudimento, di realizzazione personale; ma il suo incedere reiterato, il suo sguardo estatico sanno catturare un senso del cibo quasi mistico, mai legato a un piacere solamente terreno. È la perfezione che si cerca, la sintonia, l’equilibrio assoluto di un benessere sensoriale. Hùng accarezza i suoi attori immergendoli in una luce pittorica, restituisce odori e sapori attraverso un cinema tanto elegante quanto tattile, concreto. Il gusto delle cose è una variazione sul tema dell’amore romantico, colmo di tenerezza umana verso i suoi personaggi, incapaci di mostrare la loro affettività fino in fondo ma, sempre, dediti alla loro vocazione intesa come dono, come ricerca della perfezione, come misura del mondo. Parla di relazioni umane filtrate – montate come una salsa, passate e ripassate, soffritte – da uno sguardo perennemente umbratile, intriso di malinconia. Hùng firma un film labile, a tratti ondivago, ostentatamente ripetitivo, ma che sa mostrare, in maniera obliqua, una diversa e ostinata ricerca della felicità.”
Federico Pedroni, da cineforum.it
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The holdovers
da domenica 16 a venerdì 21 marzo2025
THE HOLDOVERS
regia di Alexander Payne
“Ostinati e diversamente inadeguati al mondo, Paul e Angus sono costretti a socializzare sotto lo sguardo paziente di Mary Lamb, cuoca della scuola che ha perso il suo unico figlio in Vietnam. Ma l'isolamento e il Natale accorceranno le distanze e li costringeranno a 'rompere le righe' e a 'mettersi in riga'. (…) Girato come un film degli anni Settanta, con quella grana speciale che non sembra mai finta o presa in prestito, è un racconto convenzionale ma inatteso quando parla di dolore e di privilegio, di abbandono e di fallimento, di trasmissione e della famiglia che ci scegliamo contro quella che ci impone la sorte. Paul Giamatti, attore di tutti i 'secondi piani,' coltiva l'arte dell'anonimato e rivendica ancora una volta un ruolo che gioca alla perfezione: valorizzare il partner. (…) Ode a 'chi rimane indietro', The Holdovers omaggia il cinema di Hal Asby, a cominciare dalla sua predilezione per gli antieroi e gli emarginati di ogni tipo, e presenta le caratteristiche formali di una produzione dell'epoca (il font dei titoli di testa, le dissolvenze incrociate, le zumate...). Ma non si tratta mai di un esercizio di stile, The Holdovers è più sottile e soprattutto più onesto. Sotto la superficie rétro, abbraccia temi atemporali (il conflitto generazionale, l'orrore della guerra, l'isolamento, il lutto, la depressione) e ci invita al viaggio. E noi partiamo, ridiamo, piangiamo, finiamo al tappeto e siamo felici.”
