Il cast (torna su)
Regia:
François Dupeyron
Sceneggiatura:
François Dupeyron, Eric-Emmanuel Schmitt
Attori:
Omar Sharif .... Monsieur Ibrahim
Pierre Boulanger .... Momo
Gilbert Melki .... Padre di Momo
Isabelle Renauld .... Madre di Momo
Lola Naymark .... Myriam
Anne Suarez .... Sylvie
Mata Gabin .... Fatou
Prodotto da:
Laurent Pétin, Michéle Pétin
Fotografia:
Rémy Chevrin
Montaggio:
Dominique Faysse
Casting:
Brigitte Moidon
Scenografia:
Katia Wyszkop
Costumi:
Catherine Bouchard
Nazione: Francia
Durata: '94
La trama (torna su)
Momo e Ibrahim: due generazioni, due culture a confronto, un confronto costruttivo, civile e umano negli anni '60. Ibrahim è unn turco che possiede un emporio nel quartiere ebraico dove vive il piccolo Momo. A soli dodici anni, il ragazzino sconsolato, abbandonato dal padre, trova rifugio e amore nel negozio del saggio vecchio ed entrambi si alimentano per cancellare la solitudine e continuare a vivere. |
La
Stampa (30/8/2003) Lietta Tornabuoni |
Sono molti i film della Mostra del cinema tratti da opere letterarie (per insicurezza? per povertà di pensiero proprio? per convinzione?): «The Dreamers» di Bernardo Bertolucci si rifà fedelmente al romanzo di Gilbert Adair, «Buongiorno, notte» di Marco Bellocchio si ispira al libro di Anna Laura Braghetti «Il prigioniero», «Alila» di Amos Gitai si basa su un racconto di Yeoshua Knaz, «Zatoichi» di Kateshi Kitano deriva da un racconto di Kan Shimozava, «The Human Stain» di Robert Benton è tratto dal romanzo di Philip Roth, «Pornografia» dall'opera di Gombrowicz, «Matchstick Man» di Ridley Scott dal libro di Eric Garcia, «La luz prodigiosa» di Miguel Hermoso con Nino Manfredi nasce dal romanzo di Fernardo Marìas. E anche dietro «Monsieur Ibrahim et les fleurs du Coran» («Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano») di François Dupeyron c'è un racconto leggero e serio di Eric-Emmanuel Schmitt pubblicato in Italia da e/o. Anni Sessanta. In un quartiere popolare parigino le cui strade hanno nomi di favola (Rue Bleu, Rue de Paradis) diventano amici un anziano bottegaio musulmano adepto al sufismo e nato in Turchia, Monsieur Ibrahim, e un adolescente ebreo a cui l'essere ebreo non interessa affatto. Il ragazzo Momo vive solo con il padre in un grande appartamento oscuro. Il padre è un uomo tetro, depresso, punitivo, la madre se n'è andata, è il ragazzino a fare la spesa, cucinare, rubacchiare per poter frequentare le cordiali prostitute del quartiere. Il signor Ibrahim è il droghiere di fronte che lavora sempre dalle otto a mezzanotte ma senza fretta, senza affanno; un uomo sereno, spiritoso, lieto, che insegna a Momo tante cose: quant'è bella Parigi, come sorridere, come portare un paio di belle scarpe, come vivere. Il padre del ragazzo viene licenziato, se ne va per la vergogna di non riuscire a trovare un nuovo lavoro, finirà suicida sotto il treno. Il legame tra il signor Ibrahim e il ragazzo si stringe, diventa paterno-filiale: il droghiere adotta Momo come figlio, lo accompagna al bagno turco, gli compra un'automobile rossa che nessuno dei due sa davvero guidare, lo porta in viaggio sino al proprio Paese, la Turchia, attraverso un paesaggio arido, mineralizzato, molto bello. E lì, dopo un incidente d'auto, il signor Ibrahim muore calmo, sorridente: il ragazzo è ormai in grado di cavarsela da solo. Due nazionalità, due generazioni, due religioni, due culture, due temperamenti, due modi di vivere si trovano a confronto: e non c'è dubbio che l'anziano musulmano sia il più vitale, il più capace in quell'arte di sorridere alla vita racchiusa nei preziosi fiori del Corano. Il film ottimista evita la melensaggine anche grazie agli interpreti. Il ragazzo Pierre Boulanger recita con naturalezza e partecipazione. Omar Sharif, forse il primo attore arabo a venire a suo tempo considerato bello dal cinema occidentale, ha una voce magnifica, uno sguardo brillante e dolce, un magnetismo radioso, ed è certo più bravo di quanto sia stato ne «Il dottor Zivago» o in «Lawrence d'Arabia». «Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano» non è un gran film come François Dupeyron non è un gran regista, ma ha grazia divertente, serietà impegnata, una generosa allegria poco frequente. |
