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Ciclo: “Cinema a km zero”
FAI
BEI SOGNI
Mercoledì 08
novembre 2017
Venerdì 10
novembre 2017
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Regia |
Marco Bellocchio |
Anno,
durata |
2016;
134’ |
Filmografia parziale |
I pugni in tasca (1965); Nel nome del padre (1972); Sbatti il
mostro in prima pa- gina (1972); La condanna (1991); L'ora di
religione (2002); Buongiorno, notte (2003); Il regista di
matrimoni (2006); Sorelle Mai (2006); Vincere (2009); Bella addormentata
(2012); Sangue del mio sangue (2015);
Fai bei sogni (2016) |
Soggetto |
Massimo Gramellini, Fai bei sogni, Longanesi,
2012. |
Interpreti |
Valerio Mastandrea (Massimo), Bérénice
Bejo (Elisa), Guido Caprino (padre di Massimo), Fabrizio Gifuni (Athos
Giovanni), Roberto Herlitzka (Ettore), Miriam Leone (Agnese) |
Sceneggiatura |
Marco Bellocchio,
Valia Santella, Edoardo Albinati |
Fotografia |
Daniele
Ciprì |
Montaggio |
Francesca Calvelli |
Musica |
Carlo
Crivelli |
Note |
Film d'apertura alla 48^ Quinzaine
des réalisateurs (Cannes 2016); Miglior film italiano del 2016 per il
Sindacato nazionale critici cinematografici italiani. |
TRAMA
Fai
bei sogni racconta la storia di una difficile ricerca della verità e
contemporaneamente rivela la paura di scoprirla. Torino. La mattina del 31
dicembre 1969, Massimo, nove anni, trova suo padre nel corridoio di casa
sorretto da due uomini: sua madre è morta. Massimo cresce e diventa un
giornalista. Dopo il rientro dalla guerra in Bosnia dove era stato inviato dal
suo giornale, incontra Elisa una donna che aiuterà Massimo ad affrontare la
verità sulla sua infanzia ed il suo passato.
«La
morte della mamma, l’essere orfani quando si è ancora bambini. Il dolore di
Massimo che perde la mamma adorata a nove anni (adorata nel doppio senso di un
amore, che Massimo sente ricambiato, assoluto ed esclusivo), la sua ribellione
a questa tragedia ingiusta, poi, col passar del tempo, il suo adattamento per
sopravvivere a questa perdita incomprensibile. Adattamento alla vita che ha un
costo pesante per Massimo perché oscura, riduce, proprio per la necessità di
difendersi per sopravvivere, la sua capacità di amare, la raffredda, la annulla
con dei danni che si prolungheranno nell’adolescenza e poi nella sua vita
adulta. Finché questa corazza di indifferenza, per circostanze complesse e
incontri solo apparentemente casuali, non incomincerà ad incrinarsi. Massimo,
già grande affermato giornalista, si “risveglia”, riaffronta il suo dolore
“primario” fino alla scoperta finale, vero colpo di scena che non va raccontato
(ma che chi ha letto il libro, e sono tanti, già conosce). Si potrebbe parlare
di “guarigione”, preferisco più prudentemente parlare di un principio reale di
cambiamento… E poi i cambiamenti, le “guarigioni” sono sempre instabili, ci
possono essere delle ricadute, sempre. Questa storia mi ha molto colpito,
coinvolto, perché vi ritrovo tanti temi che ho affrontato spesso nei miei film
precedenti… La famiglia, la mamma (distrutta anche materialmente, proprio
assassinata), il babbo, la casa dove si svolge la metà del film, la casa in
epoche diverse, trent’anni almeno, nei quali l’Italia cambia radicalmente… E la
vediamo l’Italia che cambia
proprio anche dalle finestre di casa… E
infine Roma, Sarajevo, Torino, l’Italia
vista
e vissuta da chi fa di mestiere il giornalista. Massimo è giornalista di un
importante quotidiano nazionale, e cosa significa essere giornalista, cronista
della realtà, freddo testimone, o volerne invece diventare in qualche modo
appassionato interprete, questo è un tema, una domanda a cui il film cercherà
di rispondere». [Marco Bellocchio]
“Bellocchio
[…] nonostante una sensibilità molto diversa, ha ritenuto di poter tradurre il
libro in un proprio film, adattandolo a sé. Valorizzando il sentimento di
rabbia che Massimo porta con sé. (...) Ma il film non prende mai il volo.
