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Perfect days

 

da domenica 15 a venerdì 20 dicembre 2024

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PERFECT DAYS

regia di Vim Wenders

 

“Si chiama Hirayama, proprio come il protagonista dell’ultimo film di Ozu, Il gusto del sakè. Lavora come addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo e conduce una vita abbastanza abitudinaria. Parla pochissimo e ha una grande passione per la musica, i libri e gli alberi che ama fotografare. Wenders segue il suo protagonista, dove la grandissima interpretazione Kôji Yakusho (premiato a 76° Festival di Cannes come miglior attore) crea con il suo personaggio un’intimità nascosta. Diventa il punto d’incontro tra il cineasta e quello che sta filmando. Si esprime quasi esclusivamente con il linguaggio del suo corpo. Prende per mano un bambino che ha perso la madre. Ripete quotidianamente i suoi gesti come quello di farsi la barba la mattina. Trova corrispondenze con sconosciuti come il foglietto della partita a tris in bagno. Cerca la bellezza anche guardando la partita di baseball in tv mentre mangia. Attraverso Hirayama, Wenders trova con una semplicità sconvolgente la poesia del quotidiano, in uno dei suoi film più belli e liberi di sempre. (…) I suoi legami non solo con il suo passato ma proprio con la sua storia personale riemergono con una copertina di un libro di William Faulkner, le musicassette di album come quelle di Lou Reed, Patti Smith, sogni in bianco e nero che sono forse le zone d’ombra, proprio come quelle oniriche del cinema di Truffaut.
È ancora un cinema on the road che svela il personaggio attraverso il viaggio, anche è quello della metropoli con cui condivide i ritmi, i rumori, gli umori. In Perfect Days c’è un documentarismo soggettivo, con tracce del cinema muto (dall’alba alla notte come Berlino, sinfonia di una grande città di Walter Ruttmann), con le inquadrature dall’alto, le luci del traffico, la pioggia. Il protagonista è spesso accompagnato solo dalla musica. “Sometimes fills so happy/Sometimes fills so sad” proprio come nel brano Pale Blue Eyes dei Velvet Underground. Forse i giorni sono tutti perfetti (ancora Lou Reed con il brano che dà il titolo al film), forse no. Ma al tempo stesso c’è anche la necessità nel suo cinema di un altro viaggio nella città giapponese dopo Tokyo-Ga. Certo, per ritrovare Ozu, ma non solo. Forse è da lì che riparte il suo cinema del passato. Forse lo sguardo sereno di Hirayama è lo stesso, oggi, di quello di Wenders. Che riguarda le bellezze del suo passato, quindi del suo cinema, senza rimpianti.”
Simone Emiliani, da sentieriselvaggi.it

Giulio Martini

Domenica pomeriggio

come immergersi nell' animo di Tokio avendo stavolta come perno la Torre della TV, simile alla Colonna della Vittoria nel cielo sopra Berlino ?
Facendo reagire al baluginare del sole che si leva  tra i rami degli alberi ( Komoredi )  un monaco metropolitano votato alla pulizia delle cose e alla purificazione delle passioni.
Senza l'ombra di una turpe emozione beluina  (nel film non compare neppure  un animale... ) ma esponendosi alla luce ,come  fa un albero o una foglia o una fotografia e una pellicola, il film invoca un' esistenza che sia unicamente  collezione  di memorie e immagini  delicate e tremule.
Sensibilità nipponica  (anche se ormai solo della generazione che sta scomparendo ) condivisa al 100% da un tedesco  sempre sensibile alla precarietà della vita e alla ricerca della serenità nell'attimo impermanente.
Ma c'è  anche  un grumo di infelice mascolinita', incapace di sintonizzarsi sull' evanescente sentire al femminile.
Anche questo tipico dei giapponesi e di Wenders.

Angelo Sabbadini

(Lunedì sera)

Per l'assoluto minimalismo drammaturgico sembra agli spettatori del Bazin che Perfect Days rappresenti un esplicito omaggio al cinema di Ozu. E in effetti il grande cineasta nipponico aleggia come una sorta di nume tutelare lungo tutto il film. Non è certamente un caso che il nome del protagonista – Hirayama – sia lo stesso di quello della famiglia di Il gusto del sakè (1963). E i più ricordano l'appassionato omaggio di Wenders a Ozu in Tokyo-Ga (1985). Alla fine del confronto tutti i visionari sono però concordi nel sottolineare come la predisposizione di Wenders verso il Giappone abbia subito uno scarto significativo. In Tokio-Ga prevaleva la nostalgia verso un Giappone che si temeva perduto sotto l'incombere della cultura occidentale . Mentre in Perfect Days sembra emergere un'adesione nei confronti del paese del Sol Levante e delle sue ritualità.

