La critica - Il nemico alle porte

La Stampa (19/4/2001)
Alessandra Levantesi

Il problema di un film come «Il nemico alle porte», il kolossal europeo da 90 milioni di dollari firmato dal regista Jean-Jacques Annaud e finanziato con soldi tedeschi, soprattutto, e inglesi é proprio l'argomento: ovvero la battaglia di Stalingrado, con cui i sovietici rovesciarono le sorti della seconda guerra. Infatti se nella vicenda ai tedeschi tocca il ruolo di cattivi, c'era il rischio di far passare per buoni i loro antagonisti, ovvero gli stalinisti e, visto quello che hanno combinato, non era proprio il caso. Per cavarsi d'impaccio Annaud ha cercato di pareggiare il conto mostrando il volto vero del regime sovietico con il culto strumentale dell'eroe e il falso mito dell'uguaglianza. Tuttavia, questo mantenere le distanze é il principale difetto di «Il nemico alle porte»: un'epopea che manca di una centralità epica non può che risultare sbiadita. Ispirato al romanzo di William Criag, il film ha per protagonisti il tiratore scelto Vassilij Zaitsev, un personaggio reale divenuto leggendario che venne sbandierato dalla propaganda per rianimare gli spiriti di un esercito stremato. Nel momento in cui fu chiaro che sulla caduta di Stalingrado si giocava la sorte della guerra, il comando russo pretese e ottenne dai suoi soldati l'impossibile. Iniziata il 5 settembre del '42, la battaglia si protrasse fino al 31 gennaio del '43, quando il feldmaresciallo von Paulus fu costretto a firmare la resa. Sul campo erano rimaste centinaia di migliaia di vittime di entrambe le parti. Sullo sfondo di un tremendo scenario di case squarciate e corpi dilaniati, in cui dimostra la sua abilità a movimentare le scene d'azione, Annaud impagina il duello all'ultimo sangue di Vassilij con il tedesco Kónig incaricato di eliminarlo; e la sua storia d'amore con la soldatessa Tania, amata anche dal funzionario di partito Danilov. Grazie alla giovanile impetuosità di Jude Law e alla dolente intensità di Ed Harris, la caccia fra i due tiratori é abbastanza appassionante; mentre il triangolo sentimentale é prevedibile per quanto riguarda i personaggi di Danilov (Ralph Fiennes) e Tania (Rachel Weisz). Non é che «Il nemico alle porte» manchi di valori (c'è anche Bob Hoskins in una colorita personificazione di Kruscev, inviato da Stalin a gestire la situazione), ma l'impressione d'insieme é quella di un film di guerra degli Anni 50 realizzato con gli effetti speciali del 2000.



Film TV (24/4/2001)
Alberto Crespi

La battaglia decisiva del fronte russo - e snodo fondamentale di tutta la Seconda guerra mondiale - è raccontata come un duello fra cecchini che, nelle loro personalità, riassumono la lotta di classe. Il sovietico (Jude Law) viene dagli Urali ed è figlio di contadini, il tedesco (Ed Harris, bravo come sempre) è nobile, azzimato, chiaramente sadico. La storia è autentica, Vassili Zaitsev fu davvero un tiratore infallibile e nell'URSS del dopoguerra divenne una specie di "divo". Ma tutt’intorno ai due "pistoleri", o fucilieri, c'era una guerra, uno scontro epocale in cui l'Armata Rossa comandata da Zhukov compì atti di eroismo (e inventò, per così dire, la guerriglia urbana moderna) per tener testa alle forze di Von Paulus. Annaud descrive invece un esercito sovietico da operetta, in balia dei deliri propagandistici di Kruscev (Bob Hoskins) e dei commissari politici. Se fosse andata così, i tedeschi avrebbero preso Stalingrado e noi, forse, oggi non saremmo qui. "Il nemico alle porte" è spettacolare nella prima parte (più corale), emozionante e girato meravigliosamente in alcune sequenze centrali, ridicolo nel finale "alla Sergio Leone". Nel complesso una grande occasione perduta.



