L'orchestra stonata
da domenica 11 a venerdì 16 maggio 2025
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L'ORCHESTRA STONATA
regia di Emmanuel Courcol
“Bisogna accettare le regole del gioco per potere apprezzare un film come L’orchestra
stonata . Il dover arrivare dove si vuole anche a costo di sacrificare il come. (...) Non bisogna
neppure fare chissà che sforzo d’immaginazione per individuare quale sia il lignaggio
dell’operazione: produce la Agat Films & Cie di Robert Guédiguian, la cui impronta
sentimentale e schiettamente proletaria è evidente in questo terzo lavoro da regista e
sceneggiatore dell’attore Emmanuel Courcol (specializzato in serialità televisiva).
Apprezzabile il fatto che l’ancoraggio emotivo dell’operazione affondi solo in minima parte
nel terreno sempre delicato del tema ospedaliero (l’esperienza della malattia di Thibaut,
molto sfumata) e sia invece affidato alla narrazione della famiglia, del che cosa significhi
averne una - di sangue e non - e di quale potere curativo sia capace nel combattere
sofferenze, insicurezze, solitudini (le vere malattie da curare).
E si comprende allora come il ritrovarsi, poi riperdersi e infine riconoscersi tra l’esponente
agiato di un élite culturale (Thibaut) e il figlio di un proletariato fiero se pure in dismissione
(Jimmy) sia l’espediente per celebrare un’auspicabile fratellanza di classe, che includa
intellettuali e operai lasciando fuori capitalisti e politici al soldo. Utopia amabilmente ingenua
come una commedia di Loach o una favola a lieto fine di Guédiguian. Autori a cui Courcol
guarda anche nella scelta di ambienti, volti e colori, con quella miscela di solare e ruspante
armonia che allevia ogni tensione e disinnesca con ironia i conflitti, che pure ci sono. (...)
Dicevamo dei volti. Il lavoro sul cast è indubbiamente una delle carte vincenti
dell’operazione: Benjamin Lavernhe, non lo scopriamo oggi, è un attore capace di portare a
ogni ruolo che interpreta un tatto, una delicatezza che conquistano. In lui si esalta
quell’attrazione della fragilità che pochi altri attori della sua generazione possono vantare.
Esattamente all’opposto Pierre Lottin, che ha la robustezza sana e l’acume dell’uomo del
popolo. Si dirà che anche fisicamente i due riproducono gli stereotipi dell’intellettuale
gracilino e dell’operaio sanguigno, ma non sono certo gli unici cliché di un film che lavora
proprio sugli hint e le rassicurazioni per un pubblico desideroso di uscire dalla visione
confortato più che provocato.”
Da cinematografo.it
“Non è la classica storia di famiglia su due fratelli che non si sono mai conosciuti. È invece la
musica che diventa l’elemento trainante del terzo lungometraggio diretto da Emmanuel
Courcol: classica, jazz, marce, la Sinfonia n. 3 di Mahler, il Bolero di Ravel. Non solo. Il
cineasta la mette in scena attraverso i corpi dei due protagonisti, interpretati da Benjamin
Lavernhe e Pierre Lottin, che diventano parte integrante di una partitura dove le dichiarate
tracce da melodramma sulla malattia restano sottotraccia per quasi tutta la durata del film.
Thibault, un celebre direttore d’orchestra, scopre di essere malato di leucemia e ha bisogno
del trapianto del midollo osseo. Sua sorella però non è compatibile. L’unico che può aiutarlo
è una persona che non ha mai visto. Si tratta di suo fratello di sangue, Jimmy, un operaio
che suona il trombone nella banda musicale.
Sono i suoni che danno il ritmo, fanno partire una scena (...) la musica è spesso al centro dei
discorsi: i due fratelli parlano del si bemolle in Miles Davis, trovano i primi momenti di
complicità con la copertina di un disco di Lee Morgan. In più c’è una danza trascinante sulle
note di Laissez-moi danser di Dalida.
Anche se L’orchestra stonata – presentato al 77° Festival di Cannes nella sezione Cannes
Première – sconta un certo didascalismo a livello di scrittura soprattutto nel rimarcare le
differenze tra i due protagonisti e una certa prevedibilità in alcune situazioni (il direttore
d’orchestra che lascia la banda), ha il merito di arrivare diretto e di affrontare in modo
efficace la crisi economica accennando alla condizione dei lavoratori della fabbrica dove
lavora Jimmy. In più è proprio la differenza di recitazione tra Lavernhe e Lottin che rende il
film più autentico e che lo fa crescere alla distanza.”
