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The old oak

 

da domenica 12 a venerdì 17 gennaio 2025

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THE OLD OAK

regia di Ken Loach

 

 


“Ha un gran rigore “la vecchia quercia”: più vicino ai novanta che agli ottanta, insieme al fidatissimo e bravissimo sceneggiatore Paul Laverty, Ken Loach realizza un film pulito, semplice, lineare, limpidissimo negli intenti e nella forma, dove i due protagonisti (…) sono continuamente circondati, protetti, ostacolati dal coro mutevole dei rifugiati e dei locali. Non ci sono buoni e cattivi tra i personaggi (anche se alcuni sono francamente antipatici), solo gente infelice e impoverita che la miseria e la disillusione spingono all’astio e all’aggressività. Loach li segue, li controlla, non eccede, non bara; persino ti aspetti quello che succede (perché, come diceva Hitchcock, “Se in un film fai vedere una pistola, poi quella pistola deve sparare”). Eppure, The Old Oak non è mai banale, “telefonato”, risaputo. Sappiamo dove vuole portarci e sappiamo che non ci resta che assecondarlo, perché la misura della speranza sta proprio in quelle pieghe della Storia, e in quelle piccole storie personali intraviste, sfiorate da una macchina da presa che sa ritrarsi, sa mettersi in secondo piano rispetto all’idea che vuole rappresentare.”

Emanuela Martini, da cineforum.it

Marco Massara

Domenica pomeriggio

Quando T.J. restituisce a Yara la macchina fotografica riparata lei gli dice “con questa ho visto cose che senza non avrei mai visto”.
Sostituite “questa” con “Cinema” e avete il senso del cinema di Sir Kenneth Loach.
E nonostante gli sforzi per raddrizzarla,, ci sarà sempre una ‘K’ che si metterà di traverso.

Angelo Sabadini

(luned sera)

Serata dedicata a Ken Loach e alla sua carriera inimitabile dedicata al’impegno civile. Con The Old Oak siamo al capolinea e il pubblico del Bazin gli tributa un applauso di riconoscenza per questo film semplice e necessario in cui Ken il rosso c’insegna il valore politico della speranza. Il tutto grazie a un insolito finale, quasi onirico, che pare stridere con l'andamento della storia, ma suona, forse anche per questo, commovente, come uno stoico tentativo di opporsi al corso tragico degli eventi.Serata dedicata a Ken Loach e alla sua carriera inimitabile dedicata al’impegno civile. Con The Old Oak siamo al capolinea e il pubblico del Bazin gli tributa un applauso di riconoscenza per questo film semplice e necessario in cui Ken il rosso c’insegna il valore politico della speranza. Il tutto grazie a un insolito finale, quasi onirico, che pare stridere con l'andamento della storia, ma suona, forse anche per questo, commovente, come uno stoico tentativo di opporsi al corso tragico degli eventi.

Guglielmina Morelli

(mercoledì sera)

Ken il rosso, ormai quasi novantenne, ha affermato di chiudere la sua carriera con questo film: ce lo dice con il sottofinale. Yara, la giovane profuga siriana catapultata con la famiglia e altri connazionali in una lugubre via di un malinconico paese dell’Inghilterra del Nord, dice di trasformare, attraverso le foto che scatta, il dolore e la violenza in speranza. Cosa rappresenta questa affermazione se non l’autoritratto di Loach? Le foto di Yara (il cinema di Loach) riscattano tutte le persone (belle, brutte, goffe, buffe), le collocano nello spazio e nel tempo, mettono in rapporto gli uni con gli altri e fanno sì che una comunità si riconosca come tale, accogliente per tutti; come la cattedrale di Durham e il coro che ivi si ascolta sono segno della bellezza, dell’armonia e una plastica rappresentazione della collettività così uno squallido retrobottega diventa luogo della suggestione delle immagini, della musica e della condivisione (e che la condivisione passi per il mangiare assieme lo dice una parola ormai desueta, “compagno”). Yara-Loach ci stanno dicendo che la via della speranza passa per l’arte e il gesto della ragazza che lascia la macchina fotografica ad omaggio del padre è il gesto di Loach che lascia la macchina da presa dopo avere, per mezzo secolo, cercato di mostrare la speranza che mai si deve perdere, nonostante la violenza delle classi dirigenti ai danni dei lavoratori, nonostante un sordido razzismo da cui, noi italiani, ci credevamo immuni e che invece tanto cresce intorno a noi. E il resto del film? E Ne parleremo un’altra volta, per ora un omaggio a Ken Loach e al suo cinema magari non geniale ma “onesto”.

Giorgio Brambilla

(venerdì sera)

Ken Loach fa una chiara scelta di punto di vista: mostra l'inizio del film e la fine in bianco e nero,
all’inizio attraverso le foto di Yara, alla fine semplicemente riprendendo la sfilata con i diversi stendardi. Così facendo dice alcune cose:
- che vuole guardare il mondo come la protagonista, profuga siriana che ha visto tanto male e riesce a mantenere una certa serenità solo guardandolo attraverso il suo obiettivo. Ricordiamo che quando al cinema si vede in fotografo o un filmaker in azione, incarna la figurativizzazione dell’istanza narrante o, semplificando, del regista.
- Che rifiuta un modo di usare il video nei social, finalizzato a mettere alla berlina il prossimo, e sceglie di raccontare una società simile a quella che sosteneva i minatori in lotta, e che il coprotagonista TJ rimpiange (anche quelle foto sono in b/n).
Alla sua tenera età, insomma, dichiara di vedere benissimo il male nel mondo, ma che questo può diventare più sopportabile quando gli sceglie di sostenersi reciprocamente. Amen

Rolando Longobardi

(Jolly)
 

Ci sono delle "K" che non cadono mai anche se l'insegna è usurata: quella di Ken (Loach) splendido ottuagenario che non smette di raccontare la sua popolazione che è proletaria tanto nel conto corrente, quanto nei modi. Ancora una volta, la dimensione sociale della solidarietà raccontata nel cinema di Loach si manifesta attraverso una coralità di azioni e di gesti che spingono lo spettatore, lentamente ma inesorabilmente a prendere le parti dei più deboli. La solidarietà non richiede curve di tifosi, si attua e basta ; per questo è reciproca e mai sprecata. Valida tanto tra uomini che tra cani. (Si veda ma bella sequenza sulla spiaggia.)
Chi mangia insieme, resta insieme e chi sa vedere (le fotografie!!) non smette di saper guardare. Bello. Brava, cara vecchia quercia di Ken.
Maria Cristina Cinquemani
Se veramente questo sarà l'ultimo Ken Loach ci avrà lasciati con una nota di speranza, non sempre presente nei suoi film passati.
L'argomento dell'immigrazione, con relativi problemi, è quanto mai attuale e scottante e viene qui trattato con serenità e sincerità, mostrando quanta buona volontà dimostrano alcuni e quanta durezza e indifferenza altri.
Vengono anche considerate le ragioni di chi si vede invaso e disturbato o di chi confronta le proprie necessità spesso ignorate con la generosità messa in atto verso i nuovi arrivati.
La narrazione è piacevole e i personaggi ben rappresentati, la cittadina ex mineraria ma sempre grigia e triste ben incornicia tutta la vicenda.