la Repubblica (6/5/2001)
Roberto Nepoti

All'inizio sembra di vedere «Salvate il soldato Ryan» trasferito armi e bagagli sul Volga: lo sbarco filmato con la cinepresa a spalla, il caos, lo strazio prodotto dalle pallottole nella carne dei combattenti, indifesa sotto il fuoco nemico. Poi Il nemico alle porte diventa quasi un «film da camera». Poche le scene di battaglia, scarse le inquadrature totali, tutto s'incentra sul lungo duello tra l'infallibile cacciatore di lupi ucraino Vassili (Jude Law) e il freddo supertiratore tedesco Konig (Ed Harris) che, in gara di abilità, fanno della guerra una questione privata sfidandosi tra macerie di fabbriche abbandonate, rimanendo appostati per lunghissime ore, gareggiando in pazienza e astuzia fino a un epilogo vistosamente tributario del western di Sergio Leone. Nell'intrigo secondario, un tantino banale, diventa una faccenda privata anche il rapporto tra Vassili e Danilov (Joseph Fiennes), il commissario politico che lo ha scoperto e «lanciato» come eroe in una sofisticata operazione di propaganda per rialzare il morale delle truppe sovietiche. In concorrenza con Vassili per le grazie di Tanja (Rachel Weisz), di cui entrambi sono immamorati, Danilov si sente il «male amato» della situazione, svantaggiato rispetto all'altro per talento e capacità di seduzione. In mezzo ai conflitti dei grandi capita Sacha, piccolo spione caricaturale che fa il doppio gioco col tedesco. Annunciato come il film di guerra definitivo in versione europea, Il nemico alle porte è scarsamente interessato all'aspetto storico. JeanJaques Annaud preferisce il melodramma d'amore e morte col tedesco raffinato e spietato, la tiratina antisovietica alla «Dottor Zivago» (affidata al personaggio secondario del soldato Kulikov), l'eroe bello e puro che sarà anche ispirato a un personaggio reale, però sembra inventato.



Ciak (1/5/2001)
Antonello Catacchio

Stalingrado assediata. Ultimo baluardo sovietico contro l'avanzata tedesca. Il morale dei russi è a terra. Sono allo stremo, schiacciati tra i nazisti e gli ordini di partito. Poi scoprono tra le loro fila un cecchino micidiale, Vassili Zaitsev (Jude Law). L'ufficiale Joseph Fiennes decide di usarlo a fini propagandistici trasformandolo in eroe e speranza per l'intero paese, con l'approvazione del giovane Kruscev (Bob Hoskins). E i nazisti inviano il loro campione Ed Harris per uccidere la speranza. Così, una delle battaglie decisive della seconda guerra si riduce a duello personale. Quasi western. Mezzi faraonici per una storia che diventa quasi privata. Rimangono sullo sfondo abitanti e resistenti, tra cui Rachel Weisz, oggetto di desiderio dei protagonisti. E Annaud non centra il bersaglio.



Duel (10/5/2001)
Massimo Causo

I sogni di gloria non muoiono all'alba per Jean-Jacques Annaud e il magniloquente director francofono non cessa di glorificare il suo cinema nel segno della performance. Se la sfida é più o meno da sempre il luogo mentale della sua pratica registica, Il nemico alle porte ne declina le forme con immancabile gratuità, frutto genuino di un cinema che non conosce altre ragioni al di fuori di se stesso. Brutto? Inutile, piuttosto. E la sua parte noioso. E sì che l'evento storico è di quelli a tutto schermo (non era Leone che voleva farne un film?), essendo la battaglia di Stalingrado uno di quegli snodi storici del secondo conflitto mondiale che maggiormente offrono materia drammatica. Il personaggio del cecchino Vassili Zaitsev, soldato semplice degli Urali innalzato a eroe di guerra per aver abbattuto alcuni ufficiali tedeschi, è reale. Come reale pare sia la storia d'amore che lo legò alla soldatessa Tania e, soprattutto, il duello a distanza che si trovò a dover sostenere con il Maggiore König, tiratore scelto oppostogli dall'esercito tedesco. E Annaud, piuttosto che affidarsi alla coralità dell'immane tragedia storica che costò la vita a più di un milione di soldati sovietici, preferisce svoltare il dramma bellico in puro western, di cui sciorina l'intero armamentario narrativo ed espressivo in barba a chi s'aspetta un "film di guerra". Il brutto è che taglia i caratteri con l'accetta, non bada a rifinire la sceneggiatura e si affida al facile esito di una messa in scena esibita in ogni suo elemento. Il risultato annoia e spreca la finezza di due interpreti come Jude Law e Joseph Fiennes, così come il muso duro di Ed Harris (é il cecchino tedesco) e il clamore di un Bob Hoskins nei panni di Kruschev. La cosa migliore? I titoli di coda, che ritrovano la grafica della gloriosa cartellonistica sovietica: non perdeteli!



Il Giorno (20/4/2001)
Silvio Danese

Tentativo generoso e maldestro di comprendere e mandare in porto il progetto che Sergio Leone teneva nel cuore (e in poche paginette) sulla celebre battaglia di Stalingrado, decisiva per la disfatta tedesca nella Seconda guerra mondiale. "Epica intimista", dice il regista Annaud a proposito della concentrazione dell'immenso scontro sul duello tra due cecchini, un tedesco (Ed Harris) e un sovietico (Jude Law, nei panni dell'eroe sovietico Vassili Zaistev). Per Leone, era una sintesi in versi della guerra. Per Annaud diventa invece una riduzione in prosa, alla quale manca la comprensione della crisi nazista e della resistenza sovrumana dei russi. Annaud, che non trova un baricentro stilistico da molti anni e molti film, ricerca l'emozione temporale del duello nel taglio delle inquadrature, ma il segreto di Leone era il tempo, o meglio la forma contemplativa dell'azione nel quadro generale di un movimento grandioso, cantato, dello spazio.