Titolo

I dannati

 

da domenica 3 a venerdì 8 novembre 2024

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I  dannati

regia di Roberto Minervini

 

“Inverno, 1862. Da qualche parte nelle terre dell’Ovest, un manipolo di soldati nordisti deve perlustrare il territorio e resistere due settimane prima dell’arrivo della ‘cavalleria’. In attesa di un nemico invisibile organizzano il campo e le guardie. Giovani volontari, che hanno sparato soltanto ai conigli, o soldati di lungo corso, che lucidano Colt e fucili, giocano a carte e si scambiano pensieri sulla guerra civile che dilania l’America. Come solo orizzonte un crinale dietro il quale riparare ed oltre il quale avanzare e interrogare il senso del loro arruolamento. Sono soli sulla terra, trafitti soltanto da un colpo di carabina, ed è subito neve. I nordisti, i cavalli, le giubbe blu, le montagne innevate, i carri, l’accampamento… sono tutti archetipi del western eppure nel film di Roberto Minervini sembra di scoprirli per la prima volta. È una questione di sguardo, di tempo, di suoni, soprattutto di silenzio, è una questione di attesa (soltanto Buzzati ha fatto meglio), è una questione di soldati perduti, malgrado la fede, il padre e la Patria. Discretamente e ostinatamente, l’autore italiano traslocato in America prosegue la sua strada di cinema, un sentiero accidentato ai margini di Hollywood e contro le regole dello spettacolo dominante. Si fa domande Minervini e le risposte sono sempre magnifiche. Questa volta è un film di guerra come una preghiera, fondato sull’esperienza della durata, l’attenzione minuziosa alle persone e ai luoghi, la forza tellurica dei quadri, gli spazi vergini, l’assordante laconismo degli attori. (…) I paesaggi sommergono lo schermo e hanno il tempo di depositarsi, come i personaggi, che marciano o resistono trafiggendo con la loro presenza e le loro questioni montagne e pianure. E in quello spazio infinito c’è sempre un posto dove raggomitolarsi, come il soldato che si è arruolato senza ragione e adesso ‘sente’ la vita come la neve. comincia come il romanzo di Stephen Crane (Il segno rosso del coraggio), fonte di tutta la letteratura sulla guerra civile americana (1861-1865), avanza a cavallo lungo sentieri di fango liquido, costeggia un fiume nero e poi smonta i soldati per montare alloggi e rifugi da occupare con settimane di ozio e di monotona attesa. Un raggio di sole dorato buca le nuvole e accarezza le barbe incolte dei ‘guerrieri’, sfuggendo liricamente alla circolarità dei loro ragionamenti. Minervini I Dannati compone dei tableaux vivants di una guerra che è tutte le guerre insieme, dove i soldati combattono per diventare uomini, forse eroi, sicuramente cadaveri. Il film prende piena misura del destino dell’individuo in mezzo a forze collettive. La battaglia è imminente, l’inferno non è mai lontano. Irrompe improvviso nelle immagini e nei suoni, avvicinando la narrazione al fantastico, come per ritagliare le scene di guerra da una possibile realtà. Quello che i soldati vedono non è di questo mondo, ma appartiene al regno dei morti. Nuovo film di Roberto Minervini, I Dannati, appena presentato a Un Certain Regard a Cannes 77 (e in cui ha vinto il premio come Miglior Regia), si presenta come qualcosa che si avvicina all’estremo, come il cinema di Herzog, Bela Tar, Sokurov, Olmi, Malick o come il Buzzati de Il Deserto dei Tartari. Ma lo fa senza assomigliare a nulla di tutto questo. Si avvicina all’estremo e all’infinito, togliendoci qualsiasi riferimento, quasi togliendo la terra sotto i piedi allo spettatore. Minervini ci dona un film di guerra in cui l’”altro”, il nemico, è praticamente assente (e viene in mente chi dell’altro, il nemico, fece un film, come il Clint Eastwood di Lettere Da Iwo Jima). Ci offre un film di guerra in cui il conflitto bellico non è quasi mai svelato, ma in cui il dilemma umano (interiore e dialettico) è sviluppato dalle riflessioni personali dei personaggi, indagati, inseguiti e svelati nella loro intima essenza.”

Marzia Gandolfi, da mymovies.it




Giulio Martini
(domenica pomerigg
io)

 

 

 Con una feroce premessa alimentare, un finale che ricorda la manna dal cielo e la citazione biblica da Ezechiele al centro ( "Apri la bocca e mangia quello che ti do ") il film di Minervini è  una attonita riflessione di gruppo sul plumbeo mistero  della violenza, grazie alla quale si pensa di tutelare la  propria vita nutrendosi della vita altrui.
Si campa ogni giorno negli USA  con le armi in mano 
( grazie al 2.o Emendamento...
 ), trattate come fossero attrezzi da cucina da tener puliti ed in ordine per poter meglio scampare da nemici famelici , per altro indecifrabili.
La  crudele "catena alimentare" che da sempre si costruisce sul sacrificio del più debole, sembra essere una feroce regola ineluttabile, cui nessuno si può sottrarre almeno in questo Mondo.
Forse ...nell' Altro ?
Coraggioso, originale, linguisticamente nuovo, dalla scelta dei volontari, barbuti profeti o candidi agnellini, alla musica non – musica ,alle riprese sfocate e barcollanti, come si sprofondasse nel pantano delle domande o 
nell'impossibilità di mettere a fuoco risposte lucide e chiare come la neve, il film cammina sul crinale delle grandi domande esistenziali, ma con il respiro quotidiano di chi si stupisce - nonostante tutto - di vivere e voler vivere.