Marzia Gandolfi, da mymovies.it
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Il ragazzo e l'airone
da domenica 16 a venerdì 21 marzo2025
IL RAGAZZO E L'AIRONE
regia di Hayao Miyazaki
“Ognuno di noi ha ‘un Miyazaki’ del cuore, un’immagine nella testa, una scena, una replica o addirittura un universo dove convivono un gattobus e un pesce rosso umano, il tragico e il meraviglioso, l’ombra e la luce, in un equilibrio difficile ma necessario tra presente e passato, natura e civiltà. Perché l’utopia in Miyazaki fa sempre i conti con la realtà e con tutte le cose destinate a scomparire. Se è vero che il suo cinema è fatto di vento e tempeste, di bambini dal cuore potente e creature magiche (e ibride), la cui gioiosa petulanza ci fa abbandonare ogni razionalità, è altrettanto vero che l’isola di Miyazaki, dimensione infinita dell’infanzia, è la risacca di tutte le paure e le fascinazioni di quell’età. Nei suoi disegni ingannevolmente innocenti trasmette un condensato di tutte le impressioni di colori e forme che hanno segnato una stagione in cui l’immaginazione prevaleva ancora sulla vita. Ma sotto la furia di un’onda che ci fissa negli occhi, sotto la sua schiuma instabile, scopriamo sempre un nero insondabile e seducente che spazza via certezze e convenzioni, ‘alza il vento’ e solleva riflessioni filosofiche. Muovendosi dall’onirico al politico, i suoi film sono pietre vive che costruiscono un edificio di porte che si aprono e si chiudono su universi paralleli, di idrovolanti carichi di sogni e di bombe, di nuvole nere che si fermano e di nuvole bianche che corrono col buon vento, quello fa mulinare gli ombrellini delle fanciulle e volare i cappellini dei fanciulli. La chiave del mistero risiede tutta nel viaggio fantastico che le storie di Miyazaki dispiegano, offrendo a eroi ed eroine uno sguardo nuovo sul mondo. La matrice è sempre la stessa: l’emergere di un’alterità e il susseguirsi di eventi, qualche volta tragici, invitano i protagonisti a ri-calibrare la visione del proprio focolare (per l’autore è spesso un cerchio familiare rotto o incompleto). Nella crepa che spezza in due i suoi protagonisti e spacca in due i suoi film, Miyazaki precipita un altro bambino, che evolverà dentro immagini grandiose. Sulle note di Joe Hisaishi, compositore fedele dello Studio Ghibli, provoca di nuovo la collisione dei mondi che crea, due dimensioni che si scontrano o si disfano. Il ragazzo e l’airone non fa eccezione, segnando il ritorno all’orizzonte carrolliano de Il mio vicino Totoro o de La città incantata. (…) La mobilità dell’airone incarna la dinamica alla base dei migliori film del regista. Esemplare la sua prima (e sublime) apparizione, l’uccello emerge dalla profondità di campo e attraversa il quadro, rompendo con un frullo d’ali la fissità dell’inquadratura. Questo movimento rappresenta il principio di slittamento alla base del cinema fantastico di Miyazaki: la quiete del paesaggio rurale, che accoglie Mahito e rivela la quasi pietrificazione della sua nuova dimora, si riconfigura con l’arrivo di un animale mostruoso. Vero e proprio elemento di disturbo, attraversa il campo in diagonale, l’airone rompe la partizione binaria tra gli sfondi immobili delle immagini e i personaggi in movimento in primo piano. (…) Miyazaki enfatizza con la stessa cura il caos dell’incendio e i piccoli scricchiolii del legno sotto i passi attutiti di un bambino, il tumulto dell’incubo e il fruscio della realtà. L’emergere di un sogno o il chiudersi di una porta alimentano allo stesso modo la trama di una realtà a due teste che comunicano ed entrano progressivamente in contatto. Nel corso di una vertiginosa odissea in cui il protagonista attraversa una serie di soglie, livelli e portali, nella speranza di vedere la madre morta e di ritrovare la matrigna viva, Miyazaki mette in campo un immaginario ricco ed eterogeneo in cui rivisita i suoi film precedenti e rende omaggio alle sue influenze, mescolando stili e tecniche di animazione diversi e incrociando la strada di un bestiario straordinario che funge da guida per l’aldilà. Come Orfeo, Mahito attraversa il mondo dei morti e guida una narrazione ‘aperta ai quattro venti’ ma appoggiata sul desiderio dell’autore di perfezionare l’arte sottile dell’equilibrio fantastico e di consegnare ai posteri l’ambiziosa sintesi di un’opera monumentale. (…) Poeta grafico e architetto di mondi immaginari, Hayao Miyazaki esplora i temi che hanno nutrito la sua infanzia e incoraggia le generazioni future a impadronirsi del mondo, a organizzarlo a loro immagine e somiglianza. A patto che riescano a uscire dal labirinto iniziatico che il vecchio maestro ha costruito per loro…”
Marzia Gandolfi, da MYmovies.it
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