Titolo

Il caso Goldman

 

da domenica 9 a venerdì 14 febbraio 2025

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IL CASO  GOLDMAN

regia di Cédric Kahn

 


“La cronaca giudiziaria in Francia è del resto un genere letterario e giornalistico di straordinaria longevità, ed è a questa tradizione che Goldman obietta quando, in apertura del processo, rifiuta di parlare di sé e della propria vita in cerca di pathos e di racconto. "Sono innocente perché sono innocente" dice, tautologia assoluta che dichiara guerra in un sol colpo all'apparato legale e culturale di un paese intero. È l'inizio di un racconto fatto di sguardi incrociati in una stanza affollata (di poliziotti ma anche di sostenitori di Goldman, un coro greco di reazioni che testimoniano del valore politico del personaggio) (…) Un'opera dai risvolti tanto complessi - eppur così asciutta nel ritmo e nella struttura - si poggia naturalmente sulla furiosa e carismatica interpretazione di Arieh Worthalter, attore belga il cui talento camaleontico viene finalmente premiato con un ruolo di primo piano.”
Tommaso Tocci, da MYmovies.it

“Kahn decide di non uscire praticamente mai dall’aula di tribunale, se non per brevi istanti che comunque si risolvono in interni. Un film “concentrato” nel senso più fisico del termine, tutto “dentro” l’azione, senza alcuna tentazione di approfondimento psicologico, di accentuazione emotiva o deriva sentimentale. Nessuna scena di intimità o di scavo. Persino il profilo dell’imputato, con le sue tendenze psicotiche e le fascinazioni suicide, emerge dalle parole dei periti e dei testimoni più che dagli atteggiamenti del protagonista. Mentre l’emozione passa per intero dagli accadimenti, dalle dinamiche del dibattimento, si muove lungo le reazioni dei personaggi e del pubblico. (…) Sceglie di filmare con tre macchine da presa, posizionate nei punti strategici. E a partire dallo scheletro di lunghe inquadrature, lascia al montaggio il compito di rimescolare le angolazioni, i piani, di tirar fuori l’essenziale. Ogni tanto si lascia andare a uno zoom improvviso, allo schiaffo di un campo-controcampo, gioca sul ritmo, fino al punto di filmare una specie di guerriglia giudiziaria. In questo senso, il suo cinema “mimetico” trova ancora una volta una forma che sembra adattarsi a pieno al suo personaggio. Alla sua rabbiosa visione dell’azione politica, come movimento di rifiuto e di destabilizzazione. Persino le idee sono azioni. Sono parole di fuoco, dichiarazioni esagitate, gesti eclatanti. Sono due dita puntate come una pistola.”
Aldo Spinello, da sentieriselvaggi.it

Giulio Martini

domenica pomeriggio

    Ad oltre mezzo secolo di distanza dai fatti regista, co-sceneggiatrice e co-protagonista   (l'avvocato ) tutti  ebrei  difendono la tormentata figura ,scandalosa e utopistica, del  celebre marxista correligionario.
Goldman(succube del modello mitico e profetico del padre) diventa  cosi  in questa lettura  il nuovo simbolo/capro espiatorio -  dopo il Dreyfus di Polanski -  di un pervicace anti - semitismo  francese, nutrito da sottili pregiudizi e quotidiane ipocrisie piccolo  borghesi.
Forse per non accusare il vero colpevole, ( l'amico esponente di un'altra razza perseguitata" ?) Goldman non si difende con gli  strumenti della societa'  e della vita che  radicalmente contesta,ma si dichiara senza colpa per puri motivi ontologici,sfidando metafisica e storia. 
Emerge poco alla volta  - grazie anche all"arringa finale del suo difensore  e all' unica prolungata inquadratura con sguardo in  macchina , nel prefinale - il vero argomento di fondo del film : una auto - interrogazione del Mondo ebraico sul significato ( messianico ? rivoluzionario ? ) della propria presunta e dichiarata missione  e della stessa propria esistenza.
Una domanda per altro forse  troppo grande per le possibilita'  espressive degli Autori.
Girato in vecchio  formato 4:3,decolorato e senza musica, il lunghissimo torrenziale dibattito appassiona inoltre  piu' il cervello che il cuore.
Ma regge.

Angelo Sabbadini

lunedì sera

Cosa convince gli spettatori del Bazin rispetto all'impegnativo film processuale di Cédric Kahn? Non c’è un attore, dalla fidanzata ai magistrati, che non sia fuori luogo, con una resa drammaturgica di notevole impatto, asciutta e avvincente. Un cinema di parola e di volti, di atmosfera, in cui un’arringa, un’espressione dolente, un momento del Goldman furioso sono perfette pennellate di un quadro riuscito. E tanto merito hanno gli sceneggiatori, lo stesso Cédric Kahn e Nathalie Hertzberg, che teatralizzano al meglio il testo autobiografico di Pierre Goldman: "Memorie oscure di un ebreo polacco nato in Francia".

Giulio Martini

mercoledì sera

Giulio ha sostituito Guglielmina

Guglielmina Morelli

venerdì sera

Un altro bel film francese si unisce a quelli già visti, in particolare Anatomia di una caduta, cui lo lega Arthur Harari, là sceneggiatore, qui coprotagonista. Nitido e rigoroso nel percorso scelto, non assolve e non condanna ma presenta con lucidità un uomo complesso e contraddittorio, sollevando, in relazione alla sua vicenda, una grande quantità di domande che vanno dalle più ovvie (quanto in Francia è presente l’antisemitismo) alle meno scontate (quanto il rapporto con un padre vissuto come “ingombrante” provoca angosce e determina scelte autodistruttive). Forse è anche un film “in costume”, cioè, ambientato in un passato che più non ci appartiene e guardarci indietro di 50 anni è un “come eravamo” non facile da decifrare.

Marco Massara

Jolly

Un Courtyard movie atipico: non ci mostra nulla dell’antefatto e ci paracaduta direttamente nel dibattito processuale; e anche qui c’ una grossa differenza: se il balletto tra un singolare imputato, corte e avvocati  è fedele al canone, la giuria viene quasi messa da parte, quasi che il punto di vista dello spettatore vada a sostituire quello della giuria, facendo sì che lo questo sviluppi e tenga per sè il giudizio finale dell’ affair.
Purtroppo la vicenda processuale non desta la passione con cui è stata seguita in Francia e questo genera un senso di distacco per un film pregevole dal punto di vista della recitazione e della regia , ma di cui non si nota l’urgenza.

A piedi nota un parallelo tra vita reale e finzione, in questo caso letteraria. L’indirizzo dove si svolge il crimine – Boulevard Richard Lenoir - è  l’abitazione di un certo commissario Jules Maigret…..
 
Maria Cristina Cinquemani
Molto interessante, anche se un po' claustrofobico.
Due ore trascorse immersi in un processo risultano talvolta pesanti, ferma restando l'ottima gestione dei dialoghi.
Tra l'altro non credevo che in un processo potessero esserci tutte quelle interferenze da parte di imputato, giuria e pubblico: forse la gestione processuale da noi è differente.
Bellissime le tre arringhe finali, talmente ben congegnate che ogni volta si era pienamente convinti della tesi sostenuta.