 




Angelo Sabbadini
(lunedì sera)
È solo un caso la programmazione di un film di Roberto Minervini alla vigilia delle elezioni americane? Comunque sia I Dannati è un’opera che, attraverso scelte registiche molto interessanti e apparentemente controintuitive, ricrea le condizioni della Guerra di Secessione americana più di 150 anni dopo. E poi ne cattura il risultato in presa diretta. In un certo senso, I Dannati è un film di fiction nell’allestimento e un film documentario nel risultato. Un approccio intrigante che però cozza con la sensibilità estetica dei visionari del Bazin disperatamente bisognosi di climax. Ne risulta un’incolmabile distanza degli spettatori rispetto all’approccio del regista marchigiano.




Guglielmina Morelli
(mercoledì sera)
Un altro gran bel film in questo fulminante inizio di programmazione. Certo diverso dagli altri, più enigmatico e metafisico ma di grande interesse e suggestione. Chi sono i protagonisti? Contro chi combattono e chi sono i nemici? Verso dove devono dirigersi? E perché? Un’infinita sequela di domande cui si fatica a dare risposta, sebbene la scrittura filmica sia chiara e ben leggibile ci sfugge il “senso”, il perché, lo spazio, il tempo, le relazioni tra i personaggi, lo sviluppo della storia, le motivazioni dell’agire, l’esistere, infine. Proviamo una ipotesi (ma che bello l’intervento dell’amico che ha assimilato i lupi con cui si apre il film alle “tre fiere” dantesche!): i personaggi sono “dannati” perché la vita è “per la morte” e lo sanno. La fatica, la paura, il freddo (chi ha scelto la location è un genio), un nemico implacabile, sono solo i passaggi per giungere infine, ad una sensazione di pace che altro non è che “la prima notte di quiete”. Film splendido.

 













Giorgio Brambilla
(venerdì sera)
 Roberto Minervini costruisce un film inserito in un luogo e tempo precisi, ma che in effetti è fuori da ogni tempo e dallo spazio. Sfoca i contorni e riprende un personaggio alla volta perché quello che l’interessa è l’uomo in quanto tale. Questi è capace di vivere pacificamente con i suoi compagni, come si vede nel soldato che si occupa amorevolmente di un giovanissimo quasi sconosciuto compagno che si sta surgelando. Ha però dentro di sé anche l’inclinazione a sopraffare il suo prossimo, a sbranare l’altro, come i lupi della sequenza che precede i titoli di testa. Ecco perché il nemico è sempre fuori fuoco o fuori campo: rappresenta quello che ognuno di noi ha, anche dentro di sé. Per questo siamo tutti dannati.
Questo rende la vita tragica, in generale. Eppure anche in questa condizione sembra che si possa gioire, come i due soldati che, alla fine, appiedati e soli nel freddo paesaggio apparentemente senza vita, si godono la neve. Viene in mente il Sisifo felice che chiude il libro di Camus. Qui l’interlocuzione è sia con le scritture, in particolare il Primo Testamento, sia con lo sguardo disincantato di chi crede solo a ciò che vede. Il regista non si sogna di dare risposte; pone però bene le domande, il che è il massimo che (si) può fare
 Roberto Minervini costruisce un film inserito in un luogo e tempo precisi, ma che in effetti è fuori da ogni tempo e dallo spazio. Sfoca i contorni e riprende un personaggio alla volta perché quello che l’interessa è l’uomo in quanto tale. Questi è capace di vivere pacificamente con i suoi compagni, come si vede nel soldato che si occupa amorevolmente di un giovanissimo quasi sconosciuto compagno che si sta surgelando. Ha però dentro di sé anche l’inclinazione a sopraffare il suo prossimo, a sbranare l’altro, come i lupi della sequenza che precede i titoli di testa. Ecco perché il nemico è sempre fuori fuoco o fuori campo: rappresenta quello che ognuno di noi ha, anche dentro di sé. Per questo siamo tutti dannati.
Questo rende la vita tragica, in generale. Eppure anche in questa condizione sembra che si possa gioire, come i due soldati che, alla fine, appiedati e soli nel freddo paesaggio apparentemente senza vita, si godono la neve. Viene in mente il Sisifo felice che chiude il libro di Camus. Qui l’interlocuzione è sia con le scritture, in particolare il Primo Testamento, sia con lo sguardo disincantato di chi crede solo a ciò che vede. Il regista non si sogna di dare risposte; pone però bene le domande, il che è il massimo che (si) può fare

 






Marco Massara
(Jolly)
Un film che fa ‘lavorare’ lo spettatore dalle mie parti è sempre benvenuto!
“I dannati” ci pongono delle domande (perché sono qui ? qual è lo scopo ? Chi/dove è il ‘nemico’),  ci danno delle informazioni apparentemente sconnesse che appunto interpellano lo spettatore e lo fanno ragionare su come articolarle per definire qualche risposta. (assolutamente non a tutte le domande)
Encomio solenne al “location manager” che ha trovato un luogo così desolato, impervio, faticoso perfettamente adatto a rappresentare un ‘inferno’ (non male l’idea delle ‘tre fiere’)   popolato dal disagio esistenziale degli ottimi attori non protagonisti.