Il cast (torna su)
Regia:
István Szabó
Sceneggiatura:
Ronald Harwood
Attori:
Michael Gambon .... Jimmie Langton
Annette Bening .... Julia Lambert
Leigh Lawson .... Archie Dexter
Shaun Evans .... Tom Fennel
Mari Kiss .... Mr. Gosselyn's Secretary
Jeremy Irons .... Michael Gosselyn
Ronald Markham .... Butler
Prodotto da:
Robert Lantos
Fotografia:
Lajos Koltai
Montaggio:
Susan Shipton
Costumi:
John Bloomfield
Scenografia:
Luciana Arrighi
Musica:
Mychael Danna
Nazione: USA
Durata: 105'
La trama (torna su)
Storia d'amore e vendetta nella Londra anni '30. Una diva piena di successo e fama, Julia Lambert, si innamora perdutamente di un giovane americano, che scoprirà presto essere solo un arrivista. |
Corriere della Sera
(6/11/2005) Tullio Kezich |
Nel
1933 William Somerset Maugham, fecondo drammaturgo oltre che popolare
romanziere, smise di scrivere per il teatro. Non ancora sessantenne
e destinato a sopravvivere altri 32 anni, si era convinto di aver perso
l'indispensabile piglio giovanile. Tutto ciò che aveva assorbito
nella sua lunga militanza lo travasò in «Theatre»
(1937), un compendio di scienza del palcoscenico in salsa da romanzo
rosa. Tradotto da Elio Vittorini, diventò «Ritratto di
un'attrice» nella Medusa di Mondadori (1938): e fu un significativo
cambiamento di titolo, al quale ne seguirono altri. Se infatti la commedia
che Guy Bolton trasse da Maugham nel 1942 si chiamò ancora «Theatre»
, lo stesso testo ripreso nel '50 diventò «Larger Than
Life» (Più grande della vita). Fu un successo, ma niente
a paragone di ciò che accadde in Francia nel '54, dove nell'adattamento
leggerino di Marc Gilbert Sauvajon «Adorable Julia» Madeleine
Robinson la recitò per oltre quattro stagioni (in Italia una
Giulia insuperata fu nel '56 Andreina Pagnani). Lilli Palmer la portò
sullo schermo, in coppia con Charles Boyer, nel film austro francese
Giulia tu sei meravigliosa (1962) di Alfred Weidenmann. E poiché
Adelphi ha riproposto il romanzo come «La diva Julia», questo
titolo è stato attribuito da noi al film Being Julia di István
Szabó, che ha meritato ad Annette Bening il Golden Globe e la
nomination all'Oscar. Sette cambiamenti di intestazione rappresentano
un record e vanno spiegati. L'intuizione «commerciale» di
Vittorini di polarizzare la complessa materia del romanzo sulla figura
dell'eroina è stata ripresa da tutti gli adattatori. Se nel libro
troviamo l'intera storia del matrimonio fra Julia e Michael tra innamoramento
e stanchezza, divagazioni e delusioni, commedie e film (incluso quest'ultimo)
ritagliano soltanto l'amorazzo fra la protagonista e un giovane furfantello.
Il quale non esita a tradirla con un'attrice debuttante sulla quale
Julia si prende la sua rivincita in scena nella classica situazione
tipo Eva contro Eva (Mankiewicz certo conosceva il testo di Maugham).
