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The holdovers
da domenica 16 a venerdì 21 marzo2025
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THE HOLDOVERS
regia di Alexander Payne
“Ostinati e diversamente inadeguati al mondo, Paul e Angus sono costretti a socializzare sotto lo sguardo paziente di Mary Lamb, cuoca della scuola che ha perso il suo unico figlio in Vietnam. Ma l'isolamento e il Natale accorceranno le distanze e li costringeranno a 'rompere le righe' e a 'mettersi in riga'. (…) Girato come un film degli anni Settanta, con quella grana speciale che non sembra mai finta o presa in prestito, è un racconto convenzionale ma inatteso quando parla di dolore e di privilegio, di abbandono e di fallimento, di trasmissione e della famiglia che ci scegliamo contro quella che ci impone la sorte. Paul Giamatti, attore di tutti i 'secondi piani,' coltiva l'arte dell'anonimato e rivendica ancora una volta un ruolo che gioca alla perfezione: valorizzare il partner. (…) Ode a 'chi rimane indietro', The Holdovers omaggia il cinema di Hal Asby, a cominciare dalla sua predilezione per gli antieroi e gli emarginati di ogni tipo, e presenta le caratteristiche formali di una produzione dell'epoca (il font dei titoli di testa, le dissolvenze incrociate, le zumate...). Ma non si tratta mai di un esercizio di stile, The Holdovers è più sottile e soprattutto più onesto. Sotto la superficie rétro, abbraccia temi atemporali (il conflitto generazionale, l'orrore della guerra, l'isolamento, il lutto, la depressione) e ci invita al viaggio. E noi partiamo, ridiamo, piangiamo, finiamo al tappeto e siamo felici.”
Marzia Gandolfi, da mymovies.it
Giulio Martini (domenica pomeriggio) |
girato alla maniera degli anni '70, intriso degli umori di quel periodo, nostalgico senza inutili commiserazioni, " I Residui " (si può tradurre così ? ) mette a tema ed in scena l'impossibilità della autentica tradizione" della saggezza. Ogni generazione ricomincia da capo senza una memoria critica condivisa con i padri e le madri, per cui prevalgono l' ottusità del bullismo, la vilta' della menzogna, l' impudicizia del danaro cui non fanno da vero argine le troppo fragili solidarietà tra emarginati utopisti. |
Angelo Sabbadini (lunedì sera) |
Alexander Payne si rivede al Bazin ed è giubilo immediato dei visionari. Funziona alla grande la solida sceneggiatura firmata da un nuovo compagno di viaggio (David Hemingson) e conquista l’ottimale lavoro sugli attori dove svetta Paul Giamatti. E poi l’omaggio al cinema degli anni settanta è un irresistibile richiamo per gli spettatori del cineforum che, per ragioni anagrafiche, si sono quasi tutti formati in quel magico decennio. E dunque la serata si conclude con struggenti ricordi di lontane suggestioni cinematografiche firmate da Penn, Hashby e Altman. |
Guglielmina Morelli (mercoledìì sera) |
Siamo catapultati negli USA del 1971, con le sue musiche, i suoi vestiti, i cappelloni, la guerra
del Vietnam e le sue vittime, Dustin Hoffman “piccolo grande uomo”. Possiamo fingere che la data sia solo un pretesto, che il film potrebbe essere ambientato nel 2018 o nel 1954 e fa lo stesso. Non credo però, penso dal 1971 sia bene partire, quando un nuovo cinema si affaccia nelle sale: non più attori belli e vincenti ma personaggi marginali (gente di colore mandata al macello, poveracci, nevrotici, folli) presi a sberle dalle cose, protagonisti di una America senza eroi, holdovers dunque. Padri inesistenti o che, al massimo, pensano di assolvere la propria funzione educativa col denaro; giovani che nascondono disagi con atteggiamenti asociali o violenti; insegnanti inutilmente rigorosi. Tutto durante il momento topico dell’anno, il Natale, festa in famiglia (e così la percepiscono i tre protagonisti, una famiglia improbabile dapprima costretta ad una convivenza forzata che via via si cementa con affetto e comprensione). Film gradevole, certo, e però in bocca rimane un retrogusto di già visto (esempio il viaggio che rivela persone e rapporti), in un film che oscilla tra un classismo tipicamente WASP e un sentimentalismo che garantisce il momento di svolta alla vicenda. Meraviglioso Paul Giamatti, davvero in ruolo, che si veste, si muove e pensa proprio come fosse in un film del 1971 e, da strabico, può guardare passato e presente. |
Giorgio Brambilla (venerdìì sera) |
The Holdovers sono i residui, gli avanzi. Questo sono i protagonisti del nostro film: quelli che passano a scuola le vacanze di Natale a mangiare quello che è restato del cibo, perché non si faranno nuovi acquisti finché non rientreranno gli altri, quelli che contano. Tra questi figli della cultura dello scarto, come li definirebbe papa Francesco, scatta però una solidarietà che, a partire dal mondo di dolore e solitudine nel quale sono chiusi, li farà incontrare e crescere, fino a portare addirittura il docente apparentemente più sprezzante nei confronti dei suoi studenti filistei a sacrificare le proprie certezze per salvare dalla vita militare, con la sua promessa di morte, un giovane dotato ma, come lui, detestato da tutti. Payne mette in scena una dinamica già vista molte volte, ma lo sa, e ce lo fa dire dal professor Hunham al museo, quando afferma in sostanza che ogni passione è già stata vissuta e ogni storia raccontata, e dal film stesso, mediante la ripresa dello stile del cinema degli anni ‘70, nei quali è ambientato. Costruisce un testo di grande finezza, con attori al meglio delle loro possibilità che danno corpo a personaggi sfaccettati e intriganti, che divertono e sorprendono lo spettatore mentre lo fanno entrare nelle pieghe della propria umanità
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Rolando Longobardi (Jolly) |
Un film riuscito questo di Payne che riesce a mantenere il ritmo e la valenza educativa di un film il cui confronto, a mio avviso non molto centrato, con l'attimo fuggente di Weir, sembrava minarne le basi. I personaggi sono ben delineati e mai sopra le righe. Il burbero insegnante Hunman rappresenta l'aspetto rude ma anche più comprensivo si una comunità educante assente o troppo materna, anche se comprensiva (vedi la sig. ra Lamb). Non mancano momenti di reale empatia tra il ragazzo e il suo insegnante, ma i ruoli (e questa la più grande differenza con il sopracitato film di Weir), risultano comunque ben delineati e mai confusi. La vera trasgressione è adulta e risiede in una buona bottiglia di whiskey.
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