Titolo

Diamanti

 

da domenica 27 aprile a venerdì 2 maggio 2025

 


  

DIAMANTI

regia di Ferzan Ozpetek

Diamanti si apre e chiude con una di quelle tavolate che sono diventate un simbolo del cinema, e del modo di intendere la vita, di Ozpetek. Intorno al desco di apertura siedono le attrici del film e lo stesso regista, intento ad annunciare loro le sue intenzioni e ad assegnare i ruoli.
"Ci saranno in tutto quattro uomini", annuncia fieramente: e di fatto i personaggi maschili nel film sono meramente di contorno. Più che al Pedro Almodovar cui all'inizio della carriera veniva paragonato, Ozpetek richiama qui il Francois Ozon di Otto donne e un mistero, dove gli uomini sparivano completamente (uno per mano di una delle protagoniste), e più che a Douglas Sirk strizza l'occhio al Leo McCarey di Un amore splendido. "Non c'è niente di quello che ti aspetti", annuncia Ozpetek alle sue attrici, e invece Diamanti è esattamente quello che ci aspettiamo dal miglior Ozpetek, quello che ama in modo incondizionato le sue donne, e viene da loro ricambiato con fiducia e generosità. (...)
Tutto il cast corale è in forma smagliante, e svettano Mara Venier nei panni dimessi di Silvana, Milena Mancini in quelli di Nicoletta e Milena Vukotic nel ruolo della zia Olga. Ma è una gara di bravura e Lunetta Savino, Paola Minaccioni e Geppi Cucciari gestiscono le parentesi comiche alleggerendo una trama che talvolta vira al melò. Vanessa Scalera è come sempre potente nel ruolo di Bianca Vega, che comanda le donne ma si lascia intimidire davanti all'unico uomo (Stefano Accorsi, nei panni del regista del film per cui Vega crea i costumi). Ozpetek compare occasionalmente fra le sue attrici, a ricordarci metacinematograficamente che questa è una messinscena polifonica.”
Paola Casella da www.mymovies.it
“Del mondo fuori c’è l’eco: le contestazioni giovanili e il femminismo, per esempio, ma anche un bambino spaesato e una carrozzella, sono solo chiavistelli per irrompere nell’unico mondo che conta. Quello del cinema, cioè la sartoria dove si creano i costumi che edificano i personaggi (un plauso al lavoro di Stefano Ciammitti), nonché la finzione subito esplicitata dall’incipit programmatico: il regista, Ferzan Özpetek, e tutto il cast attorno a una tavolata, in attesa di mangiare (topos dell’autore, d’altronde) e leggere il canovaccio di Del mondo fuori c’è l’eco: le contestazioni giovanili e il femminismo, per esempio, ma anche un bambino spaesato e una carrozzella, sono solo chiavistelli per irrompere nell’unico mondo che conta. Quello del cinema, cioè la sartoria dove si creano i costumi che edificano i personaggi (un plauso
al lavoro di Stefano Ciammitti), nonché la finzione subito esplicitata dall’incipit programmatico: il regista, Ferzan Özpetek, e tutto il cast attorno a una tavolata, in attesa di mangiare (topos dell’autore, d’altronde) e leggere il canovaccio di Diamanti. (...) Siamo nel 1974, certo, ma la Sartoria Canova è un mondo a parte incastonato tra muri “parlanti” (con murales ovviamente femminili) e strade senza traffico (quasi precluse a quelle auto che portano morte), un altrove che trascende la cronaca e appartiene alla mitologia, abitato da personaggi barricati nel ricordo (gli amori perduti e le figlie perse che impediscono di vivere serenamente), nella nostalgia (Mara Venier ex soubrette reinventatasi cuoca), nelle bugie a cui vogliamo credere (Anna Ferzetti che rimpiange il forse agiato compagno turco), nella reticenza (la liaison segreta di Lunetta Savino, le violenze domestiche subite da Milena Mancini), nel divismo (Carla Signoris e Kasia Smutniak che si scontrano come in un Match di Arbasino), nell’ansia da prestazione (Vanessa Scalera costumista da Oscar). Diamanti si concentra su un mese forsennato, con la sartoria è impegnata su più fronti, in particolare nell’impresa di completare i costumi di un kolossal ambientato nel Settecento (le indicazioni della costumista sono chiare: evitare la deriva documentaristica, seguire l’istinto, ricorrere alla fantasia. Come le eroine del film, Özpetek difende il fortino