Le Invasioni Barbariche

(Les Invasions Barbares, 2003) 

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Il cast (torna su)

Regia: 
Denys Arcand

Sceneggiatura:
Denys Arcand

Attori: 
Rémy Girard .... Rémy
Stéphane Rousseau .... Sébastien
Dorothée Berryman .... Louise
Louise Portal .... Diane
Dominique Michel .... Dominique
Yves Jacques .... Claude
Pierre Curzi .... Pierre
Marie-Josée Croze .... Nathalie

Prodotto da: 
Daniel Louis, Denise Robert

Musiche originali:
Pierre Aviat

Fotografia: 
Guy Dufaux

Montaggio:
Isabelle Dedieu

Costumi:
Denis Sperdouklis

Nazione: Canada | Francia

Durata: 112

La trama (torna su)

Rémy è affetto da un male inguaribile, ma mantiene il brio e il buonumore. Sua moglie Louise cerca di convincere il figlio Sebastien a rientrare da Londra per stare accanto al padre. Il ragazzo torna contro voglia perché non ha mai avuto un buon rapporto con il genitore, ma scoprirà di potersi riconciliare al padre e rendergli piacevoli gli ultimi giorni.

La critica (torna su)

La Stampa (4/12/2003)
Lietta Tornabuoni
Denys Arcand, il regista canadese francofono sessantaduenne, maestro del cinema di conversazione, narratore della borghesia colta, alludendo al suo film più famoso, «Il declino dell'impero americano» (1986), dice che adesso l'impero americano regna sul mondo in maniera assoluta e quindi dovrà respingere senza sosta quegli attacchi dei barbari di cui l'attentato dell'11 settembre 2001 è stato soltanto il prototipo; dice pure che per gli americani tutti sono barbari, arabi, italiani, giapponesi. Ma il suo film «Le invasioni barbariche», intelligente, commovente, divertente, premiato per la migliore sceneggiatura e per la migliore attrice all'ultimo festival di Cannes, parla dell'invasione barbara definitiva: quella della malattia e della morte nel corpo di un uomo maturo, simbolo del malessere della nostra civiltà. Un professore universitario di Storia è in ospedale, sta morendo d'un cancro inguaribile. Il figlio, uomo d'affari che vive a Londra e non gli vuole bene, lo raggiunge soltanto per accontentare l'amatissima madre, non più moglie del malato ma sempre legata a lui. L'ospedale canadese è come tanti ospedali italiani: letti coi malati gravi nei corridoi, liste d'attesa di mesi per gli esami, infermieri irresponsabili, sindacalisti anche ricattatori. Come in Italia e ovunque, vige la capitalistica legge dei soldi. Il figlio del malato paga per migliorare le condizioni del padre: paga gli infermieri, paga l'amministrazione ospedaliera per ottenere una stanza singola, paga gli studenti del malato perché vadano a trovarlo, paga per fargli avere eroina antidolore, paga per raccogliere intorno a lui la vecchia allegra banda degli amici d'un tempo (sono gli attori de «Il declino dell'impero americano»). Parenti, colleghi, ex amanti restano anche quando il professore si trasferisce in una casa bellissima sul lago. Gli tengono compagnia sino alla fine, fanno musica, cucinano piatti raffinati, ricordano le ideologie, gli eroi e gli errori della giovinezza comune, recitano versi, raccontano storielle, lodano i libri prediletti (Cioran, Primo Levi, Solgenitsin). Discutono di politica: il morente è convinto che sia in arrivo la barbarie, che la cultura occidentale di Dante o di Montaigne sparirà, che l'importante sia (come facevano i monaci nel Medio Evo) conservare i libri. Sembra una convalescenza. È un'agonia: di un uomo, ma anche di una generazione, d'una borghesia intellettuale edonista e libertina, d'una cultura. Anche se privo di innovazioni rispetto al linguaggio cinematografico e di impianto piuttosto teatrale, il film benissimo recitato parla di morte con la massima vitalità.