Da sentieri selvaggi.it
“L’orchestra stonata è un bel film, ed è un bel film come soltanto i film francesi (e le dramedy
francesi in particolare) sanno essere belli, larghi, pop, sorridenti e insieme commoventi,
senza mai diventare scontati, melensi o troppo retorici. E soprattutto sanno tenere insieme
generi diversissimi, come il cancer movie (che però qui diventa solo pretesto, innesco per la
trama), il family drama e la commedia sociale con la massima spontaneità e semplicità,
muovendosi naturalmente tra una certa delicata ironia e toni invece più seri (ma mai seriosi).
Il tutto attraversato dalla musica (la classica, il jazz, ma anche brani meno scontati, come
Emmenez-moi di Charles Aznavour), che è insostituibile punto d’incontro/scontro tra due
fratelli e il modo di essere comunità, di diventare persino famiglia per una banda
sgangherata della città di minatori di Walincourt, nel distretto di Lille, Francia del Nord.
Qui Jimmy (Pierre Lottin) lavora come inserviente nella mensa della fabbrica che sta per
chiudere, passando gli avanzi agli operai che fanno i picchetti, e suona il trombone a
orecchio nella fanfare, finché qualcuno non arriva nella sua vita e il desiderio di un’esistenza
migliore sembra poter diventare realtà. Quel qualcuno è Thibaut (Benjamin Lavernhe),
direttore d’orchestra di fama mondiale che ha appena scoperto di essere malato di leucemia,
di aver bisogno di un trapianto immediato di midollo osseo e – contestualmente – di essere
stato adottato. Indovinate chi è il suo fratello biologico.
C’è la commedia sociale britannica di Ken Loach ma con un gusto che resta
meravigliosamente francese e c’è anche l’ottimismo della volontà – per dirla alla Gramsci –
di Robert Guédiguian (che, non a caso, produce) in questo nuovo film di Emmanuel Courcol
(Un triomphe). Che è esattamente quello che i francesi sanno fare meglio di tutti (e che in
Italia non riusciamo a fare, non così): il grande cinema popolare che – attenzione – non vuol
dire necessariamente feelgood movie (anche perché vi sfido a non uscire in lacrime dalla
sala dopo il finale, e mi fermo qua) e nemmeno “basso”, cheap, per intenderci, ma storie che
riescono davvero a toccare il pubblico, grazie soprattutto alle emozioni e all’umanità dei
personaggi in cui ci si può facilmente riconoscere.
Merito anche dei due protagonisti, così diversi eppure così (in)credibilmente fratelli:
Lavernhe più intellò, snob ma fragile e Lottin più proletario, robusto nel fisico e impetuoso
nel temperamento. Sono loro il centro saldissimo dell’Orchestra stonata: il loro rapporto,
l’unione musicale e fraterna tra i loro due mondi.”
Da Rolling Stone.it
“La dote principale del cinema francese - quando scritto, recitato, confezionato con
impeccabile abilità come nel caso di En fanfare - è quella di saper gestire con apparente
naturalezza elementi eterogenei. Emmanuel Courcol, in passato autore dell'ottimo Weekend,
parte dal dramma medico, passa alla vicenda famigliare dell'incontro tra i due fratelli adottati,
poi allo scontro sociale fra i due protagonisti (uno borghese, l'altro proletario, uno realizzato,
l'altro fallito) e infine arriva addirittura al racconto militante e sociale, con l'accenno alla crisi
economica del nord e alle proteste operaie per la chiusura delle fabbriche... A fare da
trait-d'union è naturalmente la musica, anch'essa connotata in modo duplice, raffinata e
orchestrale nel caso di Thibaut, immediata e grezza, da fanfara per l'appunto, in quello di
Jimmy, ma capace di avvicinare i due fratelli. Grazie anche all'opposta, perfetta
interpretazione di Benjamin Lavernhe (Thibaut) e Pierre Lottin (Jimmy), il primo sensibile e
un po' supponente nella scoperta di un mondo infinitamente distante dal suo, il secondo
istintivo e umorale, desideroso di riscatto ma troppo orgoglioso per ammetterlo, il film alterna
vari registri senza perdere il controllo della materia. Mai patetico o all'opposto manipolatorio
(nonostante ci siano tutti gli elementi del caso, dalla relazione di Jimmy con una collega alla
simpatia di un ragazzo down membro dell'orchestra), En fanfare dimostra limiti proprio in
una scrittura fin troppo controllata.
