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Cinema
della (nuova) memoria AUSTERLITZ Mercoledì 24.01.2018 Venerdì 26.01.2018 |
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Regia |
S. Loznitsa 5/10/1964 (Baranovici, Bielorussia) |
Filmografia |
I ponti di Serajevo (2016); Anime nella nebbia (2012); My Joy (2010). Documentarista di formazione, oltre ai lungometraggi ha all’attivo 15 documentari/film di montaggio, tra i quali Blockade (2005); Maidan (2014) e, ovviamente, Austerlitz. |
Genere, provenienza e durata |
Documentario-drammatico, Germania, 2016 ,94’ |
Interpreti |
Vari |
Sceneggiatura, Fotografia e montaggio |
S. Loznitsa; J. Mazuch; D. Kokanauskis |
Musica |
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Una
giornata tipo dei visitatori del museo di Sachsenhausen (Germania, vicino a
Berlino), allestito all’interno di un campo di concentramento, in cui le uniche
voci che ascoltiamo appartengono alle guide turistiche che spiegano le torture
inflitte nel campo dalle SS e dalla Gestapo.
Con Austerlitz il regista realizza un’opera mirabile
per la sua presa sulla contemporaneità, figlia di uno straordinario spunto
iniziale.
Il titolo si rifà al romanzo omonimo di W.G.
Sebald del 2001 (pubblicato da Adelphi in prima edizione nel 2006, in seconda
nel 2013) riflessione sulla memoria dei fatti dell’Olocausto e sulla sua
ricerca, che Loznitsa utilizza in chiave di ispirazione per il “suo”
Austerlitz.
Il
valore della memoria si scontra infatti drammaticamente con l’assenza della stessa,
schiacciata in un mondo perennemente declinato al tempo presente, in cui
fotografare una persona, un’opera o un evento è considerato più importante che
osservare e fruire dello stesso.
Loznitsa
posiziona la macchina da presa in alcuni luoghi chiave del museo di
Sachsenhausen e lascia che siano i visitatori a fare il resto. La sfilata di
turisti annoiati, intenti a fotografarsi o che indossano magliette con slogan
come “Just Don’t Care” è disarmante anche per il più cinico dei misantropi,
difficilmente preparato a tanta abiezione morale.
Le
fotografie in posa nelle camere a gas o sui pali dove i prigionieri venivano
impiccati sono compiute con perfetta nonchalance e senza il disturbo di alcun
dubbio etico. Quasi nessuno dei visitatori immortalati ha un’espressione
sofferente in volto, che tradisca una minima comprensione del luogo in cui si
trova.
Loznitsa
monta quelle che sono lunghissime macrosequenze riprese con camera fissa e
abilmente nascosta, dando l’impressione di condizionare il meno possibile gli
eventi che intercorrono di fronte alla mdp.
Ma,
se il pessimismo di fronte alla deriva intrapresa dall’umanità nel suo
complesso è totale, la riflessione di Loznitsa sembra andare oltre,
interrogandosi sul senso stesso di questi luoghi. È giusto che i campi di
concentramento siano diventati musei? Che cosa intendono esibire al pubblico?
Perché, in fondo, il comportamento tenuto dai visitatori a Sachsenhausen è
quello che questi abitualmente riservano, nell’era degli smartphone, a
qualsiasi attrazione turistica: nessun segno di interesse a parte l’azione
meccanica e compulsiva di fotografare tutto quel che si può immortalare, misto
a un generico senso di visita effettuata per dovere, o per decisione altrui.
Trasformare
il luogo della memoria in un canonico percorso museale, con contorno di
comitive e pranzi al sacco, significa, per Loznitsa, automaticamente uccidere
il difficile percorso introspettivo personale, che dovrebbe accompagnare la
riflessione in un luogo simile.
Loznitsa
non condanna i turisti né li osserva dall’alto verso il basso, si limita a
fotografare uno stato di cose che potrebbe rappresentare un inquietante
campanello d’allarme sulla coscienza collettiva e su come ci relazioniamo oggi
con la Storia e con i suoi orrori.
(da:
Mymovies, E. Sacchi)
Prossimo
film: 7/9 febbraio PERFECT DAY di F.L. de Aranoa 2015, 106’
(scheda a
cura di Flavio Acquati)