gli animatori lo hanno visto così :         BENE

                                                            COSI’-COSI’

                                                            MALE

                                                

HEREAFTER

 

 

   DOM    pom

DOM  sera 

MAR

 

MER

GIO

VEN

 

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roberta braccio

domenica pomeriggio

Solo Clint può farci vedere il suo aldilà senza trasformare il film in una
pagliacciata. Solo lui con caparbia razionalità, proprio nel regno dell’
irrazionale, può risultare convincente e avvincente. Eppure c’è a mio avviso in
questo film, forse proprio per rimanere ancorato nella realtà dei vivi, una
tensione po’ troppo matematica, come se il film fosse la traduzione di un
teorema in immagini (e che immagini! Da sole, la scena dello tsunami e del
bambino che rincorre il cappello valgono ampiamente l’abbonamento alla
stagione!). Un film che mi ha convinto ma non fino in fondo. Se ha l’indubbio
pregio di sollevare domande e riflessioni non comuni, quelle solitudini
private, che Clint sa così bene tratteggiare, nel diventare corali si stemperano, annacquandosi in un finale un po’ troppo dolce.

giulio martini

domenica sera

diversamente da "Babel" ( un fatto centrale per 4 storie) qui i 3 protagonisti si incontrano alla fine, perchè "la fine è l'inizio".
Grazie ad un'astuta sceneggiatura dell'inglese Peter Morgan ( lo stesso di "The Queen") Clint col solito coraggio affronta una "congiura del silenzio" che regna da tempo ad Hollywwod: da mezzo secolo , dall'epoca de "La vita è meravigliosa" di F. Capra e di "Il Paradiso può attendere" di Lubitch, si tace sui temi ultraterreni, anche se la "New age"- con "Ghost" -aveva rimescolato le carte. E lo fa secondo il suo stile romantico, ispirato nell'occasione al citato Dickens (cfr. anche il la recente fortuna in 3D del dickensiano "Il canto di Natale" di Zemekis). Così .pur stando lontano dal mistico/sperimentale "The tree of Life" ( prossimamente al cineforum ) , l'82enne regista ribadisce che - secondo lui - l'aldilà si può tranquillamente filmare come l'aldiquà, cioè senza inutili tabu' e senza troppi effetti speciali.

angelo sabbadini

martedì sera

Alle prese con l'aldilà Clint Eastwood usa al meglio il suo talento per dare credibilità ad un intreccio incredibile e noi spettatori, che viviamo nell'aldiqua della sala cinematografica, ne apprezziamo ammirati il grande mestiere.

carlo caspani

mercoledì sera

La vita oltre la morte, i dubbi e le aspettative di un "dopo" nella poetica di un regista sempre capace di coniugare la debolezza e il dubbio del presente con l'energia del sentimento proiettato nel futuro: il tutto nel segno di Dickens, il più cinematografico degli scrittori vittoriani.

fabio de girolamo

giovedì sera

In un film dedicato all’impotenza dell’uomo di fronte al cosmo sensibile e soprasensibile, Eastwood sceglie, per la prima volta in carriera, la via del racconto a storie intrecciate. Non può esserci un solo eroe classico, ma più figure portatrici di un punto di vista inevitabilmente parziale e inadeguato. Da qui la scelta della struttura narrativa multipla e di attori che, ad eccezione di Matt Damon, non sono star di prima grandezza.
Nonostante l’avvedutezza di non fare un film (nonostante le promesse del titolo) sull’aldilà, ma sulle reazioni delle persone a un più o meno casuale contatto diretto, percettivo col mondo dei morti, si vede che Eastwood non si muove a proprio agio nella materia. Le visualizzazioni in stile Ghost dell’aldilà, un’atmosfera pesantemente spilberghiana (il regista è produttore del film) e un finale un tantinello forzato non giovano alla qualità finale del prodotto, un po’ leggero tenendo conto delle ambizioni.

giorgio brambilla

venerdì sera

Hereafter è un film moralmente impeccabile: la scelta del tema, come gli uomini (non) si rapportano alla morte, è coraggiosissima. Lo stile sobrio permette allo spettatore di riflettere su quel che vede. La scelta di fermarsi sulla soglia, senza inventare mirabolanti ipotesi su quel che accade quando si muore, è assai rigorosa. Il problema è a mio avviso dal punto di vista della consistenza drammaturgica. Ci sono molte buone sequenze, come quella della fuga della ragazza della quale George rievoca lo scomodo passato. Però talora per non inventare troppo finisce coll'essere poco incisivo, come nella storia di Marie e del suo libro. E soprattutto il finale risulta posticcio, generato solo dal bisogno di far incontrare i tre personaggi per dimostrare che chi fa davvero i conti con la morte è destinato al un'esistenza autentica. Mi piace pensare che sia proprio così ma, a parte i desideri dello spettatore e le necessità dello sceneggiatore, non c'è granché nell'evoluzione della storia che porti in quella direzione. Forse Eastwood ci ha viziato troppo, ma da lui ci si aspetta di più