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Cinema!

Café Society

Mercoledì   11.10.2017

Venerdì       13.11.2017

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Regia

Woody Allen

Filmografia

titoli in ordine cronologico discendente

Genere

Irrational man, Magic in the moonlight, Blue Jasmine, To Rome with love, Midnight in Paris…………….

Interpreti

Jeannie Berlin, Steve Carell, Jesse Eisenberg, Blake Lively, Parker Posey.

Fotografia / montaggio

Vittorio Storaro / Alisa Lepselter

Musica

AA.VV.

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TRAMA

 

New York, anni Trenta. Bobby Dorfman lascia la bottega del padre e la East Coast per la California, dove lo zio gestisce un'agenzia artistica e i capricci dei divi hollywoodiani. Seccato dall'irruzione del nipote e convinto della sua inettitudine, dopo averlo a lungo rinviato, lo riceve e lo assume come fattorino. Bobby, perduto a Beverly Hills e con la testa a New York, la ritrova davanti al sorriso di Vonnie, segretaria (e amante) dello zio. Per lui è subito amore, per lei no ma il tempo e il destino danno ragione al sentimento di Bobby che le propone di sposarlo e di traslocare con lui a New York. Ma il vento fa (di nuovo) il suo giro e Vonnie decide altrimenti. Rientrato nella sola città in cui riesce a pensarsi, Bobby dirige con charme il "Café Society", night club sofisticato che diventa il punto di incontro del mondo che conta.

RASSEGNA STAMPA

Commedia del piacere negato, Café Society è la cronaca di una storia d'amore mancata che ribadisce quello che per Woody Allen conta da sempre: il cinema, le donne, se stesso. Se stesso soprattutto perché la singolarità dell'autore risiede nella persistenza con cui ha dato centralità a un personaggio fino a mostrarne la crisi e lo svanire (Harry a pezzi, Hollywood Ending). È una persistenza che evidentemente appartiene al comico ma che Allen conduce sul piano della biografia seriale, declinata in diversi nomi, diverse professioni, diverse età e persino diverse età del secolo. E l'epoca questa volta è la seconda metà degli anni Trenta, Allen non precisa l'anno esatto ma è la Storia a collassare nel cinema e a depositare rovine nella commedia (i coniugi che hanno cenato con Adolf Hitler) attraverso la voce over dell'autore che si ritaglia il ruolo di narratore, misurando un dramma sentimentale con un dramma sociale. Non calca la scena del suo locale e fuori campo ci racconta una nuova storia, la storia di Bobby Dorfman in cui esprime ancora una volta il suo eroe romantico, falso perdente, schlemiel solo presunto e incarnato superbamente da Jesse Eisenberg. A lui, che arde di esaltazione amorosa e voluttuosa ironia, Allen delega se stesso, un se stesso più giovane e insicuro, ancora afflitto dai problemi con le donne, che crede ancora alle parole definitive e non crede più alle scene madri. Fuori dall'ombra in cui ha costruito i suoi migliori ruoli e sovraesposto nella luce accecante della California, Eisenberg pronuncia con esitante eloquio parole meditate e consapevolmente sbilanciate al di là di se stesse, sciolte nella fluidità del dialogo e sostenute da un sottotesto ritmico di meravigliosa resa comica.
Ma Café Society è tuttavia anche il trionfo dell'immagine autosufficiente. Tra grazia e catastrofe, tra guerra e pace, tra Los Angeles e New York, tra esterni e interni, Allen dimostra cosa sa fare col dialogo e cosa saprebbe fare senza perché il suo è un film di décor sovradimensionato e sovraffollato, figurativamente audace. Dopo aver rivitalizzato il cinismo di Billy Wilder (Irrational Man), con Café Society riemerge lo splendore sofisticato di Ernst Lubitsch svolgendo l'intermittenza amorosa di due personaggi inquieti lungo una superficie scintillante che lascia affiorare l'emozione, rimanda la realtà e approccia la morte non con l'arroganza di un giovane uomo che crede di aver scoperto i segreti dell'universo (Amore e guerra) ma con la saggezza di un vecchio signore che sa bene che il solo viatico contro l'estinzione sono i ricordi. Quelli che disegnano il suo intimo skyline, quello concreto della sua infanzia (Brooklyn) e quello accessibile solo con l'immaginazione e la fotografia di Vittorio Storaro (Manhattan).

