Io capitano
da domenica 12 a venerdì 17 maggio 2024
vai ai commenti degli animatori
vai ai commenti del pubblico
IO CAPITANO
REGIA DI MATTEO GARRONE
IO CAPITANO
Anno: 2023
Regia: Matteo Garrone
Attori: Seydou Sarr, Moustapha Fall, Issaka Sawagodo, Hichem Yacoubi, Doodu Sagna, Khady Sy, Venus Gueye, Oumar Diaw, Joe Lassana, Mamadou Sani, Bamar Kane, Beatrice Gnonko
Paese: Italia, Belgio
Durata:121 min
Sceneggiatura: Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini, Andrea Tagliaferri
Fotografia: Paolo Carnera
Montaggio: Marco Spoletini, Andrea Farri
Produzione: Archimede con Rai Cinema, in coproduzione con Tarantula, con la partecipazione di Pathé
“Due adolescenti, Seydou e Moussa, lasciano Dakar, in Senegal, alla volta dell'Italia. Lo fanno di nascosto, un po' incauti un po' sognatori un po' ridendo, spintonandosi l'un l'altro, come del resto sono e fanno i ragazzi a quell'età, a qualunque latitudine, con in mente il calcio e la musica (…) i due partono, inizialmente con l'entusiasmo incosciente dei pionieri. Ma Mali, Libia, mare Mediterraneo saranno soprattutto le tappe di un tragitto a capitoli quasi tutti dolorosi, tra soprusi, violenze, sete, fame, schiavismo, ferite, sfruttamento, in un percorso dove si può morire a ogni svolta e si finisce magari come corpi dimenticati lungo il cammino della speranza. Messa così sembra la classica confezione, prevista e ormai un po' abusata, della cinematografia più sensibile e buonista, calibrata per muovere pietà e indignazione. Matteo Garrone però evita la didascalia di denuncia e il patetico grossolano e ne trae piuttosto un racconto persino solare, luccicante di speranza, commovente solidarietà tra disperati e bisogno di futuro, quasi un classico e avventuroso racconto di formazione (…) le ambientazioni sono di un colorato realismo di sensuale visione, ma soprattutto si coglie il piacere evidente del regista romano nei confronti del colpo di scena magico che sposta improvvisamente i piani della lettura, sino a suggerire una dimensione trascendente di favola contemporanea.”
Massimo Lastrucci da Cineforum.it
“Garrone toglie da subito Io capitano dalla retorica polarizzata che caratterizza il tema dell'immigrazione, restituendogli una purezza di racconto narrato dal punto di vista di chi non viene mai interpellato sull'argomento. Dall'ottica di Seydou e Moussa il viaggio è un'avventura da Capitani coraggiosi (…) Ciò nonostante Garrone, qui regista e cosceneggiatore inserisce nella trama tutti gli elementi che faranno di questo film una cartina di tornasole degli opposti schieramenti: ad esempio i due ragazzi non scappano dalla miseria o dalla guerra ma scelgono autonomamente di avventurarsi oltre il Mediterraneo e gli scafisti libici apparentemente possiedono il numero di cellulare di una ONG, e per contro il film evidenzia il rimpallo della Guardia Costiera italiana e delle autorità marittime maltesi circa il destino dei migranti. Io capitano è soprattutto una parabola sulla necessità di assumersi la responsabilità delle proprie azioni.”
Paola Casella da mymovies.it
“È interessante come Matteo Garrone non insista troppo sulla durezza delle condizioni di vita dei suoi personaggi. Quasi a suggerire che alla base della decisione dei due ragazzi, più che una reale esigenza materiale, ci sia un sogno, vago, di affermazione personale e una più decisiva urgenza di scoperta. Del mondo e di sé stessi. Che naturalmente deve scontrarsi con la paura di abbandonare la sicurezza dell’ordinario. È un momento narrativo universale. Il che conferma la sensazione che Garrone, oggi, sia interessato più alle dinamiche del racconto che a quelle del reale. Alla ricerca, forse, di una linfa immaginativa più vitale, di una maggiore libertà rispetto alle gabbie in cui si rinchiudevano i suoi film di un tempo. Eccoci dunque alle figure e ai momenti tipici. Il richiamo dell’avventura, il terrore dell’ignoto, la spinta decisiva all’attraversamento. E, coerentemente, tutta la prima parte di Io capitano è un andare alla ricerca di un consiglio, di un’esperienza. O di una premonizione.
