La critica


Film TV (2/10/2001)
Franco Marineo

Come fare oggi un musical: strafare, direbbe probabilmente Baz Luhrmann, l'eccentrico regista australiano al quale, piaccia o no, alla terza prova registica va concesso il titolo di autore. Con "Ballroom" aveva fatto delle prove generali, in economia e attenendosi a un immaginario più sottomano e riconoscibile (le sale da ballo stile disco); con "Romeo + Giulietta" aveva preso di petto la più elementare e passionale delle storie d'amore, cavalcando con sprezzo del pericolo e del kitsch (ma anche con astuto tempismo) la moda delle trasposizioni shakespeariane; e con "Moulin Rouge" rischia tutto e realizza addirittura un musical (genere tramontato dagli ultimi fuochi degli anni '60), sovrapponendo diversi classici del rock alle fantasmagorie visive del tempio del vizio (o delle donne o del can can) di fine '800. Con ritmo instancabile e frenetico, negli interni ridondanti e rutilanti del Moulin Rouge ricostruito negli studi australiani, il moderno (il '900) si incolla al passato (all'800), come fosse letteralmente nato per quello. Nella storia dell'amore impossibile ma voluto fino all'ultimo respiro tra l'ambiziosa e bellissima star del locale Satine e il poeta squattrinato Christian, ogni dettaglio visivo, ogni verso cantato, perde la propria connotazione anagrafica e diventa una parte armonica del tutto: dalle canzoni di Elton John, Bowie, Madonna, Kurt Cobain, Lennon e McCartney al "Can can" di Offenbach che ogni tanto riecheggia e, in un numero, esplode trionfante, dall'acconciatura da dark lady anni '40 della Kidman (esplicitamente ispirata a Gilda e all'Angelo Azzurro) ai suoi corsetti Belle époque e al bric-à-brac liberty che invade e anima le inquadrature. La commistione (tra lingue, umori e suggestioni immaginarie) era già la carta vincente di "Romeo + Giulietta"; qui Luhrmann la porta alle estreme conseguenze, cancella i confini, si butta a capofitto nei "luoghi" ottici e musicali della cultura popolare di un secolo e mezzo. Giustamente, al servizio di una risaputa storia d'amore.



la Repubblica (30/9/2001)
Roberto Nepoti

Nella Parigi del 1900 sboccia l'amore tra la cortigiana Satine (Nicole Kidman) e il poeta Christian (Ewan McGregor), ma ad osteggiarlo c'è il ricco e gelosissimo duca di Worcester. Non ci si poteva aspettare di meno da Baz Luhrmann, che già con «Romeo+Giulietta» aveva dimostrato la sua inclinazione per uno stile smisurato, chiassoso e capace di colpire dritto alla pupilla dello spettatore. Rivisitato da lui il genere, antico e glorioso, del musical diventa un tripudio di effetti speciali vecchissimi e nuovissimi, che sposano le ultime tecnologie digitali col «ciclorama» della preistoria cinematografica. Interamente ricostruita in studio, Parigi sembra presa a prestito un po' dal pioniere Georges Méliès, un po' dagli «Aristogatti» di Walt Disney: abbaini, romantico degrado, paccottiglia, cineserie kitsch e costumi rutilanti. Il repertorio musicale cui il film attinge senza risparmio è a dir poco eclettico, dalla «Bohème» e la «Traviata» alle canzoni di Madonna, Marilyn Monroe e David Bowie. Mentre Nicole e (soprattutto) Ewan si producono nel canto con risultati più che onorevoli, l'omaggio al musical, genere unanimemente considerato impraticabile alla nostra epoca, è rilanciato nel classico gioco di specchi tra il palcoscenico e la vita. Dove i sentimenti e le emozioni dei personaggi diventano numeri musicali e, viceversa, la scena ispira i comportamenti reali (Satine fa credere all'amante di non volerlo più, per evitargli le ire del rivale); e dove soprattutto, prima regola del genere, «lo spettacolo deve andare avanti». Però la logica che presiede all'intera messa in scena rimanda per direttissima alla cultura pop. Non a caso il regista ha voluto paragonare il Moulin Rouge al newyorkese Studio 54, aggiungendo che ToulouseLautrec era il progenitore di Andy Warhol. Fra una strizzata d'occhio, un'allusione e una citazione, insomma, hai il sospetto che Luhrmann sia soprattutto un prestigiatore, un incantatore innegabilmente bravo, degli occhi. Ma alla fine ti resta il dubbio: Moulin Rouge è un atto d'amore verso il musical, la sua reinvenzione in termini postmoderni, o piuttosto la lastra calata definitivamente sulla sua tomba? In altre parole, c'era davvero bisogno di sottolinearne tanto la natura artificiale, convenzionale, scenica? Così esagerando, sembra che Luhrmann voglia mettere una parola definiva sul film musicale: dopo di me e Nicole, il diluvio.



