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Tar
da domenica 4 a venerdì 9 febbraio 2024
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TAR
REGIA DI TOD FIELD
“Dirigere un’orchestra, anzi, il lessico anglofono ci ricorda che avrebbe più senso dire condurla, non è un mestiere per signore. E anche oggi che se ne parla di più (e purtroppo, almeno in Italia, per le ragioni sbagliate), il rapporto continua a essere fermo a una direttrice ogni trenta direttori. Lydia Tár (Cate Blanchett) è una delle poche donne al mondo alla guida di una grande orchestra (…) La vediamo a proprio agio in una lunga intervista, coltissima, dove ripercorre, tra l’altro, la nascita e l’evoluzione della figura che ricopre, dalla tragicomica e suicida introduzione del bastone da parte di Lully agli esempi storici, rari ma sempre significativi, di donne sul podio, da Nadia Boulanger a Antonia Brico (…); la seguiamo a pranzo con il delegato di una fondazione per cui lavora, Accordion, impegnata a sostenere la formazione di nuovi giovani musicisti e conduttori; la ascoltiamo tenere una lezione alla Julliard School, alle prese con le istanze e le idiosincrasie irricevibili, al limite del grottesco, delle nuove leve, con unǝ allievə non-binary che rigetta Johann Sebastian Bach perché maschio cisgender e incarnazione del patriarcato; la accompagniamo di ritorno, con un volo di lusso, a Berlino dove la aspettano la moglie Sharon (Nina Hoss), primo violino dei Berliner, e la figlia Petra. Il tutto sotto lo sguardo, ammirato e desiderante, di Francesca (Noémie Merlant), la sua assistente personale (che non sbaglieremmo a definire parente prossima della Anne Baxter di Eva contro Eva). Nella capitale tedesca la attende, oltre all’orchestra, tutta la macchina, burocratica e di relazioni, della Philarmonie, e, come incombenza, la Quinta di Mahler, quella dell’Adagietto, usato da Visconti in Morte a Venezia e poi da tanti altri, monumento tardoromantico per i più (o forse solo per i più pedanti), incunabolo delle tensioni dell’espressionismo per Berg, Schönberg e soci, e per chi sappia riconoscerne le tracce nel collassare delle armonie, nella convivenza (dis)armonica di bellezza e tristezza. E Lydia, con un’energia e una fisicità che Blanchett sembra mutuare più da Simon Rattle e Gustavo Dudamel che dalle “signore” del podio, invita gli orchestrali proprio a disfarsi di quello che credono di sapere su quella sinfonia, a tradurre la partitura, a interpretarne le strutture con un atteggiamento nuovo, a scombinarla con misura. Una misura diversa da quella che comincia a scombinare la vita stessa e le relazioni di Lydia stessa (…) Todd Field, assente dagli schermi da più di quindici anni non pare in fondo davvero interessato al tema del gender gap, anzi, sembra proprio voler sottolineare per molti versi una sovrapponibilità dell’approccio della sua protagonista con quello maschile, mandandola in crisi quando la realtà le presenta il conto; costruisce un ritratto psicologico per certi versi monumentale come la musica che Lydia conduce, con il paradosso che, pur parlando costantemente di musica sinfonica e di lavoro d’orchestra (o “di concerto”, per assecondare l’uso metaforico che si tende a fare del termine) in fondo il film si concentra sull’ingombrante unicità del Maestro, e quindi sulla presenza e sulla performance straordinaria di Cate Blanchett, in scena praticamente in ogni singola inquadratura, con gestualità da podio e tedesco impeccabilmente preparati.”
Alessandro Uccelli da cineforum.it
Giulio Martini (domenica pomeriggio) |
Se il destino è nel cognome ( Tar in inglese significa "catrame", ma è anche acronimo di " art "...) la nostra rampante direttrice d'orchestra si procura, vive e distrugge la sua fama con cupa ambiguità fino in fondo. Lesbica dichiarata,ma con istanze maschiliste alla Me Too, Lidya Tar concepisce e usa i suoi rapporti erotici come strumentali alle proprie ambizioni. Li dispone e li dirige da esecutori/interpreti del suo modo di provare le forti emozioni che di volta in volta la squassano.
Ma nonostante a freddo distingua tra limpido genio creativo e contraddizioni private (condannando chi pensa il contrario ) Tar non può fuggire dalle tortuose dinamiche interiori, che la rendono sia carnefice sia vittima. Costruito addosso al mostro di bravura della Blanchett, il film ha leziosità intellettuali e visive che ne indeboliscono la per altro coraggiosa, solida ed originale struttura drammatica e qualche lungaggine di troppo.
