Se solo fossi un orso
da domenica 27 a venerdì 1 novembre 2024
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Se solo fossi un orso
regia di Zoljargal Purevdash
La yurta è la tradizionale abitazione della popolazione nomade della Mongolia. Nelle rare opere a sfondo etnografico che giungono sui nostri schermi siamo stati abituati a conoscerla come luogo quasi simbolico in cui si conserva e perpetua la tradizione. In questo film, girato nella capitale, questa caratteristica abitazione diventa segno di un inurbamento privo di qualsiasi pianificazione sociale destinato a creare solo disagio. (…) Uzii frequenta una scuola in cui la divisa è impeccabile e in cui apparentemente si è tutti uguali. Anzi, si può essere così diversi al punto da eccellere in una materia grazie anche, se ne osservi il comportamento, ad un insegnante che ama la propria materia e crede nella possibile emancipazione attraverso di essa. (…) Lo sguardo in macchina che Uzii riserva allo spettatore a un certo punto del film interroga i responsabili politici della Mongolia ma, fatte le dovute proporzioni e considerate le differenze, va oltre i confini nazionali per estendersi a tutte le società in cui di fatto gli ostacoli frapposti a chi avrebbe le carte in regola per emergere non sono trascurabili.”
Giancarlo Zappoli, da mymovies.it
Giulio Martini (domenica pomeriggio) |
rielaborazione cinematografica della propria talentuosa vicenda di prima della classe in una Mongolia, vista con gli occhi di chi ha potuto studiare all'estero e ora ne osserva il tumultuoso cambiamento. Tradizioni spirituali e supestiziose, strutture familiari e di clan, urbanizzazione, smog, povertà e arricchimenti, cultura pop e magia, invasione tecnologica ed educazione sentimentale, tutto è scandagliato in questa garbata e pungente indagine sociale sotto forma di neo-realismo disincantato. Sicura prova d'esordio dell'ennesima personalità di rilievo di questo paese incredibile. |
Angelo Sabbadini (lunedì sera) |
Su quattro film visti al Bazin tre sono firmati da donne, l’ultima regista conosciuta si chiama Zoljargar Purevdash (1990), ha un sorriso da adolescente e una volontà di ferro. La sua carriera ci parla di riscatto e di orgoglio. Nata nell’inferno del quartiere delle yurte a Ulan Bator è riuscita a vincere una borsa di studio che le ha permesso di studiare cinema a Tokio. Tornata in Mongolia ha messo nel mirino della sua macchina da presa le contraddizioni della sua città ed ha centrato il bersaglio. Siamo lontani dall’usuale, ammiccante favoletta etnografica per il pubblico occidentale. Il suo debutto cinematografico convince per compattezza narrativa e efficacia descrittiva. Chi vorrà conoscere la realtà contraddittoria della Mongolia d’ora in poi non potrà prescindere dalla sua lezione. Brava ! |
Guglielmina Morelli (mercoledì sera) |
Da un film che viene da un paese così lontano (nello spazio e, perché no, nel tempo) come la Mongolia potevamo aspettarci yurte, spazi infiniti, mandrie e nomadi dai costumi esotici. Nulla di tutto ciò, che viene solo evocato o rimpianto. Un racconto invece sulla povertà estrema (comune ai paesi post – socialisti) e sull’inquinamento dalla povertà provocato, sui contrasti tra antiche superstizioni e nuovi desideri e comportamenti (dalle Nike ad un improbabile rap), sulla sopravvivenza del passato (la yurta, il memoriale Zaisan) e quartieri nuovissimi con grattacieli e centri commerciali. Chi tiene assieme tutto è un ragazzino che vuole “farcela” (a studiare, emanciparsi dalla situazione di disagio in cui vive, diventare ricco e affermarsi socialmente, mostrarsi forte e vincente). Forse riuscirà nel suo intento, forse no; certamente cresce affrontando una vita durissima (aiutato da un enigmatico insegnante e da un vecchio pastore, anch’egli costretto a inurbarsi) e riesce a provare empatia e amore anche per la madre, che incolpava essere la responsabile della sua situazione. Tanti temi per un film che sembra lineare, ma non lo è e presenta moltissime sfaccettature e flash su cui riflettere. |
Guglielmina Morelli (venerdì sera) |
Guglielmina ha sostituito Giorgio |
Marco Massara (Jolly) |
Una asciutta storia di crescita e promozione sociale sullo sfondo di una miseria pervasiva un clima inospitale e contrasti marcati. Il film non cade nella tentazione del folklore e degli elementi ‘esotici’ (nel senso letterale del termine) ma sa mantenere una esemplare leggibilità senza nulla nascondere allo spettatore. Il tema ecologico, a quanto pare molto importante per la regista, ad un occhio occidentale appare come marginale; quello che risuona forte e chiaro è la “voglia d farcela” e non desiderare il letargo per dimenticare il freddo dell’inverno della volontà. |