del suo immaginario: in continuità con il sottostimato Nuovo Olimpo, si dichiara cittadino del cinema, incastra la storia nella realtà e si serve degli incidenti della vita (l’intervento di Elena Sofia Ricci, che ha due apparizioni magnifiche, è un manifesto teorico), omaggia maestri (“Vuoi fare la costumista e non sai chi è Piero Tosi?”) e simulacri (l’evocazione del costume da vescovo di Roma di Fellini, opera di Danilo Donati), rimpiange quel che fu (le grandi produzioni che investivano sui costumi) e quel che resta (...) E, in parallelo, si fa sacerdote di un mondo salvato dalle donne, siano esse al comando (le sorelle Luisa Ranieri, algida e severa con parrucca rossa, e Jasmine Trinca, sofferente e tormentata con tendenza alcolica, entrambe emancipatesi da un destino deludente) o pezzi di una comunità solidale (i maschi vanno disinnescati, smontati, desacralizzati e magari sessualizzati: Geppi Cucciari docet).”
Lorenzo Ciofani da www.cinematografo.it
“Ogni film di Ferzan Özpetek è un film su Ferzan Özpetek. E ogni suo nuovo lavoro rappresenta una summa del suo cinema. Tutto qui? Tutto qui (...). C'è chi vede Özpetek in sempiterna crisi artistica: perché non sa rinnovarsi, perché ripete fino allo sfinimento i medesimi concetti riproponendo all'infinito lo stesso pattern visivo ed emotivo. In realtà, per Özpetek, il cinema è un mezzo potentissimo, quasi una seduta psicoanalitica condivisa. Lui ci mette la sua passione per l'arte, per i sentimenti e per la vita (la sua, come un invito a raccontarsi in perenne divenire), spesso con minime variazioni di senso, e li dà in pasto al pubblico. Özpetek è sempre in purezza: «Diamanti è nato con l'idea di esporre la cosa che faccio sempre quando ho un progetto in testa, ovvero chiamare gli attori, raccontargli la storia, e poi andare avanti con la sceneggiatura. Tanti miei film partono dagli attori, nel senso che ho una traccia, ma poi scrivo dopo l'incontro con loro» (Rolling Stone, 16 dicembre 2024). Con didascalismo smaccato e consapevole il regista ci mostra i suoi diamanti fin da subito: 18 attrici, tra nomi ricorrenti della sua filmografia (Luisa Ranieri, Elena Sofia Ricci, Jasmine Trinca, Nicole Grimaudo) e new entry (Vanessa Scalera, Mara Venier, Sara Bosi, Geppi Cucciari). La dimensione metacinematografica sa di omaggio, ma anche di sberleffo: si discute sul film da girare tutti attorno ad un tavolo, location amata dall'autore e da sempre criticata dai detrattori, e proprio per questo luogo privilegiato in cui si sciolgono tensioni e intrecci. (...) Diamanti è, quindi, un film ambientato al contempo nel 2024 e nel 1974, con l'immersione in medias res – come un ricordo che all'improvviso riaffiora nei meandri della nostra memoria, trasfigurando e romanzando – all'interno della gloriosa Sartoria Canova, specializzata in costumi per il cinema e per il teatro (...). Di tutto ciò che può accadere fuori ci arriva solo una lontanissima eco, a dimostrazione di come tempo e luogo siano qui solo
uno spunto, del tutto trascurabile. Contano le battaglie dei singoli, che possono però affrontare e sconfiggere i propri demoni – la violenza domestica, l'ombra della depressione, le nostalgie e i rimpianti che trafiggono la nostra quotidianità – solo con il supporto di una comunità solidale e riconoscendo il valore fondante di una unione, di un sentire condiviso, che travalichi i confini canonici/imposti di “famiglia”. Per quanto alcuni passaggi possano risultare più deboli e programmatici (la volontà di incastrare tutto e di chiudere ogni sottotrama, il controfinale nuovamente meta- che rischia di indebolire il vero epilogo), a Diamanti vanno riconosciute delle qualità che forse diamo per scontate o che forse non siamo più abituati a riscontrare: la sincerità, la gentilezza, l'amorevolezza, l'umanità. Come un abbraccio, quando meno ce lo aspettiamo, che scalda mente e corpo, e per il quale essere profondamente grati.”
Filippo Zoratti da www.spietati.it
