Vermiglio
da domenica 18 a venerdì 23 maggio 2025
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VERMIGLIO
regia di Maura Delpero
Quelli che tornano dalla guerra hanno i segreti”, si sussurra a Vermiglio, ultimo comune della Val di Sole in Trentino, una storica terra di confine. Siamo nell’inverno del 1944, gli ultimi fuochi della Seconda Guerra Mondiale si avvertono come echi lontani (nelle notizie sui giornali) e come sospiri vicini (nella speranza del ritorno dei propri cari dal fronte). La crisi economica, l’instabilità politica, il nuovo ruolo femminile nella sfera pubblica e gli antichi tabù culturali… Vermiglio è un microcosmo sentimentale che rappresenta l’Italia alla vigilia del suo anno zero. Cosa accade? Un giovane soldato siciliano, probabilmente un disertore, si rifugia sulle montagne limitrofe: Pietro è un ospite inatteso che il villaggio accoglie e guarda con sospetto, tra pregiudizi e nuovi affetti. A Vermiglio, infatti, vive un integerrimo maestro elementare (Tommaso Ragno, perfettamente in parte) che ama Chopin e la terra da coltivare, le arti e la natura. È un uomo severo, a tratti autoritario, ma mai tirannico nel rapporto con le sue tre figlie che allegorizzano tre anime dell’Italia che verrà: Lucia siavvicina pian piano a Pietro sposandolo; Ada vorrebbe continuare a studiare ma è destinata a soffocare desideri e aspirazioni; la più piccola, Flavia, è l’erede designata delle aspirazioni sociali del padre ma avverte tutto il peso della responsabilità. La guerra è finita: Pietro può ora tornare in Sicilia per regolarizzare la sua situazione ma questo evento, paradossalmente, romperà la pace del villaggio.
È un film affascinante e ipnotico Vermiglio, costruito su costanti ellissi narrative nelle quali gli eventi accadono spesso in fuori campo, lasciando a noi spettatori la condivisione delle conseguenze umane. Il dramma si insinua silenzioso nella quotidianità, nel fluire della vita e delle stagioni, come correlativo oggettivo di una difficoltà a far collimare l’azione al sentimento. Pensiamo al bellissimo personaggio di Ada e alla sua ricerca identitaria posta sullo sfondo di una tragedia collettiva (la guerra) e di una tragedia privata (il destino della sorella Lucia incinta) che reclamano il primo piano. Eppure Ada è capace di generare emozioni e riflessioni “contemporanee” confinate in una manciata di scene rubate alle linee d’azione principali. (...) Certo, il film sconta qualche schematismo nella definizione dei suoi caratteri e qualche semplificazione narrativa nel comprensibile timore di mettere in chiaro i tanti fronti delle riflessioni contemporanee (la guerra, la maternità, la condizione femminile, l’orientamento sessuale, ecc). C’è tanto altro, però. Perché Delpero continua a fidarsi delle proprie inquadrature aprendole a una moltitudine di significanze possibili, quindi concedendoci il giusto tempo di lettura. Questo è un film che crede ancora nella potenza dei luoghi e dei volti come tramite per andare oltre le storie contingenti, inscrivendosi in una tradizione di cinema italiano che fa dell’etica della forma la sua intima riflessione umanista. Insomma, Vermiglio è un film sincero e onesto con il suo spettatore confermando in Maura
Delpero uno sguardo registico personale e consapevole che arricchisce il panorama del cinema italiano contemporaneo.
Leone d’argento. Gran Premio della Giuria all’81° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia
Da www.sentieriselvaggi.it
“Nel 2019 un piccolo, compatto e struggente film d'esordio conobbe la rara fortuna di ottenere un Premio a Locarno, due candidature come opera prima ai David e ai Nastri d'Argento e una lusinghiera circolazione per Festival Internazionali e distribuzioni varie. Si intitola(va) Maternal, con regia della bolzanina Maura Delpero. Analoga profondità di temi e medesima pulizia di tocco si colgono ora in Vermiglio (è il nome del paese, in provincia di Trento, ma è anche il luogo dell'anima della regista a cui si aggiungono inevitabilmente le suggestioni del nome), ben scelto per partecipare in Concorso alla Mostra del Cinema. “Lessico familiare”, lo ha definito l'autrice, mescolando finzione ed evocazione autobiografica. Un anno, l'ultimo fatidico della Seconda guerra mondiale, a scorrere le quattro stagioni di questo paese/comunità abbarbicato sui monti, in cui domina con pacata autorevolezza sussiegosa la figura del maestro elementare, padre di 10 figli (tra quelli che ce l'hanno fatta a crescere e quelli no) e che ospita in malga anche un disertore siciliano in attesa del mutare degli eventi. Tra rispetto e ritrosia dei tanti verso il forestiero, tra questi e la primogenita (Martina Scrinzi) nascerà una passione elementare e inarrestabile che avrà conseguenze radicali. (...) Musica popolare, cultura montanara, dialetto, tragedie rusticane, il monachesimo come scelta di ribellione e libertà, la maternità come conseguenza naturale, accettata e indiscutibile, con una cadenza che si tiene distante dai ritmi del cinema più commerciale: Vermiglio è, per usare le parole della lucidissima autrice, innanzitutto “un paesaggio dell'anima”, cui accostarsi con rispetto e ammirata stima
Da www.cineforum.it
“Maura Delpero, brava, bravissima. Dopo il pluripremiato Maternal (2019), si volge - e senza deflettere dal femminile, e dal (pluri)materno - al padre, il proprio, rintracciando nel vissuto avito un piccolo mondo antico e le improntitudini dell'oggi, ovvero dell’universale umano. Una sorta di Paternal, mai però paternalistico, istruito dalla morte – e dal sogno di lui bambino nella casa di famiglia – del padre ed elevato a poema esistenziale, mai condannato all’antropologico o al naturalistico, per quanto entrambi contemplati con rigore filologico.