Corriere della Sera (6/12/2003)
Tullio Kezich
Le Invasioni barbariche, in cui il franco-canadese Denys Arcand dà un brillante seguito a Il declino dell'impero americano (1987), contrabbanda una massiccia dose di buonumore narrando la cronaca di un'agonia. Chi se ne sta andando è Rémy (il bravo Rémy Girard); e accorrendo al suo capezzale il figlio Sébastien lo trova nella bolgia di un ospedale nazionalizzato peggiore dei nostri. Per migliorare la situazione, Sébastien corrompe dirigenti, sindacalisti e poliziotti, riunisce intorno al babbo gli amici e le donne di una vita; e affronta rischi per procurargli l'eroina che allevia i dolori. Nelle more il malato si sfoga a inveire contro Pio XII, Bush e Berlusconi; e profetizza catastrofi, convinto che l'11 settembre è cominciata l'invasione barbarica dell'impero Usa. Fino all'ultimo paradosso quando, giunto sul passo estremo, rievoca l'immagine più erotica vista nella vita ricordando Santa Maria Goretti che si alza la gonna per fare il pediluvio nel film Cielo sulla palude di Genina.


la Repubblica (6/12/2003)
Roberto Nepoti
Il mondo era già un gran casino quando, diciassette anni fa, Denis Arcand realizzò "Il declino dell'impero americano", una commedia amara dove alcuni intellettuali tentavano - al mondo - d'infilare le braghe. Ora le cose vanno anche peggio secondo il regista canadese, che intitola il suo nuovo film Le invasioni barbariche con riferimento alla fase storica cominciata l'11 settembre di due anni fa. Riprendendo i personaggi del prototipo, ne condanna a morte uno: Rémy, professore universitario sulla cinquantina malato di cancro, che ama autodefinirsi "socialista edonista". Al suo capezzale si danno convegno ex-mogli e amanti, amici, figli e studenti. Rémy rappresenta la generazione dei padri; ma saranno proprio i figli, che lui non capisce più (il suo rampollo rampante e danaroso, nonché una giovane junkie), ad aiutarlo nel trapasso. Intorno, tutto va a catafascio: l'America fa il gendarme dell'impero; i "barbari" premono alle porte, qualunquismo, cinismo e arbitrio regolano i rapporti (ma si può ancora definirli così?) umani. Arcand non suggerisce antidoti. Traccia il bilancio di una generazione senza farsi illusioni, ma senza rancore; magari - questo sì - mettendosi nella posizione di quello che ha capito molte cose e lasciando trapelare una certa ammirazione per se stesso. Comunque, gettate nel cestino le norme ipocrite del "politically correct", riesce a realizzare un film commovente e buffo, venato di tenerezza, serio con humour, leggero con profondità.


l'Unità (5/12/2003)
Alberto Crespi
Chi sono i barbari? Secondo Denys Arcand, sono gli americani: per un canadese è una risposta legittima, anche se il regista del Declino dell´impero americano è troppo intelligente per non aggiungere: «Non dimentichiamo che la parola “barbari” è stata creata dai greci, e poi usata dai romani, per indicare gli "altri", i popoli che vivono al di là del confine. Quindi la nozione di "barbari" è culturale, e legata alla contingenza geografica e politica. Per chi lavorava al World Trade Center l´11 settembre 2001 i barbari erano gli assassini che arrivavano in aereo. Ma per chi vive oggi in Iraq è verosimile che i barbari siano gli americani». Impressione condivisa dagli intellettuali canadesi (ma del Quebec, quindi francofoni & francofili) che sono i protagonisti delle Invasioni barbariche, film che quindi - diciamolo una volta per tutte - non parla di Attila né di Alarico. Abbiamo citato prima Il declino dell´impero americano, film del 1986 che rimane il più celebre di Denys Arcand. Non a caso: Le invasioni barbariche ne è un seguito. Arcand è tornato sul luogo del delitto, o del diletto, per soddisfare finalmente una voglia matta che si trascinava dietro da anni: fare una commedia sulla morte. «Volevo raccontare la storia di un uomo maturo, più o meno della mia età - un sessantenne colto, intellettuale, raffinato e un po' gaudente, che si ammala di cancro e si trova ad affrontare la morte in faccia; ma volevo raccontarla in modo leggero, ironico, spiritoso. La sceneggiatura non quagliava... fino al momento in cui ho pensato che l'uomo poteva essere Remy, il personaggio del Declino interpretato da Remy Girard». A volte i film nascono programmati a tavolino, a volte sbocciano da felici coincidenze: Le invasioni barbariche è una coincidenza felicissima, perché è veramente bello. Remy, dunque, è un professore di storia che sta per morire. Umanistico e umano (troppo umano), è anche un uomo insopportabile, un ex donnaiolo tutt´altro che pentito e un pessimo marito e padre di famiglia. Suo figlio viene raggiunto dalla notizia in quel di Londra, dove lavora in Borsa: è l´esatto opposto del padre, yuppie e tecnologico, e ritiene di non aver nulla da dirgli neppure in punto di morte. Ciò nonostante, parte per Montreal. Rivede il genitore. Rimane colpito dalla polemica vitalità con la quale affronta la morte, i dottori, il dolore e tutto ciò che lo circonda. E matura una bizzarra idea: chiamare a raccolta i vecchi amici di Remy, e un paio di sue ex amanti, perché papà possa morire circondato da tutti coloro che sono stati importanti nella sua vita. Ovvero, dai personaggi... del Declino dell´Impero americano, che si ritrovano invecchiati a parlare come sempre di cultura, di politica, di sesso e di morale, naturalmente con 17 anni e qualche grammo di saggezza in più. Potreste pensare a un Grande freddo con morto ancora vivo, o ad un film comunque tetro. Nulla di tutto ciò. Le invasioni barbariche è prima di tutto una commedia crudelmente divertente (strepitosa la carrellata di immagini femminili sulle quali Remy si è gioiosamente masturbato negli anni: si parte da Ines Orsini, la Maria Goretti del Cielo sulla palude di Genina, e si arriva alla tennista Chris Evert). Inoltre, vivaddio, è un film «politicamente scorretto» in modo esuberante e selvaggio. Vi basti vedere il ruolo – tutt'altro che sgradito - che hanno le droghe, leggere e pesanti, nell'alleviare le sofferenze psichiche e fisiche di Remy. Girard è un attore gigantesco, ma tutti i suoi vecchi partner (Dorothée Berryman, Dominique Michel, Yves Jacques, Pierre Curzi) sono bravissimi. E fra i giovani Marie-Josée Croze è talmente in gamba da aver meritato, a Cannes 2003, il premio come migliore attrice.