Lascia l'impressione che il movimento non sia stato da Gramellini verso
Bellocchio ma l'inverso. Sono rare le zampate riconoscibili del suo stile.
(...) Spie, se non prove, sono una certa
mancanza di misura (anche nella durata del film) e il fatto che alcuni passaggi
ricchi di potenzialità emozionanti non riescano a decollare. (...) Il fatto è
che quella di Gramellini è la testimonianza autobiografica di un uomo comune.
Senza offesa nel senso che non è la trasfigurazione
di un artista”. (P. D'Agostini, La Repubblica, 10/11/2016)
“Nel
rievocare l'epoca dell'infanzia il film è riuscitissimo, poetico e personale
(...) delizioso Nicolò Cabras (...); mentre gli anni adulti (...) risultano più
generici. Se il libro, costruito sull'io narrante, gioca con coerenza il
personaggio in una chiave di autoironia intesa ad alleggerire il dramma, il
Massimo sullo schermo, nonostante la scarnificata interpretazione del bravo
Valerio Mastandrea, trova solo a tratti un convincente centro emozionale. Ma
parliamo comunque di un film firmato, intenso, formalmente impeccabile, insomma
da vedere”. (A. Levantesi Kezich, La Stampa, 10/11/2016)
"[…]
A stridere un po' - per il mio gusto - sono le scene dove il film segue più da
vicino la biografia del protagonista e ne spiegano la carriera giornalistica
(...). Così alla fine il film dà l'impressione di seguire (troppo?) i sussulti
ondivaghi della memoria, a volte coinvolgenti (...) a volte meno quando i nodi
narrativi del film (la carriera professionale, certe figure femminili, ma anche
lo svelamento sulla fine della madre) sembrano stridere per il contrasto tra la
materia melodrammatica e il modo sempre un po' contratto e razionale con cui
sono affrontati, tutto in levare (...). E che finiscono per lasciare al film
quel senso di sospensione e di incompiutezza che probabilmente è il vero
rovello della vita del protagonista”. (P. Mereghetti, Corriere della Sera,
13/5/2016)
“[…]
Il film diventa anche una riflessione su una generazione di genitori con la
quale la discussione è idealmente ancora aperta, ed è commovente che a
interpretare Gramellini sia lo stesso attore che in Romanzo di una strage era
il commissario Calabresi, un altro padre morto ingiustamente al quale il figlio
(il giornalista Mario, ora direttore di Repubblica) ha dedicato pagine
importanti. Bellocchio riflette da sempre sulle dinamiche della sua famiglia,
ne parla anche nei film che sembrano
parlare d’altro. È un'idea di famiglia dove le nascite e le morti sono in
rapporto osmotico; nel 1966 BeIlocchio pubblicò una raccolta di poesie intitolata
I morti crescono di numero e d'età. È proprio così, e Fai bei sogni aiuta
a fare i conti con questa verità”. (A. Crespi, L'Unità, 13/5/2016)
“Bellocchio
ha fatto un film personalissimo, anzi un'ennesima esplorazione delle proprie
ossessioni e dei propri fantasmi. (...) prima mezz'ora di film, molto bella,
racconta non solo un lutto individuale, ma anche la sua costruzione sociale, ed
è pieno di pranzi, case, preti tutti tipicamente 'bellocchiani'. Però è
soprattutto una specie di viaggio, raccontato come un horror senza orrori,
nelle immagini e nei suoni di un'epoca (l'epoca nella Rai di Bernabei, verrebbe
da dire) (...). Il fascino dell'operazione è soprattutto scoprire come uno
stesso episodio o personaggio, passando dal libro al film, assuma significati e
toni completamente diversi. È come se Bellocchio avesse voluto sabotare la
storia, contraddirla, come facevano certi registi hollywoodiani alle prese con
i generi. Smorza ogni tentazione mélo, a tratti sembra farsene beffe”. (E.
Morreale, La Repubblica, 13/5/2016)
Ci
vediamo il 15/17 novembre con PIUMA, di R. Johnson, 2016, 98’
(scheda a cura di
Matteo Mazza)