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Il gusto delle cose
da domenica 9 a venerdì 14 marzo2025
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IL GUSTO DELLE COSE
regia di Anh Ung Tran
“Pentole, tegami, mani rapide che eseguono gesti precisi: la cura per il dettaglio è alla base di Il gusto delle cose (La passion de Dodin Bouffant). Il vietnamita Trần Anh Hùng, naturalizzato francese, Leone d’oro a Venezia con Cyclo ormai quasi trent’anni fa, costruisce una relazione sentimentale nella Francia di fine Ottocento con gli strumenti della cucina. Dodin (Benoît Magimel, in un ruolo degno della sua stazza) si muove tra i fornelli come un imperatore. Eugénie (Juliette Binoche) segue con abnegazione il suo ruolo da cuoca, forse amante, al servizio di sua maestà. Hùng compone il suo quadro quasi eliminando la trama, mostrando una relazione come una ricetta: gesti precisi, attenzione maniacale agli ingredienti, amore universale per quel che si crea. Dodin e Eugénie sono una coppia immaginaria, il loro rapporto è scandito da una liturgia destinata a solleticare il palato di altri. Le parole sono poche, sembrano istruzioni. La trama volutamente latita. Ma c’è qualcosa di ipnotico nella preparazione di piatti sempre più complessi, di pietanze sempre più elaborate. La macchina da presa di Hùng si muove sinuosa, sicura, pronta a cogliere ogni momento, ogni increspatura. Magimel e Binoche sottolineano con economia sentimentale un rapporto costruito nel suo farsi, saldato dalla realizzazione di ogni pietanza, solcato da una solidarietà afasica ma intensa. Il gusto delle cose si srotola come un menu, alterna i momenti di cucina a quelli di degustazione, assiste alle sentenze del cuoco geniale e le contrappone al piacere dei commensali. Al centro di questa famiglia, a suo modo disfunzionale, irrompe la piccola Pauline, nipote della padrona di casa, che mostra – per la sua età – un vivo interesse e un notevole palato. Il simulacro della famiglia si fonde con quello del talento, l’iniziazione culinaria si mescola con un affetto appena accennato. Il film usa il cibo come metafora smaccata di una forma di altruismo, di accudimento, di realizzazione personale; ma il suo incedere reiterato, il suo sguardo estatico sanno catturare un senso del cibo quasi mistico, mai legato a un piacere solamente terreno. È la perfezione che si cerca, la sintonia, l’equilibrio assoluto di un benessere sensoriale. Hùng accarezza i suoi attori immergendoli in una luce pittorica, restituisce odori e sapori attraverso un cinema tanto elegante quanto tattile, concreto. Il gusto delle cose è una variazione sul tema dell’amore romantico, colmo di tenerezza umana verso i suoi personaggi, incapaci di mostrare la loro affettività fino in fondo ma, sempre, dediti alla loro vocazione intesa come dono, come ricerca della perfezione, come misura del mondo. Parla di relazioni umane filtrate – montate come una salsa, passate e ripassate, soffritte – da uno sguardo perennemente umbratile, intriso di malinconia. Hùng firma un film labile, a tratti ondivago, ostentatamente ripetitivo, ma che sa mostrare, in maniera obliqua, una diversa e ostinata ricerca della felicità.”
Federico Pedroni, da cineforum.it
giulio martini (domenica pomeriggio |
omaggio assoluto alla Cucina francese e all'idea stessa dell'Amore,entrambi intesi come donazione "fisica" agli altri.
Come nel matrimonio ci si offre con il proprio corpo in modo che l'altro ne possa godere,così il rito dell'elaborazione del cibo da donare aumenta il piacere ed il gusto degli altri.
Ma come si impara ad amare solo col lento passare delle stagioni, anche per l'arte che manda in visibilio il palato occorrono cura e tempo.
Il film si dilunga - a tratti - sulla rigorosa "materialita' " dei preziosi elaborati e non si fa problemi di durata per essere coerente con la sua tesi e la metafora di fondo.
Tuttavia nell'insieme ottiene un prodotto efficace, che gronda sughi e condimenti d'oltralpe ma ha anche un tocco di ossequiosa degustazione thailandese.
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Angelo Sabbadini (luned sera) |
Il film è un vero e proprio feast for the eyes, una gioia per gli occhi e per le papille gustative. Il vero piacere traspare dai pasti frugali condivisi da un unico piatto, da un semplice boccone di formaggio o pan brioche divorato con le mani. C’è poi la dimensione del gusto come sapere, manifestato attraverso tecnica e degustazione. Il tutto è manifestato dai gourmands che circondano Dodin. Commentando ed esaltando i virtuosismi culinari dello chef fra cui spicca l’omelette norvégienne, essi dimostrano la loro competenza riconoscendo quella di Eugénie. Sotteso c’è un accordo su cosa è il gusto, inteso come buon gusto acquisito con esperienza e validazione fra pari. Lo stesso accade agli aficionados del Bazin che sono concordi nel riconoscere al film compattezza stilistica e originalità artistica |
Guglielmina Morelli (mercoledì sera) |
Altro film francese, molto francese nei cibi certo ma anche in una ambientazione negli esterni, nei giardini, negli abiti femminili, nelle luci molto “impressionista”. E nei film dove il cibo la fa da padrone sappiamo di dover cercare quell’altro significato, occultato tra le gallinelle e le pentole di rame. E la storia d’amore, di per sé intensa perché giocata sulla complicità, sul sottotono e sul pudore, si riverbera sul mondo circostante e il cibo diventa strumento di comunicazione amorosa, collante per amicizie solide, catalizzatore di affetti e di autorealizzazione (femminile). |
Marco Massara (Jolly) |
I protagonisti sono loro: le’cose’ o meglio gli ingredienti di una cucina sontuosa, ipercalorica, un po’ misteriosa ma senz’altro spettacolare. Ripresi quasi in piano-sequenza ed al centro dell’inquadratura lasciano poco spazio ad una trama drammaturgica esile (il ‘pranzo del Principe) che fa quasi da elementare imbastitura e relega in un secondo piano l’accenno a una relazione sentimentale dei due cuochi e persino la morte di Eugéne, interpretata da una Binoche quanto mai austera e precisa nel gesto culinario. |
Giulio Martini (venerdì sera) |
Giulio ha sostituito Giorgio |