“ In Diamanti 18 differenti personaggi femminili, uniti solo dall’amore per la moda e per il cinema, animano quello che Geppi Cucciari, alla sua prima esperienza con il regista turco, definisce in una battuta del film un “vaginodromo”, per sottolineare la quasi totale assenza di uomini sul set. Per Stefano Accorsi, Vinicio Marchioni e Carmine Recano, unici nomi maschili presenti nel cast e tutti già noti al regista, non esistono infatti ruoli da protagonisti o co-protagonisti al maschile com’è stato spesso in passato. Loro e gli altri uomini che compaiono sullo schermo sono relegati da copione a margine del racconto, quasi come fossero delle comparse. A prendere tutta la scena nel quindicesimo lungometraggio di Ozpetek arrivato nelle sale il 19 dicembre, e diventato in poco tempo il film italiano con il maggiore incasso a cavallo delle vacanze natalizie di quest’anno (10.657.945 di euro di incassi e un milione e mezzo di presenze), sono unicamente le donne. Imperfette, combattenti, vanitose, empatiche, resilienti e soprattutto luminose. Ovvero resistenti, indistruttibili, ma anche piene di sfaccettature che riescono a riflettere colori differenti in base alle diverse angolazioni della luce che le pervade proprio come i diamanti. Donne di diverse età ed estrazione sociale che mettono in scena una celebrazione corale.
Diamanti si rivela un meta-racconto. Che sia un film femmineo non è una sorpresa: il regista non ne ha mai fatto mistero e anche i trailer e le immagini diffuse prima dell’uscita lo mostravano chiaramente. Chiunque, però, abbia immaginato un racconto preciso e affilato delle pieghe dell’animo umano in pieno stile Ozpetek, probabilmente, poi, seduto sulla sua poltrona al cinema è rimasto deluso in questa aspettativa. (...) Un omaggio alle donne nella loro totalità e nel loro essere div(in)e, dunque. Ma anche al gioco di squadra, alla sorellanza e alla complicità. Un inno cinematografico timidamente ma incisivamente femminista.”
Da www.gqitalia.it
Cosa sappiamo realmente di tutte quelle figure, che i riflettori dello spettacolo eludono continuamente, mostrandoci invece le star, le celebrità e la loro inevitabile coolness? Poco, forse niente. Eppure sono proprio quelle figure a rendere cool ciò che di fatto sarebbe convenzionale e incolore, se non addirittura modesto e anonimo. Giunto al suo quindicesimo lungometraggio, con Diamanti Ferzan Özpetek sceglie di celebrare l’importanza assoluta del dietro le quinte, degli uomini, ma soprattutto delle donne che, pur restando ai margini dello sfarzo e della passerella, non smettono mai di dar vita alla magia, osservando tanto le logiche del professionismo quanto quelle dell’amicizia e dell’amore.
“Cosa permette a un diamante di brillare, se non la presenza di qualcuno capace di prendersene cura? Ecco il perché di quel passaggio: “Siamo come delle formiche noi,
sembra che non contiamo niente, ma tutte insieme, tutte insieme”. Non è mai il singolo, piuttosto la famiglia e più in generale l’unione, a decretare il pieno raggiungimento dell’obiettivo. Lo sa bene Nina (Paola Minaccioni), che osserva la depressione e nega l’esclusione. Ancor più di fronte alla violenza matrimoniale e alla vendetta, che con un guizzo d’ironia nerissima tipicamente ‘alla Coen’, riflette sul tema oggi attuale più che mai della violenza di genere. Traccia che Özpetek ribalta sagacemente, con una risata a metà e una consapevolezza tragica, che un po’ spaventa e un po’ conforta.
Ancor prima della violenza, però, c’è la sorellanza che, nonostante le gerarchie di potere e i ruoli da mantenere, lega tra loro un gruppo di sarte, reclutate dalle sorelle Alberta (Luisa Ranieri alle prese con il suo personaggio più duro e complesso) e Gabriella (Jasmine Trinca, in una prova matura sull’incomunicabilità del dolore). Pur possedendo capacità differenti, non vi è mai competizione tra loro, piuttosto conforto, comprensione, ascolto e solidarietà. Tanto da trasformare ben presto la sartoria da cinema in un vero e proprio rifugio per anime perdute. Le stesse che si ritrovano via via nell’arte e nella magia dei costumi, come la giovane eppure esperta Beatrice di Aurora Giovinazzo.”
Eugenio Grenna da www.sentieriselvaggi.it