Poi si parte. E qua iniziano le difficoltà. Per il nostro giovane protagonista, che deve attraversare l’inferno del deserto, concretamente e metaforicamente. Ma soprattutto per il film. Perché il viaggio di Seydou disegna comunque la scoperta di un eroe capace di mantenere la barra dritta e ben saldo il timone, nonostante le innumerevoli avversità. Mentre, d’altra parte, Garrone sembra a tratti smarrire la concretezza terribile, incandescente, della materia che racconta (..) che forse avrebbe trovato un riflesso più fedele nello sguardo del Garrone più allucinato e glaciale. (…) Non che sia necessariamente un male. Ma allora, forse, sarebbe stata necessaria una maggiore fiducia nella forza eversiva di un’immaginazione attiva (…) O sulle implicazioni emotive, non necessariamente retoriche, delle situazioni drammatiche (…) La sensazione è che invece il film sia un po’ incerto sulle strade tra intraprendere e si mantenga a metà, tra le varie tracce, per non smarrire la guida. Come se Garrone si scoprisse bloccato da un eccessivo pudore (…) Ma è comunque evidente il tentativo di trovare una nuova cifra, una rotta diversa per il suo cinema. La ricerca di un diverso piano di contatto con il mondo.”
Aldo Spiniello da sentieri selvaggi.it
“Io Capitanopuò essere definito un bel film: per come è realizzato, per la qualità delle interpretazioni, per il pathos che trasmette e anche perché getta un fascio di luce su uno dei grandi scandali del nostro tempo, la scelta compiuta dalle democrazie europee di “lasciar morire” migliaia di persone ai propri confini. (…) I “cattivi” del film sono i trafficanti che affittano auto, pullman, barche a prezzi esorbitanti, e poi i poliziotti e i miliziani che picchiano, umiliano, torturano ed estorcono denaro, ma Io Capitano non mette a fuoco il nodo politico della questione e anzi rischia -involontariamente- di legittimare la falsa narrazione sulla “tratta dei migranti”, cioè l’idea che gli “scafisti” e i “trafficanti” siano i responsabili degli “sbarchi” e della presunta “invasione”, insomma la retorica politico-mediatica prevalente. Matteo Garrone, in verità, è personalmente lontano da questa rappresentazione e nelle interviste sostiene la necessità di istituire canali di ingresso legale in Europa per tutti, ma il suo film manca di mettere a fuoco questo punto e quindi non affonda il colpo. Io Capitano resta quindi privo di spessore politico, omette di denunciare i veri responsabili del “sistema” che semina ingiustizia e morte, tra i quali ci siamo anche noi spettatori, in quanto cittadini di Paesi che di fatto sostengono quel “sistema”. Il regista ha precisato che il suo intento era semplicemente raccontare una storia mettendosi nell’ottica degli “altri”, cioè i ragazzi in viaggio verso l’Europa, e questo ha fatto, ma intanto “Io Capitano” può essere definito “un bel film” da chiunque, anche da chi finge di non sapere che il deserto nordafricano e il mare Mediterraneo sono diventati dei grandi cimiteri a cielo aperto per “nostra” scelta. Sono le democrazie europee, con le loro politiche sull’immigrazione, come sono ipocritamente chiamate, a sostenere i trafficanti, gli scafisti, le milizie che lucrano sulle “vite di scarto” che devono rimanere fuori dai confini dell’Unione. Io Capitano può essere definito un bel film, ma è certamente un’occasione mancata.”