L'albero degli zoccoli, apparentava il direttore della 81 Mostra Alberto Barbera nel presentare questo Vermiglio, ma c'è anche, accanto alla finesse dei bambini e adolescenti di Doillon e Philibert, un esprit de geometrie da Haneke, ossia una coreografia stilistica e morale parimenti del consesso. Modera e insieme smobilita, Delpero, asseverando un cinema-cinema, anche laddove l'immagine sembra desistere dall'imperativo formale - e il dialogo preponderare.”
Da www.cinematografo.it
“Fin dalle sue prime inquadrature, Vermiglio – secondo film di Maura Delpero e vera sorpresa dell’ultimo Festival di Venezia (Gran Premio della Giuria) – ci trascina immediatamente in un immaginario primordiale: vediamo mungere una mucca e quel latte diventare nutrimento per una famiglia. Un gesto semplice e naturale che però ha già dentro di sé una dinamica di rapporto sociale ben precisa: un ruolo predeterminato (quello della mucca allevata), uno sfruttamento di un corpo (la sua mungitura), il beneficio che ne trae la comunità (la famiglia). Un primo indizio, restituito attraverso le sembianze di un quadro fiammingo del ’700, di quello che ci aspetterà per tutto il resto del film. Una storia di ruoli, di
sacrifici e di immolazioni, una narrazione sul dolore per i desideri negati, ma anche sulla necessità di riconoscerli e tenerli vivi, almeno dentro di sé.
Un racconto, insomma, in equilibrio, quasi ai confini dell’umanità e delle sue anime. E non è un caso che Vermiglio, il luogo (o non luogo) sulla montagna del Trentino dove è ambientata la pellicola, sia un borgo che fino al 1918 è stato “ai confini del Regno”, crocevia tra il territorio austro-ungarico e quello italiano. (...) In questo affresco familiare c’è l’Olmi de L’Albero degli Zoccoli (quasi omaggiato), c’è il Giorgio Diritti delle comunità montane, ma c’è anche uno sguardo più contemporaneo e per certi versi anche più politico, che ricorda il cinema di Kelly Reichardt, non solo quello ginocentrico ma anche le sue opere più recenti come First Cow, in cui l’arcaicità del periodo e l’essenzialità della messa in scena sono un filtro per indagare le origini sociali e culturali (del capitalismo per Reichardt, dei rapporti di genere per Delpero). È in questo impianto brulicante di vita brada che Delpero dimostra una capacità fuori dal comune di unire i ritratti dei suoi personaggi, sempre senza un centro propulsore o una gerarchia di eventi, ma dando priorità a una narrazione che si distende in orizzontale, evocando una varietà di microcosmi diversi senza mai risolverli completamente. Al contrario: conferendo un carattere di infinitezza che contrasta con i limiti di un contesto chiuso e ostaggio del proprio tempo.
Ad alimentare questa narrativa è soprattutto un’estetica asciutta, rarefatta, con i freddi toni grigio-bluastri ad accentuare un senso di fatalità: una fatalità che rispecchia sì l’arbitrio della natura circostante (le montagne come prigione dei corpi), ma anche quel mondo sociale ineluttabile, che opprime, che sentenzia, che moraleggia, che insomma rende ostaggi della propria esistenza una serie di personaggi – tutti femminili – testimoni di una genesi fatta di desideri e sacrifici. In un equilibrio continuo e costante che non permette liberazioni, che non consente scelte di vita diverse da quelle predestinate dalla società patriarcale, che permette solo rinunce ai propri sogni e alle proprie ambizioni. Del resto, il vermiglio, inteso non come luogo ma come colore, quello che simboleggia la passione o, se vogliamo, la voglia stessa di passione, non appare mai: è piuttosto la cromia di uno stato d’animo interiore delle tre sorelle, capaci di affrontare con una certa incrollabilità quegli eventi che le travolgono o che semplicemente le standardizzano a una forma sociale predeterminata.
