La critica |
Prendete La stanza del figlio.
Capovolgetelo. Immaginate che il ragazzo non muoia, ma anzi diventi un
insopportabile rompipalle presuntuoso di 28 anni che i genitori estenuati non
riescono a mandar via da casa.
E' quello che succede in Tanguy, quarto film in 12 anni del francese
Etienne Chatiliez, regista dalla acida e leggera verve che aveva esordito
nell'88 con il divertente e premiatissimo La vita è un lungo fiume
tranquillo.
Prendendo spunto da un fatto di cronaca italiano (un figlio ha fatto causa alla
madre che lo aveva messo alla porta cambiando la serratura) e dalla banale
constatazione sociologica che i giovani restano in famiglia più tempo di una
volta, Chatiliez costruisce una commedia lieve ed esilarante con una coppia
d'attori - Sabine Azéma e André Dussollier - affiatatissima e complice.
"Puoi rimanere con noi tutta la vita", sussurra amorevolmente mamma
Edith al neonato Tanguy. 28 anni più tardi quella stessa madre è talmente
frustrata dalla presenza del figlio da subire improvvisi attacchi di devastante
singhiozzo. Tanguy non è un ragazzo disoccupato in difficoltà economiche ma
una specie di fastidioso "signor so tutto io", esperto di lingua
cinese e giapponese, che si rivolge ai genitori con un melenso linguaggio a base
di "mammina mi vuoi bene? Anch'io". Usa la casa come un albergo, e si
porta a letto le occasionali conquiste femminili constringendo i genitori a far
colazione il mattino dopo con perfette sconosciute. Quando mamma e papà
decidono di partire all'attacco per costringerlo (con le cattive) ad abbandonare
il nido, si trovano davanti ad un osso duro: Tanguy è candidamente stronzo e si
fa scudo con i suoi insopportabili proverbi cinesi, uno dei quali racchiude
programmaticamente l'essenza del suo essere: 'la vita è non avere storia'.
Tanguy, pur essendo socialmente inseritissimo, rifiuta di prendersi le sue
responsabilità come individuo indipendente. Ma a Chatiliez non importa
addentrarsi tanto nell'analisi dell'amore filiale e del rapporto genitori-figli
ma piuttosto cogliere il lato comico di un aspetto tremendamente attuale della
società occidentale. Ci è riuscito, perché a guardare il film si ride molto.
Camillo De Marco, www.kataweb.it
In un certo senso è l'anti-Amélie, altrettanto amato dal pubblico francese,
che ne ha decretato il successo in un anno fantastico per l'industria
d'oltralpe. Tanto il film di Jeunet trasuda ottimismo, buoni sentimenti e
zucchero candito, quanto quello di Chatiliez (già notato per La vita è un
lungo fiume tranquillo e per il caustico Zia Angelina) descrive il
cinismo e l'opportunismo degli under trenta con spirito antifamilistico e
spargendo... puzza di pesce marcio. E' formidabile, ad esempio, il sogno
raccontato al suo stizzacervelli dalla mamma Sabine Azema quando vede incrinarsi
la sua entusiastica ammirazione per l'odioso rampollo: scaglia lontano il
pargoletto roteandolo sopra la testa ma se lo vede tornare indietro come un
boomerang. Cosa che succede davvero a migliaia di genitori obbligati a sorbirsi
la presenza dei figli ben oltre l'età scolare persino da sentenze del
magistrato.
Eppure, benché agli antipodi, Jeunet e Chatiliez fanno parte della stessa
scuola: linguaggio sincopato e pubblicitario, strizzate d'occhio allo spettatore
di cui cercano costantemente la complicità, affastellamento di trovate. Dovendo
scegliere noi propendiamo per Tanguy: perché è innanzitutto una
commedia (e divertente), perché ha una coppia di protagonisti impagabili (mamma
Azema e papà Dussolier) e infine per un istinto che ci dice "non fidarti
delle famiglie felici, delle mamme buone e dei figli secchioni". Tanguy,
quell'istinto, lo soddisfa al mille per mille.
www.cinecitta.it
Se Sabine Azéma è divertente, André Dussollier è addirittura esilarante per il modo in cui, da genitore tollerante e affettuoso (all'inizio chiama il rampollo "pulcino mio"), si trasforma in padre prepotente e senza scrupoli. Fa la sua parte anche la nonna dell'eterno studente, quasi una variazione sulla diabolica "Zia Angelina" di un altro film diretto dallo stesso regista. La chiave del cinismo e del "politicamente scorretto", insomma, funziona. Finché arriva l'ultimo terzo del film e - ahinoi! - la caduta di tono è vistosa. Chatiliez esagera, ammannendoci una regressione di Tanguy, che dorme in culla ed è custodito da una babysitter; poi, nell'epilogo, ci guida in un'inutile gita in Cina, appassionante come lo spot di un'agenzia turistica.
Roberto Nepoti, Repubblica 16/3/02