Titolo

le assaggiatrici

 

da domenica 12 a  venerdì 17 OTTOBRE 2025

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LE ASSAGGIATRICI

REGIA DI SILVIO SOLDINI

 

“Le assaggiatrici di Silvio Soldini, il film tratto dall’omonimo romanzo di Rosella Postorino che ha aperto il Bif&st, racchiude in sé tre storie, che si compenetrano per dare vita a un’opera solida, compatta, moderna nella classicità del suo stile e nella lentezza di una narrazione che si snoda a poco a poco, per aprirsi (al cuore, all’emozione, al dramma ma anche alla salvezza, l’unica possibile) nel bellissimo finale. La prima riguarda il potere. Il periodo considerato è quello della seconda guerra mondiale, più precisamente, per il film - che omette la coda relativa al dopoguerra -, il tempo compreso tra novembre 1943 e novembre 1944, e il luogo è Parcz, il paesino dell’allora Prussia Orientale in cui c’era (poco lontano, nella foresta) il quartier generale - e rifugio - di Hitler, la cosiddetta “tana del lupo”. Siamo quindi nel periodo del nazismo, prima vittorioso e poi, nella seconda parte del film, vicino alla sconfitta, e la vicenda di nazismo parla, trattando il tema delle giovani donne, dieci nel libro e sette nel film, che ogni giorno dovevano mangiare le pietanze preparate per Hitler prima dei suoi pasti, per assicurarsi che non fossero avvelenate; ma i meccanismi che svela sono quelli tipici del potere ed è, in questo caso, un potere che si esercita sulle donne, sul corpo delle donne. Anche al di là, appunto, del nazismo. In un modo paradossale, fornendo cibo a delle affamate mettendole costantemente a rischio della vita, come fosse una roulette russa. Non a caso Postorino apre il suo testo con due versi di Brecht: «Nel mondo l’uomo è vivo solo a un patto: / se può scordar che a guisa d’uomo è fatto».
Il secondo filo narrativo riguarda le donne, queste donne: inizialmente gruppo eterogeneo (…) sposate, vedove o nubili ma comunque senza presenze maschili al fianco, perché gli uomini sono al fronte; man mano gruppo compatto, sia a causa degli accadimenti esterni (nel luglio del ’44 c’è l’attentato al Führer e loro sono costrette a rimanere nel luogo in cui assaggiano i suoi pasti; nel novembre dello stesso anno si comincia a sgomberare il sito e questo porta ai fatti che si vedono nel finale) sia perché inevitabilmente scatta una solidarietà, prettamente femminile, che diventa in alcuni casi anche amicizia, e aiuto. Donne dal corpo vulnerabile (...) ma che hanno al contempo, proprio nel corpo, la loro arma più forte; donne di cui Soldini si è occupato spesso, nelle protagoniste di quasi tutto il suo cinema e nei rapporti
che intessevano tra loro e nel lavoro precedente a questo, il documentario Un altro domani (2023), che si occupava di violenza sulle donne.
E poi c’è la storia di un amore, anzi di due amori: quello tra Rosa, la protagonista, e il marito impegnato sul fronte russo e poi dato per disperso (...) e quello, nella seconda parte dell’opera, tra la protagonista e un tenente delle SS, Albert Ziegler. Un amore assurdo in quella situazione (come altri che Soldini ha raccontato), nato dal bisogno disperato di calore, di accoglienza, di contatto («È anche un film sugli istinti e le pulsioni umane, sulla tensione tra i bisogni primari di ognuno di noi e quelli secondari, condizionati dall’ambiente, dalla cultura e dal potere», ha dichiarato Soldini), che per Rosa, in particolare, nasce dal bisogno (di tutte loro, donne in quel momento sole e sofferenti) «di essere desiderate, perché il desiderio degli uomini ti fa esistere di più», come scrive Postorino; e per entrambi, e questo è l’aspetto più interessante, dal bisogno di contattare dentro di sé una parte pura, incontaminata, scevra dalle storture del mondo esterno, per poter dire, e dirsi, che nel mondo è ancora possibile, tra persone, volersi bene; provare dei sentimenti. (...) Il cast, a partire dagli attori (Elisa Schlott, Alma Hasun e Max Riemelt, ma anche Boris Aljinovic), è eccezionale: le musiche, usate per introdurre le situazioni sugli stacchi neri che scandiscono l’opera, sono di Mauro Pagani; montaggio, scenografia e trucco sono gestiti da collaboratori abituali del regista (Cristiani e Garini, Bizzarri, Sciaroni) mentre la fotografia è dello “splendido ottantenne” Renato Berta, che ha utilizzato i toni del grigio e dell’azzurro (un po’ come ha fatto Kričman per Vermiglio), nelle loro sfumature e variazioni, contrappuntandoli con il rosso, per creare un mondo chiuso e originale. Il film si svolge in un tempo, lo dicevamo, ma anche in un luogo che, nei pochi esterni, è freddo e innevato oppure tiepido ma sobrio, con alberi mossi dal vento che si intravedono e un laghetto in cui immergersi, nell’unico momento sereno che si vede vivere