Qui il discorso di Delpero si fa appunto sociologico, ma non si limita a uno sguardo didascalico: si sofferma sui volti e sui dettagli dei luoghi, calcola il minutaggio delle inquadrature per renderle quadri espressivi, fa dialogare campo e fuori campo aprendo all’immaginare più che al raccontare. Insomma: se la semplicità della storia e qualche stereotipo di troppo (soprattutto nell’ultimo atto) rendono Vermiglio un film apparentemente innocuo, è invece lo sguardo autoriale della sua regista che fa implodere l’indagine di quel mondo oltre a quello che vediamo. E allora la guerra, l’immigrazione, la maternità, la condizione femminile, l’orientamento sessuale diventano particelle che risaltano in un flusso inesorabile (di stagioni, di generazioni, di luoghi), e l’evocazione della loro presenza non passa da una centralità dell’azione (che è sempre repressa o messa in secondo piano), ma la percepiamo come sentimento diffuso che vibra di un suo particolare calore. Ogni vita, sembra dirci Delpero, nonostante i contesti e le condizioni sociali, anche nel più sperduto degli spazi e delle epoche, ha una sua tensione, una sua identità, un suo modo per vivere il proprio tempo senza accettare di essere compressa dalle leggi degli uomini.
Raramente, dunque, la destrutturazione per immagini di una storia quasi essenziale restituisce così tanti significati quanti ne riesce a trasmettere Maura Delpero con la sua consapevolezza del mezzo cinematografico. Vermiglio è un ritorno inaspettato e potente alla tradizione più espressiva del neorealismo italiano ma anche una sua attualizzazione necessaria, che proietta la sua autrice in una posizione quasi unica nel panorama del nostro
cinema (che ha scelto proprio lei per rappresentare l’Italia ai prossimi premi Oscar). In un’epoca in cui non c’è bisogno tanto di ulteriori storie da raccontare quanto di (nuovi) sguardi e (vecchie) memorie, Delpero dimostra di avere entrambe le cose: e il materiale di Vermiglio testimonia quanta bellezza si può generare quando si è capaci di farle dialogare insieme.”
Giulio Martini Domenica pomeriggio |
rilettura affettuosa e acculturata ( Carducci,Pascoli Mercantini
...Chopin Boccherini,Vivaldi...Segantini ...) che avvolge la cultura montanara e religiosa ( filastrocche,favole horror,canti e cori) della sua famiglia.
Un mondo patriarcale - forse quello del nonno paterno - messo a confronto con i disertori e i fedifraghi del Sud per scoprire impreviste consonanze e similitudini.
Nel film "argentino" precedente sveva messo a fuoco invece la figura materna.
Delicato,prezioso,intelligente.
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Angelo Sabbadini Lunedì sera |
Richiamandosi alla lezione formale di Ermanno Olmi, Maura Delpero chiude la stagione del Bazin attraverso un racconto in cui domina il rigore della composizione. Come ben sottolinea il pubblico in sala ad alimentare questa narrativa è soprattutto un’estetica asciutta, rarefatta, con i freddi toni grigio-bluastri ad accentuare un senso di fatalità. Una fatalità che rispecchia sì l’arbitrio della natura circostante ma anche un mondo sociale ineluttabile, che opprime e sentenzia. Conclusione degna per una convincente stagione di cinema che i visionari amano ripercorrere dichiarando apertamente le loro preferenze. E infine spazio ai saluti e agli arrivederci. |
Guglielmina Morelli Mercoledì sera |
Bel finale del nostro cineforum con Vermiglio film davvero interessante. Si riconosce un lavoro minuzioso sugli attori, gli spazi, gli oggetti, i luoghi, i dialoghi, la montagna e i suoi tempi; ma se la prima parte ha le tracce di un racconto “antropologico” (la festa di Santa Lucia, ad esempio), lentamente si svincola da modelli e percorre un suo itinerario, soprattutto nella definizione psicologica dei personaggi e delle relazioni che tra essi intercorrono. Qualche passaggio è troppo ellittico (il viaggio in Sicilia, per dire) ma nel complesso la storia regge è ben si comprende la perplessità con cui un film evidentemente ritenuto “troppo locale ma anche poco italiana” è stato accolto a Hollywood! |
Giulio Martini Venerdì sera |
GIULIO HA SOSTITUITO GIORGIO |
Marco Massara Jolly |
Francamente mi aspettavo di più. Non tanto sulla qualità di realizzazione, ambientazione e recitazione, ma sulle MOTIVAZIONI di una operazione del genere. Certo si riconosce il modo di far cinema di Olmi e anche Diritti, ma le loro opere avevano un impianto più strutturato ed il plot aveva momenti di alleggerimento che qui mancano e lasciano allo spettatore un senso di oppressione e incompiutezza. |
Da www.anonimacinefili.it