Lorenzo Guadagnucci da altreconomia.it
Giulio Martini (domenica pomeriggio) |
coraggioso film/ reportage che per evitare stupidi melodrammi accentua l'atroce tragicità dell'odissea africana mescolando paesaggi meravigliosi a situazioni oscene e ciniche. I due ingenui pinocchietti neri sono da Oscar. |
Angelo Sabbadini (lunedì sera) |
A convincere in Io capitano è l’efficacia di una narrazione capace di avvicinare gli spettatori del Bazin all'esperienza dei protagonisti, riducendo le distanze tra l'ordinario delle vite del pubblico e l'eccezionalità di un’autentica, tragica Odissea dei nostri tempi. Senza contare che la conoscenza di Matteo Garrone (da L’imbalsamatore in avanti) da parte degli aficionados del Cineforum facilita la comprensione delle stazioni del film. Un’opera che si muove agilmente tra i due poli dell’estetica del regista romano: iperrealismo e suggestioni favolistiche. Il Pinocchio mancato del 2019 trova una forma compiuta nel 2023 tra Dakar e il Mediterraneo. Collodi diventa nostro contemporaneo e ritroviamo nell’orrore del carcere libico i ragazzi segregati da Mangiafuoco nel paese dei Balocchi. E riconosciamo pure la fatina nelle fattezze di un generoso muratore senegalese che permette a Pinocchio/Seydou di proseguire il suo viaggio dell’eroe verso l’età adulta. |
Guglielmina Morelli (mercoledì sera) |
Film interessante perché ci mostra i giovani immigrati da un punto di vista cui non spesso non pensiamo: li vediamo come ragazzi “normali, uguali ai nostri”, pieni di vita e di desideri, inconsapevoli e poco inclini ad ascoltare le voci degli adulti, tanto della madre quanto del maturo fabbro. Studiano, giocano, lavoricchiano, scrivono canzoni che immaginano bellissime, hanno una casa e una famiglia accoglienti, certo non sono benestanti secondo i nostri criteri ma non sono quei pezzenti affamati e miserabili che talvolta li si dipinge. I due cugini partono per l’Europa, alla ventura, con sprovveduta ed allegra leggerezza. Il loro viaggio lo conosciamo da molte testimonianze dirette, anche se non lo abbiamo mai visto, né mai un giornalista potrà documentarlo: sappiamo che Seydou (ma che attore, questo ragazzo!) giungerà non solo in Italia ma anche alla consapevolezza e alla maturità. Uno spettatore commenta a mezza voce “Speriamo che non finiscano in un CPR!” ed io penso “Speriamo che la smetta di gridare che è il capitano, altrimenti lo arrestano come scafista”. La realtà irrompe e rosicchia l’incanto della speranza, la tenerezza della giovinezza e la meraviglia delle luci e dei colori del deserto.
|
Giorgio Brambilla (venerdì sera) |
Matteo Garrone adotta un registro narrativo meno creativo del solito, ad es. rispetto a Il racconto dei racconti, per concentrarsi con grande rispetto sulla storia dei suoi due personaggi, dando un taglio umanista piuttosto che politico. Di conseguenza i suoi protagonisti non sono ideologicamente degli eroi, ma semplicemente persone che desiderano migliorare la propria condizione e quella della loro famiglia. Saranno le avventure e le sofferenze che dovranno affrontare che ne faranno degli uomini, che pure resteranno anche adolescenti. Seydou attraversa un inferno, mostrato dal regista senza inutile enfasi, impara un lavoro, si assume la responsabilità della vita di molte persone. Riesce a non cedere al delirio di onnipotenza, pur essendo orgoglioso di “non perdere neanche uno di quelli che gli sono stati affidati”, tanto che all’arrivo, invece di nascondersi per evitare guai, grida in faccia ai soccorritori/poliziotti il ruolo che ha avuto nella traversata, del quale va giustamente fiero. Un film profondo, realistico anche nell’uso delle lingue, ma con inserti onirici che ci aiutano a penetrare l’animo del protagonista, coinvolgente al punto da far dimenticare di essere sottotitolato
|
Marco Massara (Jolly) |
‘Viaggio’ spalla a spalla con i migranti dal Senegal alla Libia e poi fino al soccorso italiano. La forza di questo film sta nella gestione della intensità di narrazione, senza disperdersi mai in rivoli di racconto che ne diluirebbe la forza comunicativa. Allo spettatore non viene risparmiato nulla; tuttavia il film instaura un ritmo che appunto modula l’intensità della comunicazione introducendo incontri con personaggi che lasciano spazio a momenti di umanità e solidarietà. Il film si chiude con l’arrivo dei soccorsi che coincide con l’urlo di orgoglio di Seydou. Sarebbe bello ipotizzare un sequel con il racconto di quello che succede dopo il salvataggio |