la
Repubblica (6/9/2003) Roberto Nepoti |
Il buon vecchio e il bravo fanciullo. Con la mamma che si è data alla latitanza e il padre ipocondriaco, il tredicenne Momo è un ragazzo parecchio infelice: deve occuparsi del ménage famigliare, ama segretamente la figlia della portinaia e non possiede uno straccio d'amico. O meglio uno ce l'ha ed è l'anziano droghiere "arabo" Ibrahim, che vende prodotti alimentari dispensando perle di saggezza - più o meno - coranica. Dal piccolo, delizioso racconto di Eric-Emmanuel Schmitt (un po' esile per essere portato sullo schermo), un film per chi ama gli aforismi ("Ciò che dai è tuo per sempre, ciò che tieni è perduto per sempre", "Il segreto della felicità è la lentezza"...), le atmosfere quiete e un po' fuori dal mondo (una pittoresca Rue Bleue, popolata di prostitute dal grande cuore), le parabole gentili e le interpretazioni sottotono. Grazie all'amicizia con il vecchio musulmano, il giovanissimo ebreo varca la soglia dell'età adulta; via un viaggio in spider nel paese natale di Ibrahim di valore nostalgico per il vecchio, iniziatico per il ragazzo. Appena presentato fuor-concorso alla Mostra di Venezia, il film di Fançois Dupeyron è aggraziato quanto basta, un po' troppo prevedibile per tenere desta l'attenzione lungo novanta minuti, diretto con mano sicura. La prima parte consiste in una somma di scene tra Momo e gli altri personaggi, girate con cinepresa mobile e commentate da brani anni '60. La seconda, quella riservata al viaggio, è (curiosamente) più pacata e accompagnata da musica per flauto. |
Film
TV (9/9/2003) Enrico Magrelli |
«Sorridere rende felici». II segreto della felicità é la lentezza». «Ciò che dai é tuo per sempre, ciò che tieni é perduto per sempre». Sono alcune delle perle di saggezza che il droghiere musulmano Ibrahim (un 0mar Sharif che trova dalle prime scene il sottotono giusto) dispensa tra una scatoletta di ravioli e un beaujolais del suo negozio a Moise, soprannominato Momo, in una strada parigina d'altritempi. Momo é un sedicenne sveglio e solitario che guarda dalla finestra la vita della via-acquerello, una strada pittoresca e molto stereotipata che si impone come set, come geografia del ricordo e della convenzione di certo cinema francese. Il giovane protagonista é innamorato delle prostitute affettuose e materne e della figlia della portiera e vive, dopo l'abbandono della madre, con il padre arcigno e oppresso da problemi intestinali, occupandosi della spesa, della casa e della cucina. L'amicizia con il vecchio "arabo" segna il passaggio alla maturità di Momo. Dopo l'adozione, i due partiranno con uno spider verso il paese natale del saggio droghiere, tra l'Anatolia e la Persia. Garbato, molto prevedibile, non noioso, scritto e diretto in modo piano, il film convince più nella descrizione dell'incontro tra il ragazzo e il vecchio e nello scrutarsi, tollerante, tra i due mondi. Il viaggio automobilistico verso le radici non ha alcuna originalità e sembra "finto" come la Parigi della "vie" quasi rosa. |
Il Giorno (13/9/2003) Silvio Danese |
Storia d'amicizia, solitudine e saggi consigli negli anni '60 delle radio a transistor, dello yéyé e delle spider: «Sorridere rende felici», «Ciò che dai è tuo per sempre, ciò che tieni è perduto per sempre», sono tra i detti coranici che suggellano l'incontro tra un ebreo tredicenne, abbandonato a se stesso, e un vecchio arabo proprietario di un negozio di alimentari. Quando tutto sembra perduto, il vecchio trova nel giovane una ragione per ridare senso alla vita e il giovane trova nel vecchio il coraggio di camminare verso un futuro. Punto di fuga diventa un viaggio in Turchia, alle radici della famiglia, a bordo di un bolide rosso, che naturalmente contiene anche il destino della coppia. Piccolo film di Dupeyron dopo l'imponente La chambre des officiers, nel tema implicito della concordia possibile tra arabi ed ebrei lascia emergere quello esplicito della paternità nel contesto delle relazioni multietniche, ma è difficile non sentire il peso dell'opportunismo produttivo: un santino al grande Omar Sharif, Leone d'oro alla carriera. |
I link (torna su)
Sito ufficiale italiano - http://www.ifioridelcorano.it/ |