Giulio Martini

domenica pomeriggio

 il lavoro a 14 mani (5 femmine+ 2 maschi) sulla trasposizione del libro femminista genera una serie di domande sulle donne tedesche che non sanno valutare i loro uomini "sbagliati',ma non sanno neppure  fare a meno di loro. Funziona  tutto,tranne la "love story" che alla fine non è plausibile.

Angelo Sabbadini

lunedì sera

Durante la proiezione di Le assaggiatrici ci si pone insistentemente una domanda: ”Dove si nasconde Silvio Soldini”? Nella messinscena anodina? Nella passione irrisolta tra Rosa Sauer e Albert Ziegler? Nelle corrive scelte di montaggio? Più la tragedia avanza, più l’interrogativo diventa ossessione: “Silvio, se ci sei batti un colpo!”. Poi subentra la desolazione, quella che accompagna le occasioni perdute. E non rimane che attendere lo stanco fermo immagine conclusivo. Di Soldini, neanche l’ombra. Verde 

Guglielmina Morelli

mercoledì sera

Da Soldini ci aspettiamo sempre un film originale, bei personaggi e storie interessanti. Questo film devo dire che mi ha lasciata molto perplessa: tutto un po’ scontato, dal carattere delle protagoniste allo sviluppo della vicenda (quella storia di amore è davvero fuori luogo), al décor, alle musiche. Qualche tratto certo si salva: alcune attrici sono degne della migliore tradizione tedesca e, seppur nella genericità della storia, il tentativo di definire percorsi di amicizia e sostegno reciproco è costruito con cura. Però da Soldini ci aspettiamo di più!!!

Giorgio Brambilla

venerdì sera

Silvio Soldini ci conduce all’interno dell’orrore nazista da una porta laterale, com’è ormai la norma in molti film sul nazismo o la Shoha, che non mostrano più i massacri delle vittime, ma episodi o figure per così dire collaterali . L’oppressione dell’uomo sull’uomo - o meglio sulla donna, soggetto preferito del Nostro – viene qui denunciata attraverso l’analisi di un microcosmo molto particolare, sette donne tedesche chiamate all’onore e privilegio di condividere i pasti del Führer in un momento in cui in Germania quasi si muore di fame, ma anche a rischiare così facendo la vita. In questo mondo chiuso ermeticamente, nel quale entrano solo gli echi della Storia, la pressione scatena una gran varietà di sentimenti umani: ognuno segue la propria indole, le proprie pulsioni anche primitive, nonostante quello che la ragione o la morale imporrebbero. Attrazione e repulsione, solidarietà e tradimento convivono negli stessi personaggi, rendendoli sfaccettati e contraddittori, e quindi particolarmente interessanti ed esemplari di come la nostra umanità possa reagire se sottoposta a prove di questa portata. La macchina da presa sta quindi loro addosso, quasi a cercare di penetrarne l’animo, per restituirceli in tutta la loro complessità, evitando schematismi e manicheismi riduttivi (

Marco Massara

Jolly

L’idea di base è molto interessante; nel cinema tutto ciò che è nelle vicinanze del Fuhrer accende particolare interesse. Lo sviluppo però si incanala su situazioni ogni tanto un po’ scontate e prevedibili, se non accatastate a voler dilatare la narrazione, mentre sarebbe stato più efficace un approfondimento delle relazioni tra le assaggiatrici.

Manca in sostanza una ‘marca autoriale’ di regia che dinamizzi il ritmo della narrazione spesso monotono.. E questa mancanza è sorprendente proprio in Soldini che i gradi da autore se li era meritati più volte. Forse lavorare con un cast “alles Deutch” lo ha un po’ condizionato.

Un racconto molto particolare, che, pur trattando per l'ennesima volta dei mali del nazismo, apre una finestra su un episodio sconosciuto .

Molto interessante come è affrontata la vicenda, con donne che pian piano fraternizzano fra loro, unite dal sopruso che stanno subendo. I quadri di vita quotidiana in gruppo sono veramente poetici, in contrasto con la violenza con cui sono trattate ogni giorno.
Bello nel complesso e decisamente da vedere. 
 
Maria Cristina Cinquemani
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