ORION    MOVIES

CENTRO FRANCESCANO ARTISTICO ROSETUM

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FIRST MAN

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flavio acquati

First Man è un film di inusuale potenza. Sorta di viaggio esperienziale nella vita e nelle relazioni di un “uomo tutto d’un pezzo”, First Man supera il limite e le limitazioni imposte dalla gravità terrestre per lanciarci nello spazio inesplorato del senso e a contatto con la modernità. Si salva l’amore e il senso di responsabilità. Imperdibile.

giulio acquati

Chazelle, come Armstrong, affronta una sfida enorme scegliendo di dirigere un film sullo sbarco sulla luna, forse il traguardo o meglio il fatto più rilevante degli ultimi cinquanta anni. Per raccontarci questa impresa quasi impossibile, utilizza inquadrature molto strette, primi piani serrati, che accompagnati da un utilizzo del sonoro in maniera magistrale ed innovativa, portano lo spettatore ad un esperienza non solo visiva, ma quasi totale, molto vicina a quella probabilmente vissuta da Armstrong negli anni sessanta.
Un altro elemento importante messo in scena dal regista, è quello della sfera familiare in relazione a quella lavorativa del protagonista, in contrasto ma senza uno scontro effettivo, due realtà, due mondi quasi separati, divisi, come la Terra e la Luna.
First Man si presenta ai nostri occhi oltre che in tutta la sua bellezza visiva, espressione della grande tecnica, attraverso una costante sensazione di freddezza data dai personaggi principali, sicuramente legata anche alla reale personalità di alcuni di questi, ma che nei momenti di maggiore profondità drammatica del film, finisce con non coinvolgere lo spettatore a livello emotivo in maniera efficace.
marco massara                  

Da sempre appassionato di imprese spaziali avevo grandi aspettative su “The first man”.
Non sono andate deluse se si guarda alla ricostruzione del ‘percorso’ di Neal Armstrong  e di tutto il progetto che lo ha portato a stampare la sua impronta sul suolo lunare. 50 anni sono una distanza ‘storica’ che offre l’occasione ai più giovani di rivisitare un’impresa che oggi sembra addirittura più lontana dalle attenzioni della cultura contemporanea.
Interessante invece, per chi invece la ricorda perfettamente, è anche  la ricostruzione del lato umano degli astronauti che invece sono stati sempre presentati come uomini del futuro e senza un passato e che invece vengono messi di fronte alle loro esitazioni, paure ,nella loro dimensione famigliare e nelle relazioni tra loro stessi.
Dove ho trovato  il film meno efficace è sul piano del ritmo, troppo discontinuo tra le varie sezioni e sbilanciato nella rappresentazione dei momenti più strettamente ‘eroici’. Anche il casting si muove tra alti e bassi. La somiglianza tra Gosling e l’astronauta è appena sufficiente, altre ‘facce’ sono azzeccatissime (Ed White  e Buzz Aldrin) mentre altre sono appena accennate (Michael Collins) se non sbagliate (Dick Slayton) mentre  il co-equipier della Gemini 8 (David Scott) è addirittura relegato ai margini della inquadratura.
Ben riuscita è invece l’idea di alternare, nel momento topico della discesa sul suolo lunare, le immagini originali e dialoghi ‘storici’ con quelle ricreate ad hoc. Una nota di regia efficace che chiude un film che conserva un buon valore evocativo ed istruttivo per i ‘millenials’ oggi proiettati verso obiettivi del tutto diversi.

Ma “Apollo 13” è un’altra cosa !

matteo mazza Il capovolgimento stilistico compiuto da Chazelle conduce lo spettatore a vivere un percorso soffocante e sofferente in cui l'uomo fa i conti con i propri limiti e la propria memoria. Questo mi sorprende anche se mi pare che il suo cinema insista su un elemento non nuovo: è intatta la volontà di descrivere quella soglia sottile e fragile che separa sacrificio e ambizione. Resta un cinema che m'interpella perché devoto all'umano sognatore, ferito, instabile, in ricerca. Ho visto un film chiuso, nostalgico, meno hollywoodiano di La La Land e Wiplash perché meno desideroso di definire un'epica, sebbene interessato a svelare la tragicità di un fallimento (relazionale, sentimentale o professionale non fa differenza). Un film sull'incapacità umana di controllare il tutto, che si riflette in quella voragine del finale riportando in scena la presenza di un'assenza. Cinema di affetti prima che di effetti.

carolina papi

Un film che è tutto negli occhi... quelli di Neil Armstrong, chiuso nella capsula spaziale, lanciato fuori dalla Terra per vedere ciò che nessun uomo, prima di lui, ha mai visto e quelli della moglie, spaventati, ma partecipi di ciò che sta accadendo! Grandi occhi che cercano di carpire gli stati d’animo del proprio uomo, padre dei suoi figli, ormai totalmente concentrato sull’obiettivo da raggiungere, che sembra già tanto distante ancor prima di partire! E che una volta rientrato, vivo, ma in quarantena, attraverso lo spesso vetro sembra comunque una creatura, per sua natura profonda, destinata all’isolamento e alla chiusura!
Il film sembra rimarcare il tema dell’incomunicabilità e della solitudine che sono alla base dalla condizione umana, destinata alla morte; che sia quella di una bimba di due anni, malata di cancro, o quella di uomini adulti addestrati per affrontare grandi imprese, precipitati o bruciati vivi nelle varie fasi di collaudo.
Il mistero di fondo è lo stesso! Non c’è comunque risposta ai grandi interrogativi che l’uomo si pone sulla propria esistenza!
Per questo Chazelle ci racconta la storia del primo uomo sulla Luna con una vena di malinconia, all’insegna dello straniamento di Armstrong fra l’essere un uomo “normale” (marito e padre) e l’essere, anche, il primo uomo ad aver compiuto un’impresa eccezionale, destinata a segnare una svolta per l’umanità, ma non a fornire risposte!