Marco Massara

Mercoledì sera

Un percorso emozionante ed affascinante alla scoperta di sé.
Hirayama nell’esercizio quasi sacrale della sua professione ai minimi della scala sociale scopre che può essere amato, acquista un ruolo fondamentale nel suo rapporto con la nipote e fa giocare una persona minata nella salute e che  che lo ha scambiato per l’amante della sua ex-moglie.
Il tutto con piccoli passaggi ricchi di significazione affidati ad una straordinaria prestazione attoriale di  Koji Yakush
o  
   .

E come canta nello splendido finale Lou Reed: E’ un nuovo giorno, è una nuova vita per me. E mi sento bene!”

Giorgo Brambilla

(venerdì sera)

In Perfect Days sembra che la bellezza passi attraverso le fessure: può consistere in uno scorcio di cielo colto da una finestra semiaperta, nel riflesso sul tetto metallico di un bagno pubblico, nel sole che filtra attraverso le foglie delle piante nelle foto scattate senza guardare nell’obiettivo, o nelle piantine che crescono per caso in posti improbabili e il protagonista porta a casa e cura amorevolmente. La vita è dura, il film ci lascia intravedere un rapporto difficile del protagonista con la famiglia d’origine, ma si può scegliere di vivere serenamente distinguendo l’adesso dalle altre volte, stando accanto alle persone che si incontrano, sforzandosi di cogliere il bello dovunque, chiudendosi in una bolla fatta di libri e musicassette, con una ritualità identica ogni giorno ma ogni giorno ricca, alla faccia di Spotify. Quindi non è che il dolore non esista e bisogna lottare per sorridere nonostante tutto, come si vede nell’ultima inquadratura (e unica frontale) di Hirayama, ma pare proprio che ne valga la pena

 

 

Guglielmina Morelli

(Jolly)

Wim Wenders, protagonista nei primi anni ‘70 del Neuer Deutscher Film, è stato, tra tutti i protagonisti di quella straordinaria esperienza produttiva, il più permeabile alle suggestioni che venivano da lontano: in questo Perfect days, infatti, si intrecciano le suggestioni orientali e l’amore per gli USA (compreso un omaggio a Patricia Highsmith, da cui trasse, nel 1977, il notevole L’amico americano, con Dennis Hopper e Bruno Ganz). Il plot, infatti, discende diritto diritto dalla tradizione western: un tizio, per qualche ignota ragione che tuttavia possiamo intuire (incompatibilità sociale, potremmo dire: pare che il nostro protagonista nell’altra vita fosse manager ricco ma infelice, un classico), molla tutto (casa, famiglia, parenti e benessere) per vivere ai margini, isolato e ai limiti dell’indigenza. Unici passatempi: passeggiate in bicicletta, qualche libro, qualche serata in un saloon confortato da una “comprensiva” barista (qui però andiamo tra gli archetipi del narrare e ci troviamo catapultati sulla riva del mare, dove la locandiera Siduri, custode del giardino del dio Sole, offre a Gilgamesh birra e consigli). Musica all american, rock e blues. Ma si sa: il rock salva la vita, genera desideri, sogni e creatività. Piatto forte americano con contorno nipponico: i celebri bagni pubblici di Tokio, l’ombra del cinema classico giapponese (Ozu, in primis), l’ansia di fermare la luce in una foto, diventare albero tra gli alberi percorsi dal baluginio del sole. Un regista meno attrezzato ne avrebbe ricavato un pasticcio intollerabile, lento e falso, ma la fotografia è uno splendore, l’attore è magnifico (di quelli capaci di ridere piangendo e piangere ridendo, e sono pochi), la musica onnipresente e insopportabile (ma qui devo confessare la mia viscerale avversione per ogni forma di rock, straniero o nostrano). Il risultato un po’ così: il film si lascia vedere ma non suscita la curiosità di conoscere Tokio.