Ciò che si perde nel quadro d'ambiente si recupera, in un buon
film da «cinema di papà» , nell'incarnazione della
Bening che ha l'età esatta del personaggio e l'aria di condividerne
gli estri. La nota simpaticamente insolita è lo sfacciato buonumore
che mettono a Julia le sue scappatelle erotiche. Purtroppo le figure
del coro, a cominciare dall'impeccabile Jeremy Irons, non hanno abbastanza
spazio. La cornice è accurata e plausibile, anche se Londra '38
è stata ricostruita a Budapest, e le musiche sono d'epoca: sui
titoli di coda scivola suadente «Smoke Gets in Your Eyes». |
il Manifesto (6/10/2005) Roberto Silvestri |
Aspettando
Hotel, opera seconda, noir politico, di Jessica Hausner, austriaca,
che ha studiato e ben assimilato cattivi maestri come Fassbinder e li
saccheggia, già nelle sale c'è l'ultimo film, troppo ben
vestito e pettinato, di un altro mitteleuropeo, Istvan Szabo, ungherese,
il regista di Mefisto e Colonnello Redl, che stavolta lavora, alla James
Ivory, sul romanzo di W. Somerset Maugham La diva Julia (che in realtà,
già nel titolo originale, Theatre, non dissimulava supreme ambizioni,
ed è pubblicato da Adelphi). Annette Bening, la diva, era quasi
obbligata a conquistare almeno il Golden Globe: è lei Julia Lambert
la più grande attrice del teatro inglese degli anni 30 del novecento,
alle prese con la fase più delicata della sua vita e con una
pièce difficile da maneggiare (visto che anche l'autore s'era
smarrito). Nel mezzo del cammin della sua vita, così, Julia -
un matrimonio finito con un impresario (che resta eccentrico e stravagante,
però, è Jeremy Irons), un amante americano che ha vent'anni
meno di lei, e i soliti complotti e coltelli volanti dei talenti emergenti
che, da Eva contro Eva in poi, ben conosciamo e che lei sapeva fino
ad allora scansare - sta proprio per essere travolta... Ma il finale,
un happy end di rara sagacia compositiva, rimetterà tutte le
cose a posto. Anzi le cambierà in meglio. Un vero augurio per
le femministe (e per il resto del mondo civile) che vanno alla guerra
domenica e lunedì prossimi. Merito di questo congegno sofisticato
che John Cassavetes dovette studiare bene prima di darci uno dei suoi
capolavori assoluti, La sera della prima che già ci dimostrava
come per una mattatrice niente conta di più di un successo scenico
travolgente, costasse pure la solitudine più disperata e aristocratica,
e una birra. Il doppiaggio affidato a un'altra mattatrice della scena
(Mariangela Melato) però scombussola. Due dive fanno meno di
un personaggio. |
Film TV (17/5/2005) Enrico Magrelli |
Istvàn
Szabò. 67 anni, bravissimo regista ungherese, torna dopo «Mephisto»
(1981) all'ambiente teatrale e alla sua star protagonista, ma senza
politica: l'unico accenno sta nella data, 1938, vigilia della seconda
guerra mondiale. A Londra una celebre e applaudita attrice teatrale
sui quarant'anni s'annoia: il matrimonio è tedioso, il lavoro
è monotono, libertà e amore e divertimento mancano. È
la crisi dell'età di cui donne e uomini soffrono, da cui tutti
cercano di guarire con la stessa medicina provvisoria ma efficace: l'eros,
il sesso. L'attrice si innamora di un bel ragazzo americano, suo fan
appassionato. La medicina sembra funzionare, dare vitalità e
gioia. L'attrice, resa oblativa dall'amore, regala al ragazzo orologio
e portasigarette preziosi, gli dà soldi, prima d'accorgersi che
quello di lui è un rapporto d'uso, che intende sfruttarla per
sé e per la carriera della sua ragazza. È un colpo che
non avvilisce né mortifica l'attrice: la spinge invece alla vendetta
e, aiutata dal grande talento, a una rivalsa che la riporta al centro
della scena. Recita e salva la sua vita, vince l'infelicità per
le insidie del tempo: recitare non altera ma rafforza l'esistenza. Brillante,
spiritoso e non superficiale, tratto dal romanzo scritto negli Anni
Trenta da W. Somerset Maugham (editore Adelphi), girato in Ungheria,
di realizzazione cosmopolita, doppiato per la protagonista da Mariangela
Melato, il film è molto ben fatto. Il periodo in cui è
collocato, unito alla perenne attualità della convivenza tra
realtà e finzione, tra schiettezza e falsità, rendono
la storia (quel teatro, quelle idee, quegli amori) un poco antiquato.