Roberto Manassero da MYmovies.it
Giulio Martini Domenica pomeriggio |
finalmente un successo dell'attempato inventore di storie,qui che mai affiliato al clan di Guediguian. Con una tessitura simile a quella tipica del Produttore, ma più movimentata e densa di colpi di scena , ed in aggiunta evidenti metafore sui vari modi analoghi di far musica ( armena e non ) e fare cinema il film spizza di meditato ottimismo. Un ottimismo " nonostante tutto ", perché la micidiale casualità della vita può essere trasformata in opportunità da giocarsi al meglio, specie se sostenuta dalla fratellanza e dalla solidarietà sociale. |
Angelo Sabbadini Lunedì sera |
Agli spettatori del Bazin la definizione di commedia sta stretta: ai più L’orchestra stonata sembra un melodramma comprensivo di agnizione e tragedia finale. Ma ciò che piace di più è la musica: da Clifford Brown ad Aznavur, da Mendelssohn alla dance anni Settanta di Dalida, dalla tromba jazz di Benny Golson a Maurice Ravel. Una manna servita da due bravi attori: Benjamin Lavernhe, proveniente dalla Comédie Française, e Pierre Lottin, portamento da bell’imbusto e faccia da schiaffi. Alla fine, prima volta nella stagione, in sala scatta l’applauso. |
Guglielmina Morelli Mercoledì sera |
Abbiamo terminato il nostro filotto di film francesi con questo gradevolissimo L'orchestra stonata. Bello perché racconta una storia con personaggi “veri”, senza melodrammi e con rigore e linearità nello svolgere la vicenda, perché ci dice che la salvezza è solo nell'aiutare e nel farsi aiutare (chi salva chi in questo film? Il trombonista proletario che offre il suo midollo o il raffinato musicista che dà consapevolezza? O i due finiscono per scoprire una fratellanza adulta e solidissima?). Nessuno qui è lasciato indietro o disprezzato: la vita si percorre insieme agli altri. E poi la musica che contrappunta le fasi della storia e tre sono, a mio parere, i brani decisivi, anche perché tornano più volte e suggeriscono senso: I remember Clifford, lo struggente omaggio ad un genio morto giovane, standard jazz che fa riconoscere simili i due protagonisti; Emmenez-moi, che si ascolta per tre volte, il sogno di un caldo “paese delle meraviglie” (cantato ovviamente da Aznavour) dove vivere; infine il Bolero, che diventa nel finale la musica di tutti, orchestra, banda e persino spettatori. Davvero commovente ma senza essere strappalacrime: così si fa! |
Rolando Longobardi venerd sera |
Si vede che Courcol ha una grande esperienza da narratore e sceneggiatore. En fanfare è un racconto ben riuscito che è capace di rendere in modo armonico (appunto) tutto quello che la vita può riservarci: salute, lavoro, famiglia e arte.
Non si scade mai sotto tono drammatico o patetico ma questo film sa essere un crescendo di emozioni e suoni, diversi ma che sanno renderci uguali. Un bel film, positivo, nonostante i tempi (ahimè poco udibili e molto stonati) che stiamo vivendo.
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Marco Massara Jolly |
Quando in un film inserisci alla fine un’orchestra che suona(bene)la carica emotiva prevale. In questo caso per non bisogna dimenticare una certa superficialità, o meglio una eccessiva disinvoltura nel trattare temi importanti (sulla scoperta del fratello adottato ci sono molti film dedicati solo a questo) e anche i colpi di scena generano dei troppo forti cambi dei registri della narrazione. Il regista, nonostante i suoi 67 anni suonati è alla sua opera prima, dopo tuna buona carriera attoriale, e come tale si comporta: come diceva Giuseppe II a Mozart n Amadeus: “troppe note” e troppo disinvolte. |