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Ciclo: “Diritti d’autore”
LOVELESS
Mercoledì 07 novembre 2018
Venerdì 09 novembre 201
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Regia |
Andrey Zvyagintsev |
Anno, durata |
2017; 127’ |
Filmografia parziale |
The Black Room (2000, serie TV), Il ritorno (2003), Izgnanie (2007), New York, I Love You (2009, episodio Apocrypha, poi tagliato), Elena (2011), Leviathan (2014), Loveless (Nelyubov) (2017) |
Interpreti |
Mariana Spivak - Zhenya, Alexey Rozin - Boris, Matvey Novikov - Alyosha, Marina Vasilyeva - Masha, Andris Keishs - Anton, Alexey Fateev - Coordinatore |
Sceneggiatura |
Oleg Negin, Andrey Zvyagintsev |
Fotografia |
Mikhail Krichman |
Montaggio |
Anna Mass |
Suono |
Andrey Dergatchev |
Note |
Premio della giuria al 70° Festival di Cannes (2017). Candidato Oscar miglior film straniero per la Russia |
TRAMA
Boris e Zhenya stanno divorziando e litigano in continuazione, schiavi
delle visite al loro appartamento messo in vendita. Entrambi stanno già
pensando al futuro: Boris ha una relazione con una giovane donna che aspetta un
bambino da lui e Zhenya sta uscendo con un uomo ricco che sembra pronto a
sposarla. Nessuno dei due, però, sembra avere alcun interesse per il futuro di
Alyosha, il loro figlio di 12 anni. Fino a quando quest'ultimo scompare...
NOTE DI REGIA
«Mi piacerebbe riuscire a tracciare delle linee di collegamento tra Loveless e il film di Ingmar Bergman Scene da un matrimonio, trasposto in un’epoca
diversa e recitato da altri personaggi: cittadini contemporanei, privi di
qualsiasi forma di autocoscienza o dubbio, una coppia della classe media della
Russia di oggi. Stanchi l’uno dell’altro dopo tanti anni di matrimonio, un uomo
e una donna decidono di divorziare. Una situazione come tante altre… Solo che
entrambi hanno già nuovi progetti di vita. Desiderano voltare pagina. Iniziare
un nuovo capitolo della loro vita, con un nuovo partner e nuove emozioni che li
possano far sentire finalmente completi e pieni di buoni propositi per il
futuro. L’esperienza passata ha minato un po’ la loro fiducia ma sono ancora
carichi di aspettative per il futuro. Quello che rimane da fare è liberarsi del
fardello che si frappone tra loro e la felicità: il figlio Alyosha, un estraneo
per entrambi, che diventa uno straccio che si lanciano con rancore uno in
faccia all’altro. “Voglio che sia diverso: non voglio ripetere gli errori che
mi hanno portato a questa delusione; voglio un nuovo inizio” – è quello che
pensano tutti quelli che si vergognano dei propri fallimenti. Alla fine,
l’unica cosa che puoi realmente cambiare è te stesso. Solo dopo averlo fatto il
mondo che ti circonda tornerà a splendere di nuovo. Questa era postmoderna è
una società post-industriale inondata da un continuo flusso di informazioni
ricevute da individui che si interessano alle altre persone sporadicamente e
solo per ottenere qualcosa in cambio. Ogni individuo pensa solo a sé stesso.
L’unico modo per potersi sottrarre a questa indifferenza è quello di
sacrificare sè stesso per gli altri, anche per persone estranee, come il
coordinatore dei volontari che perlustra il paese per cercare il bambino
scomparso, senza ricevere nessuna ricompensa, come se questo fosse l’unico
scopo della sua vita. Uno scopo che dà senso ad ogni sua azione. Questo è
l’unico modo per combattere la brutalità e il caos del mondo». [Andrey
Zvyagintsev]
RASSEGNA STAMPA
“(...) il film sprofonda sempre più in
un'angoscia senza soluzioni, tra boschi deserti, casermoni anonimi e vecchi
edifici brezneviani in rovina, eloquente ritratto di una Russia senza futuro,
dove le generazioni giovani sono 'sparite' e quelle adulte sono schiave del
loro egoismo. Che Zvyagintsev filma con una distanza glaciale e disperata”.
(Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 19 maggio 2017)
“Ambientato in una Mosca tetra, grigia
e nebbiosa, il film fotografa senza sconti la corruzione del moderno tessuto
sociale e della famiglia in Russia mostrando come la mancanza di amore sia un
cancro capace di distruggere la vita di tutti i personaggi. Dietro l'apparenza
di un thriller, Loveless è dunque la
cronaca di una catastrofe spirituale dalle conseguenze imprevedibili. Il film
si sofferma a osservare il crollo di un nucleo, quello familiare, dove l'amore
dovrebbe essere di casa, ma è invece cancellato dalla brama di agio, status,
libertà individuale (soprattutto dalle proprie responsabilità), sesso e soldi.
E quello che inizia come il racconto di una crisi coniugale diventa
l'angosciante affresco del fallimento di una società dove neppure la tenerezza
di una madre per il figlio trova terreno fertile”. (Alessandra De Luca,
'Avvenire', 19 maggio 2017)
“Zvyagintsev (...) negli anni ha
imparato a mettere il proprio estetismo al servizio di una visione più controllata,
e dirige con grande sapienza: piani-sequenza implacabili, una fotografia
espressiva che si ferma a un passo dalla ricercatezza, set di grande forza. Il
film tiene alta una tensione angosciante e la visione del mondo che esprime è
nerissima, perfino un po' nichilista (...). A non renderlo gratuito è anche
(come nel precedente Leviathan)
l'esplicito intento di metafora, più morale che politica, dell'assenza di
speranze nella Russia di Putin”. (Emiliano Morreale, 'La Repubblica', 19 maggio
2017)
“Benvenuti nell'inferno di Loveless (Senza amore), diretto dal grande Andrey Zvyagintsev di Il ritorno e di Leviathan, un nipotino di Bergman e di Antonioni che ci prende alla
gola dalle prime scene e non ci lascia più. Passando ai raggi X la tragedia di
una coppia per alludere alla catastrofe di un impero. La Russia di Putin, che
peraltro qui somiglia come un doppio diabolico agli Usa più opulenti e
svuotati. (...) Un film dalla drammaturgia implacabile, popolato di attori
grandiosi e personaggi meschini, in cui tutto è metafora e insieme spietato
referto di un corpo in decomposizione”. (F. Ferzetti, 'Il Fatto Quotidiano, 19
maggio 2017)
“Loveless però non è un film di pentimento e ravvedimento,
anche in questo sta la sua grandezza. Il finale racconta infatti un agghiacciante ritorno alla normalità:
la falla morale apertasi nei personaggi si richiude rapidamente, i riti della
quotidianità prendono nuovamente il sopravvento. Nel frattempo il regista ha
disseminato le ultime sequenze di piccoli dettagli che danno alla vicenda un
significato politico: la famiglia lacerata come la Grande Madre Russia, il figlio come uno stato interno che prova
disperatamente a segnalare la propria esistenza”. (Leonardo Gandini,
Cineforum.it)
“Il problema risiede nel fatto che
nessuno dei due ha compreso il senso del sentimento di cui parlano e,
soprattutto, manca loro l'idea della responsabilità che si sono assunta. Ci
pensa Alyosha a ricordargliela scomparendo e quindi costringendoli a ripensare
alle loro pseudo scelte. Il che non significa che ciò sia sufficiente per due
adulti (in senso strettamente anagrafico) per i quali la vera preoccupazione è
stata, fino ad allora, come potersi liberare di lui addossandolo all'altro. Qui
però non siamo nel clima di commedia esasperata alla à e non solo perché il tono della narrazione è totalmente
differente. Siamo distanti perché viene messa in discussione l'intera società,
senza per questo giustificare i singoli grazie alle sue 'colpe'. Era
indubbiamente facile mostrare Zhenya in metropolitana impegnata, come diversi
altri passeggeri, con il proprio telefono cellulare. Lo era meno mostrare come
nell'attuale laica Russia sia tornato a giocare un ruolo non secondario
l'appartenenza alla chiesa ortodossa. La vera e unica remora di Boris dinanzi al
divorzio è costituita dal fatto che nell'azienda in cui lavora si deve essere
regolarmente sposati salvo perdere il posto”. (Giancarlo Zappoli, MyMovies.it)
Ci vediamo il 21/23 novembre con L’INSULTO,
di Ziad Doueiri, 2017, 116’.
(scheda a cura
di Matteo Mazza)