il Giornale Nuovo (5/12/2003)
Maurizio Cabona
Quindici anni dopo Il declino dell'impero americano. (dvd Dolmen , Le invasioni barbariche di Denys Arcand ha stesso regista e stesso sceneggiatore, stessi personaggi e stessi interpreti. Il gaudente professore di Rémy Girard ha ora cinquantadue anni, pochi per morire, ma il destino ha deciso diversamente. E in una camerata dell'ospedale di Montréal lui ora si dispera, ora ragiona come se avesse un futuro. Quanto alla moglie separata (Dorothée Berryman), scopre d'aver amato solo lui: così chiama in aiuto il figlio (Stéphane Rousseau), agente finanziario a Londra, che col padre ha litigato, ma ha soldi e sa usarli per addolcire l'agonia con l'eroina, fornita dalla figlia (Marie-Josée Croze, premiata a Cannes pur nell'esiguità del ruolo di una ex amante (Louise Portal) del padre... Nel via vai di parenti, amici lontani e amanti smesse, emergono cantonate politiche e ricordi cinefilici. Commuove l'omaggio al Cielo sulla palude di Augusto Genina (1949j, con le ambite caviglie di Ines Orsini/Maria Goretti. E' un film - come La mia via, come Le campane di Santa Maria - che generazioni di alunni delle scuole cattoliche hanno visto, un film di cui si sente la mancanza per le caviglie, certo, ma anche per quello che è venuto dopo.


Film TV (9/12/2003)
Emanuela Martini
« Per far funzionare le tette occorre drenare sangue dal cervello. E' per questo che le donne sono più stupide ». Parola della fetta maschile della banda ormai anziana e immalinconita del Declino dell'impero americano, riunita in una clinica e poi in una bella casa sul lago per accompagnare alla morte uno di loro, Rèmy, socialista lussurioso cui è toccato in sorte come figlio un capitalista puritano. Solo una delle tante boutade che animano i dialoghi fitti e paradossali (e di alto livello) di questo film corale che mette a confronto padri cinquantenni che hanno conosciuto la Rivoluzione culturale cinese attraverso Godard e Sollers e poi un bel giorno hanno incontrato cinesi veri cui erano state sterminate la famiglie e figli scontenti, distanti e diversi; uomini chiacchieroni e donne che, nei 17 anni trascorsi dal primo film, hanno preso in mano la loro vita; l'impero americano vissuto dall'immediata periferia (il Canada) e il resto del mondo (barbaro) che preme ai suoi confini. Denys Arcand non è un grande regista, il suo film migliore resta Il declino dell'impero americano, del 1986, di cui Le invasioni barbariche è un seguito comunque intelligente e non banale. Film solo di parola e di attori (infatti a Cannes ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura, dello stesso Arcand, e per la migliore attrice, Marie-Josèe Croze), ha tuttavia il pregio di non essere rabbonito (se non nella morte) e di trasmettere ancora qualche dubbio.


I link (torna su)

Sito ufficiale - http://www.bimfilm.com/leinvasionibarbariche/