Da Mymovies.it

Ci risiamo, ogni volta che esce un film di Woody Allen, proviamo ad accreditarlo di stanchezza, scarso entusiasmo, cadute di tono. E invece lui fa, come sempre, il contrario. Pronto a sorprenderci, ci porta all'interno di una vicenda leggera e di irrefrenabile brillantezza, ci conduce per mano a fianco dei suoi personaggi, sfiorati dalla grazia del tocco delicato di una camera in continuo equilibrio tra sogno e realtà. "Cafè society" più che proporsi come una storia, è la messa in scena di una fantasia che attraversa di continuo la storia e la cronaca. Quasi una favola sul regno delle favole, una poesia che costeggia il vero di fatti terribili (i gangster, la malavita, la mondanità eccessiva...) e li accosta per ammorbidirli grazie al proprio sguardo moderato e comprensivo, capace di stare dalla parte dei deboli e del perdono. Allen poi non rinuncia ad affrontare quei momenti in cui il suo essere ebreo diventa occasione per un umorismo svelto e affilato, e il confronto con il 'fine vita' si fa forte ma non disperato. C'è tutto insomma in questo film, sintesi di una filosofia che non si arrende a considerare il cinema ormai finito ma lo affronta ogni volta come nuovo e pronto a scrivere storie inedite. Un Allen più che mai in forma con un film che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile e problematico con forte presenza di umorismo e di ironia.

Da Acec.it

Café Society è un Woody Allen rétro, ma di quelli in cui il sentimento della vita è meno cinico e nero. Siamo nella Hollywood dei secondi anni 30, e Bobby (Jesse Eisenberg)è un giovane ebreo del Bronx, arrivato a Hollywood sperando nell'aiuto dello zio agente di attori (Steve Carell). Lì incontra la bella segretaria Vonnie (Kristen$tewart), di cui s'innamora. Ma lei è l'amante dello zio. Disilluso, Bobby torna a NewYork, dove lavora col fratello gangster egestore di un club di lusso. Dapprima il film sembra non sapere che strada prendere, e gioca sul sicuro tra gag e intrecci sentimentali (le parti sulla famiglia ebrea di Bobby sono irresistibili). Una novità è la luce, quasi protagonista, affidata per la prima volta alle cure del nostro Vittorio Storaro: più bianca e netta a NewYork, dorata e arancio per Hollywood, quasi in un ironico eterno tramonto. E poi Allen inquadra le donne come nessuno: qui Kirsten Stewart, abbigliata dalla costumista Suzy Benzinger e incorniciata in primi piani adoranti, come vista attraverso gli occhi di Bobby. Poi il progetto prende corpo, il tono si precisa e se non siamo al livello di un capolavoro come Blue Jasmine, questo Allen è uno dei migliori degli ultimi tempi. La polarità tra New York e Hollywood, i destini e le illusioni perdute dei personaggi sullo sfondo del vacuo mondo del cinema o della café society, fanno pensare a Scott Fitzgerald, a un incontro ideale tra Il grande Gatsby e Gli ultimi fuochi. Ma con più malinconia che tragedia come forse è giusto per un regista di 80 anni, che ambienta la storia all'epoca in cui era appena nato.

Da Repubblica.it

E ora non dite che Woody Allen fa sempre lo stesso film. Prima o poi ci siamo cascati tutti ed è vero che se sforni un titolo l'anno non sempre sono capolavori. Però con Café Society il grande newyorkese torna davvero alla sua forma migliore, quella di grandi film "al passato" come Radio Days, Zelig o La rosa purpurea del Cairo. E rimescolando il solito mazzo di carte infallibili comunica un senso di rimpianto per un'epoca irripetibile che non sfocia nell'elegia solo perché è e resta una commedia. [...]

Da Il Messaggero 

 

  (scheda a cura di marco massara)