Lo stile classico è sottolineato dall'eloquente ricorso a molti
primi piani. Annette Bening è molto brava, opportunamente manierata,
con vestiti e gioielli di grande eleganza; Jeremy Irons è perfetto
in uno di quei personaggi di uomini impeccabili e mediocri che il cinema
usa affidargli; scenografie e costumi (Luciana Arrighi, John Bloomfield)
sono ammirevoli. |
l'Unità (6/10/2005) Alberto Crespi |
Checché
ne dicano gli innamorati di New York, Londra continua ad attirare sguardi,
curiosità e intelligenze un po' da tutto il pianeta. Woody Allen
vi ha appena ambientato uno dei suoi film più belli (Match Point),
molti divi americani - da Madonna in giù - ci vanno a vivere
nonostante i prezzi proibitivi e ben due film oggi in uscita mettono
in scena due ambienti «mitici» della città: Wimbledon
e il West End. (...) Il West End è invece il centralissimo distretto
dei teatri, ed è il vero eroe di La diva Julia, il film che riporta
agli onori delle cronache l'ungherese Istvan Szabo a suo tempo vincitore
dell'Oscar con Mephisto, l'attrice protagonista, candidata all'Oscar
ma sconfitta da Hilary Swank con Million Dollar Baby, è l'americana
Annette Bening. Altri due talenti sedotti dalla vecchia Londra. Annette
Bening, da qualche anno, si dedica più al mestiere di madre e
moglie, che alla recitazione: suo marito è Warren Beatty, si
sono sposati nel '92, hanno 4 bambini. Questo testo di Ronald Harwood,
tratto da un romanzo di William Somerset Maugham, deve averla stuzzicata
nel profondo: famosa per il cinema, Annette ha in realtà un prestigioso
curriculum teatrale, ha vinto un Tony (l'Oscar del teatro) e ha calcato
i più prestigiosi palcoscenici di Broadway prima di sfondare
nel cinema a 31 anni, con Valmont di Milos Forman, dove era meravigliosa.
Interpretare una «divina» teatrale degli anni '30 deve essere
stata, per lei, una goduria. Nel film, Julia Lambert è un'attrice,
è moglie di un potente impresario e ha tutta Londra ai suoi piedi.
Il suo unico problema è il tempo: la gioventù e la beltà
stanno sparendo. Ma la vita rifiorisce quando Julia incontra Tom, un
giovane americano che sembra pazzo di lei. Ben presto scoprirà
che Tom è solo un arrampicatore sociale e vuole «usarla»
per far carriera. Curiosamente, La diva Julia ha in comune un tema con
entrambi i film citati poco fa, Wimbledon e Match Point: il robusto,
vigoroso sangue americano che viene a ravvivare i lombi esausti della
vecchia Inghilterra. Al tempo stesso, Szabo riprende un discorso - la
dialettica tra Essere e Apparire - che gli è cara dai tempi di
Mephisto. Nella sua filmografia spiccano personaggi di attori, attrici,
direttori d'orchestra, musicisti, cantanti d'opera. Non tutti i film
sono belli (e La diva Julia è molto meno bello di Mephisto) ma
il filo rosso c'è: il '900 come il secolo dello Spettacolo. |
Sole 24 Ore (22/5/2005) Roberto Escobar |
Chi
scrive non è tra gli estimatori del cinema "colto"
e "prezioso", elegantemente decorativo, che si fregia come
di un titolo di nobiltà della derivazione letteraria. Il cinema
di cui è per esempio tra i massimi campioni James Ivory. Gode
di molte buone entrature e del favore di ottimi salotti, ma spesso è
arredamento, o sartoria, più che cinema. Tutt'al più procura
lustro a scenografi e costumisti, ancorché di provato talento
e meritatamente lodati. Si è largamente associato a tale trend
l'ungherese Istvan Szabo riducendo per lo schermo La diva Julia di William
Somerset Maugham. Romanzo (e film) di sottili schermaglie sul tema:
qual è il confine fra teatro e vita? Siamo nella Londra di fine
anni Trenta e si tratta di un'attrice adorata dalle platee ma anagraficamente
sulla linea d'ombra che per una donna di quel tempo rappresentava l'anticamera
della vecchiaia. Ha un marito-impresario che non la sfiora più
da tempo ma l'adora, la stima e la sostiene. Ma non le basta più,
o quantomeno così le fa credere la stagione di crisi che attraversa.