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Angelo Sabbadini (lunedì sera) |
Sarà un’ovvietà ma Tar riluce per le capacità eccelse della Blanchett che è una delle poche attrici al mondo ad essersi aggiudicata il grande slam degli attori ( Emmy, Grammy, premio Oscar e Tony Award). Intorno a Lei il film risente di una sceneggiatura pretenziosa che spesso gira a vuoto e non convince. L’idea di trattare la forma filmica come una composizione musicale è suggestiva e ambiziosa ma l’esito complessivo è diseguale e in alcuni momenti francamente noioso. Felice invece l’idea del biopic di una direttrice d’orchestra dalla natura indefinita: Lydia Tar è la biografia di un personaggio esistente? Anche se è stato aperto un profilo Twitter con il suo nome, il personaggio è di pura finzione. Ispirato probabilmente alla figura di Marin Alsop, nota direttrice d’orchestra americana, che sul Sunday Times ha duramente stigmatizzato l'operazione cinematografica. |
Guglielmina Morelli (mercoledì sera |
Dunque, andiamo in ordine: cultura e conoscenza della musica smisurate (Mahler non ha segreti per lei, compresa citazione al Visconti di Morte a Venezia), beffarda reprimenda alla cancel culture, fredda determinazione nel prevaricare o manipolare le persone per i propri fini, violenza verbale e aggressività, eccetera. Un mostro, insomma, ma qui mi viene da pensare che sarebbe interessante accostare Lydia Tar al personaggio altrettanto eccessivo di The Whale: al netto delle nefandezze che abbiamo individuato e che talvolta sono parse addirittura fuorvianti, l’anaffettività, espressa dall’algida recitazione di Cate Blanchett, e il desiderio di potere non soltanto non nascondono ma evidenziano angosce di un animo sconvolto ed esacerbato; mi spiego meglio. Cosa sono se non deliri paranoici, da romanzo gotico, il metronomo che parte da solo, lo spartito che scompare o il rudere deserto, abitato da un cane nero, creatura fantasmatica e demoniaca? E poi i giovani che, se nella mentalità comune alludono alla spontaneità e alla freschezza, sono per Lydia (ma anche per noi) insopportabili o incomprensibili: Max appare un perfetto idiota; Olga, che la sfrutta senza neppure cogliere l’infatuazione che la donna ha per lei, è volgare e plebea. Lydia, certo, vuol dominare ma mostra un affetto pieno verso le persone fragili che la amano gratuitamente, il vecchio maestro (cui paga un autista che rimprovera per la scarsa sollecitudine) e Petra, la bambina emarginata, bullizzata e infelice. I vecchi e i bambini, i deboli per eccellenza. Forse occorre rivedere il film da capo (sperando che questa volta che tutto vada bene nella proiezione!), magari ci svela qualche aspetto che, rintronati dal fragore della musica di Mahler, non abbiamo colto. |
Giorgio Brambilla (venerdì sera) |
Todd Field disegna davanti ai nostri occhi la figura di una grande musicista, coltissima e capace di essere sublime, ma rovinata dall’eccessivo potere nelle sue mani. Così ci porta a capire che una persona cattiva possa far parte di quelle categorie che noi persone “evolute” ci sentiamo in dovere di proteggere – artisti, donne, gay. Andando al di là dei luoghi comuni, ci fa contemplare lo spessore di questa direttrice d’orchestra, la dedizione totale che mette nella sua arte, ma anche l’abilità ipocrita che ha nel manipolare gli altri. Peraltro non ci risparmia neanche l’ambiguità di molti tra coloro che la circondano, come Francesca, che le sta accanto con deferenza ma probabilmente manda messaggi a qualcuno (Krista?) nei quali la critica. Un’opera fuori dai canoni del genere, che ci immerge anche nell’inconscio della protagonista talvolta esplicitamente, tal altra senza darlo a vedere, come nella scena del metronomo, e le sbatte in faccia il proprio io oscuro quando le fa scegliere delle ragazze come da un acquario, ma ribadisce il suo rigore interpretativo anche quando, nel finale, si trova a dirigere in un contesto decisamente non da intellettuali. Un testo profondo, non didascalico, quasi fin troppo rigoroso |
Marco Massara (Jolly) |
Come è noto i film pieni di opacità e trabocchetti mi affascinano da sempre. Qui però un po’ si esagera, mettendo in campo la ricerca della perfezione mahleriana con la Berliner Philharmoniker, l’erotismo lesbico e la creatività musicale. Tra i vari bivi drammaturgici proposti scelgo quello più sotto traccia: lunghi viaggi in auto su strade deserte o troppo pericolose, suoni ed apparizioni fantasmatici, comparse al concerto finale truccati da animali fantastici mi suggeriscono una sorta di ‘viaggio allucinante’ ai confini della ricerca della ‘creatività sostenibile’ ed oltre. Cate Blanchet fantastica.
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