Sette (11/10/2001)
Claudio Carabba

La prima volta che vede Parigi, Baz Luhrmann, il rigattiere pazzo che già stravolse la tragedia di Romeo e Giulietta, fruga nelle memorie del Novecento, riparte dall'inizio del secolo, prende le musiche e le figure del cuore e mette tutto nel suo frullatore speciale. Il tempo non esiste, il miglior cancan è una canzone di David Bowie. Sfrontato e poeticamente barocco, il suo Moulin Rouge è una fantasiosa invenzione, un luogo immaginario, in cui è facile amare, sognare, morire forse. La passione che lega la splendida Satine (Nicole Kidman, fiera e distante come il ruolo richiedeva) e il suo poeta (un Ewan McGregor insolitamente dolce) è il filo che tiene insieme l'irresistibile carosello. Tutti cantano e danzano, sino all'ultimo colpo di tosse.



Cahiers du cinéma (2/1/2002)
Clélia Cohen

La critica di Moulin Rouge pare, prima della visione, già scritta: cinema impuro, estetica da clip, clima da karaoke. Tuttavia qualcosa sfugge, resiste, misteriosamente. Sin dalla prima mezzora, sfibrante per l’udito e lo sguardo, il film di Baz Luhrmann si presenta come un remix, tanto musicale quanto visivo. Nicole Kidman canta "Diamonds are Girl’s Best Friends" di Marilyn e "Material Girl" di Madonna mescolandoli in un cabaret che sposa le reminiscenze hollywoodiane classiche, i colori del grande Barnum decadente e una storia molto vicina a Bob Fosse degli anni ’70, con una messinscena molto "All That Jazz" come la formula, ripetuta all’infinito: "The show must go on". C’è anche un’ambizione "Velvet Goldmine" dove risiede il più grosso fallimento di Moulin Rouge. Ciò in cui Todd Haynes era riuscito a meraviglia, Luhrmann lo sbaglia. Moulin Rouge è un film volgare, nel senso che lavora la volgarità del corpo, sin negli angoli più sottili, di Hollywood per esempio (vedi la buona scena di "pitch" in cui gli attori improvvisano in diretta la storia del loro spettacolo). Prodotto dalla Fox, Moulin Rouge è la storia di una troupe che fa passare la propria visione in barba ad un produttore cretino, il cui mandante si chiama..Warner.
La critique de Moulin Rouge semble, avant vision, pré-écrite: cinéma impur, esthétique de clip, karaoké. Pourtant, quelque chose échappe, résiste, mystérieusement. Dès sa première demi-heure, harassante pour l'ouïe et le regard, le film de Baz Luhrmann s'offre comme un remix, tant musical que visuel. Nicole Kidman chante en les mélangeant Diamonds are Girl's Best Friends de Marilyn et Material Girl de Madonna dans un cabaret qui marie des réminiscences hollywoodiennes classiques, des couleurs de grand Barnum décadent, et une histoire très proche du Bob Fosse des années 70, avec une mise en abyme très All That Jazz ainsi que la formule, répétée à l'envi : « The show must go on. » Il y a, aussi, une ambition Velvet Goldmine, et c'est là que réside le plus gros échec de Moulin Rouge. Ce que Todd Haynes avait réussi à merveille, Luhrmann le loupe. Moulin Rouge est un film vulgaire, en ce sens qu'il travaille la vulgarité au corps, même dans ses recoins les plus subtils, Hollywood par exemple (voir la bonne scène de pitch où les auteurs improvisent en direct l'histoire de leur spectacle). Produit par la Fox, Moulin Rouge est l'histoire d'une troupe qui fait passer sa vision au nez et à la barbe d'un producteur crétin, dont l'homme de mains se nomme... Warner.



Il Giorno (28/9/2001)
Silvio Danese

Due ore di Piroetta-operetta tra la Belle Epoque e la Net Epoque. Alla fine, la ruota delle ballerine espone l'intimità dell'era dello spettacolo: l'occhio dello show universale. Musical di sconcertante coraggio manipolatorio e defatigante irruzione di cabaret, opera, café chantant, jazz, soul music, disco dance, videoclip e rococò postmoderno. Vestita come Marlene nell'“Angelo Azzurro”, Nicole Kidman canta "Heroes" di David Bowie in duetto con Ewan McGregor, guerriero stellare di Lucas, abbigliato come Rodolfo nella "Bohéme", ma sotto i tetti di Parigi, trattati dall'editing digitale alla René Clair. Cineasta esuberante e trans-culturale, Baz Luhrman manipola la macchina spettacolare del Novecento, musica e teatro, cinema e televisione, danza circo, di cui tenta una simbiosi ambiziosa e delirante, su un supporto neoromantico: la storia dell'amore contrastato tra la soubrette e lo scrittore, la cortigiana e l'idealista, il denaro e l'arte. Tra Puccini e Degas, Busby Berkeley e Fred Astaire mescolando Wahrol e Fellini, si spingono Kidman e McGregor (bravissimi) a cantare bocca a bocca, con la loro voce, "Your song" e "All you need is love". ballando "Voulez vous coucher avec mois" al posto del can-can, che risuona come eco d'origine, vagito del secolo.