La storia si snoda tra l'infatuazione per un giovane ammiratore americano
che le regalerà qualche appuntamento bollente e una passeggera
illusione di ritrovata giovinezza ma si rivelerà rapidamente
meschino, e la rivincita in palcoscenico (ma è il palcoscenico
della vita) ai danni della giovane attrice emergente che lo yankee le
ha preferito e che lei, malvagiamente vendicativa, ha dapprima mostrato
di voler promuovere con magnanimità per poi stecchirla e rubarle
la scena. Per uscire trionfatrice e nuovamente sicura di sé.
Abbastanza stucchevole, compreso Jeremy Irons (attore feticcio di ogni
operazione tronfiamente "colta") nei panni del marito di Julia,
ma non privo di qualità nel gioco di scherma sul filo sottile
del banale dilemma di cui si è detto già: per un'attrice
la finzione è tutto, è la verità. Questo principalmente
per merito della protagonista Annette Bening, magnifica attrice che
non è mai riuscita a raccogliere pienamente i frutti delle sue
potenzialità. Diciamo che il film è lei, in tutto e per
tutto. E' vero che il doppiaggio di Mariangela Melato è pertinente,
anzi è un lavoro di fino, nel senso di rielaborare e restituire
l'enfasi propria del personaggio e delle sue civetterie. Tuttavia (e
non è una diminuzione della bravissima attrice italiana), come
avrebbe un tempo detto Antonio Di Pietro non c'azzecca proprio niente
con l'attrice americana. Forse anche perché la sua è una
voce per noi così riconoscibile e associata a una fisicità
tanto diversa. |
Film TV (6/14/2005) Enrico Magrelli |
Che
cosa c'entra il teatro con il cinema? Può essere una domanda
retorica, strutturale, oziosa, fondante, teorica. Dipende dai punti
di vista. Per il regista ungherese Istvàn Szabó, che ha
portato in più fasi della sua carriera la macchina da presa sulle
tavole del palcoscenico, una delle risposte riguarda quel girotondo
di maschere a cui tutti sono invitati o costretti. Tutto è lecito
in amore, a teatro, nel cinema, purché non si dimentichi mai
che l'essere umano indossa una maschera, un ruolo, un personaggio. Gli
attori che interpretano attori, come nel caso della diva Julia Lambert
(Bening), signora dei teatri inglesi degli anni '30, esaltano le contraddizioni
di una vita come rappresentazione sotto mentite spoglie. La popolare
e non più giovanissima Julia è sulla cresta dell'onda
e di una gentile nevrosi. Sposata, con un'unione libera e disinvolta,
con il suo impresario (Irons) si lascia irretire da un furbo giovanotto
americano (Evans) e il rimescolamento del sangue porta una ventata di
novità e di allegria. Fino al giorno in cui nella relazione di
Julia scattano le consuete trappole. Il palcoscenico diventerà
strumento di tremenda e sarcastica vendetta. Dal romanzo di Somerset
Maugham un film apatico che si apprezza soprattutto per l'elegante confezione.
La Bening ha avuto, per il film, una immeritata nomination. |
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