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Jersey Boys
da domenica 5 a venerdì 9 ottobre 2014
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JERSEY BOYS
REGIA DI C.EASTWOOD
Siamo nei primissimi anni ’50 nel New Jersey, quando una band di italoamericani diventa celebre con il nome Four Seasons. Si dice che, negli anni ‘60 i Beatles abbiano rivoluzionato la musica ma si dimentica che, pochi anni prima, all'insegna della musica rock, vi era stata la rivoluzione suscitata nel New Jersey da altri quattro giovanotti che si erano annunciati come i Four Seasons e che, anticipando appunto i Beatles, si erano subito proposti con dei veri e propri successi mondiali. A tal segno che Broadway non tardò a dedicar loro addirittura un musical, intitolato, data la loro provenienza, Jersey Boys: Clint Easwood parte da questa storia per il suo film. Il protagonista, John Lloyd Young nel ruolo di Frankie, è lo stesso del musical dedicato al gruppo, così come la partecipazione produttiva; nella cornice di un'affettuosa ricostruzione d'epoca, tra brillantina, impresentabili camicette bicolori e sfacciate cabrio pinnate dai colori accecanti, sfilano le canzoni che portarono i Four Seasons in vetta alle classifiche, con il loro sound accattivante e la voce flautata di Frankie/John: Sherry, Big Girls Don't Cry, Bye Bye Baby e tante altre. Che il legame di Clint Eastwood con la musica sia forte e profondo è noto, avendo egli stesso composto le colonne sonore di alcune sue pellicole e avendone girate due dedicate al jazz: il documentario The Piano Blues e il biopic di Charlie «Bird» Parker. Dalle note di regia si legge: “Ognuno se la ricorda come gli fa più comodo”. Conosciamo le canzoni. Conosciamo il sound. Ma solo pochi conoscono la storia. Jersey Boys racconta dell’ascesa e della conseguente caduta dell’iconico gruppo rock ‘n’ roll, The Four Seasons, raccontando agli spettatori come le loro canzoni siano riuscite a fare presa nelle coscienze del pubblico—alcune delle quali per oltre mezzo secolo—ma anche rivelando le sorprendenti origini di questa, apparentemente perbene, rock band americana. l film è tratto dal musical di successo che ha conquistato un premio Tony Award, incantando le platee di tutto il mondo (negli U.S.A. e all’estero) e diventando uno degli spettacoli più longevi nella storia di Broadway. Ora, il regista Clint Eastwood dirige la storia dei The Four Seasons allargandone gli orizzonti, portando tutta la gioia, la musica ed i ricordi sul grande schermo per emozionare le platee di tutto il mondo. Eastwood, che è anche produttore del film assieme a Graham King e Robert Lorenz, ha voluto svelare il dramma nascosto dietro le giacche e le cravatte, dietro l’apparente armonia che legava i quattro ragazzi, era ciò che maggiormente lo intrigava: “Mi è sempre piaciuta la musica dei The Four Seasons, quindi sapevo che sarebbe stato divertente rivisitarla, ma quello che più mi interessava era che questi delinquenti, poco più che maggiorenni, cresciuti certo non nella migliore delle situazioni, fossero riusciti a raggiungere questo enorme successo. Cresciuti in una periferia gestita e controllata dalla mafia, vivevano di piccoli crimini. Alcuni di loro hanno anche passato del tempo in prigione. Poi è arrivata la musica, la loro salvezza per uscire da quella situazione. Avevano trovato finalmente qualcosa per cui valeva la pena lottare.”
(dal presbook)
Il capitale umano
da domenica 19 a venerdì 24 ottobre 2014
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IL CAPITALE UMANO
REGIA DI P.VIRZI
I progetti faciloni di ascesa sociale di un immobiliarista, il sogno di una vita diversa di una donna ricca e infelice, il desiderio di un amore vero di una ragazza oppressa dalle ambizioni del padre. E poi un misterioso incidente, in una notte gelida alla vigilia delle feste di Natale, a complicare le cose e a infittire la trama corale di un film dall’umorismo nero che si compone come un mosaico. Paolo Virzì stavolta racconta splendore e miseria di una provincia del Nord Italia, per offrirci un affresco acuto e beffardo di questo nostro tempo.
dal Press-book
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una vita difficile
da domenica 10 a venerdì 15 aprile 2016
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UNA VITA DIFFICILE
REGIA DI D.RISI
“Panoramica su venti anni di vita italiana attraverso le vicende di un ex-partigiano giornalista che si inserisce nel sistema di una borghesia reazionaria”, spiega sinteticamente il Morandini: dalla resistenza al boom economico Risi (grazie anche alla splendida sceneggiatura di Sonego) racconta la storia dell'Italia e degli italiani di un mondo nuovo e pulsante che però premia arrivisti e gente senza scrupoli. Vent'anni di vita del nostro Paese in un film amaro che è considerato fra le migliori prove di Dino Risi.
Nessuna celebrazione, poco ottimismo, ancor meno entusiasmo. Tipica commedia all'italiana, Una vita difficile dimostra che, nonostante bozzettismi e facilonerie, il genere può aver valore di documentario e di satira. In una delle ultime interviste televisive rilasciate prima di morire, alla domanda del giornalista su quale fosse il personaggio interpretato a cui era maggiormente legato, Sordi rispose essere quello di Silvio Magnozzi, il protagonista del film, aggiungendo, come seconda risposta, quello di Giovanni Vivaldi, protagonista della pellicola Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli.
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La famiglia Belier
da domenica 4 a venerdì 9 ottobre 2015
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LA FAMIGLIA BELIER
REGIA E. LARTIGAU
La parola al regista: “I produttori Philippe Rousselet ed Eric Jehelmann mi hanno mandato la sceneggiatura. All'epoca ero nella fase iniziale di un progetto che desideravo scrivere… sulla famiglia. Dunque, è evidente che si tratta di un tema che non mi abbandona... o meglio che io non abbandono. Malgrado non mi ritenessi disponibile, ho immediatamente detto un enorme e incondizionato «sì» a La famiglia Bélier. Sono rimasto profondamente toccato dalla storia. A posteriori potrei ragionare sui motivi per cui certi temi mi sono piaciuti e sulle ragioni che mi hanno portato a scegliere di fare questo film piuttosto che l'altro, ma la verità è che la mia scelta è stata del tutto impulsiva. Non c'è dubbio che la famiglia sia un soggetto universale che, peraltro, è stato trattato migliaia di volte nel cinema. Ma è un tema che mi piace e mi interessa, poiché è il luogo dell'epidermide, è il luogo dove nascono tutte le emozioni primarie, le sensazioni animali. Adoro esplorarlo. Le risate e le lacrime, l'ingiustizia provata da qualcuno confrontata con la verità sentita da qualcun altro. In quanto regista, mi piace non essere costretto a scegliere tra tutti questi modi di sentire. Amo la commedia tanto quanto la tragedia e adoro soprattutto mescolare i due estremi, come accade nella vita reale, quando da una situazione drammatica scaturisce una situazione divertente o assurda… Il soggetto e la sceneggiatura originali erano di Victoria Bedos. Dopo aver accettato il progetto, rileggendo la sceneggiatura e di comune accordo con lei e con il suo co-sceneggiatore Stanislas Carré de Malberg, ho sentito l'esigenza di fare mia la loro storia... Inizialmente da solo e in seguito insieme a Thomas Bidegain... Ma tutti i temi erano già presenti, avevo giusto bisogno di appropriarmi della storia. A proposito della sua scrittura, Victoria Bedos parla spesso della sua «piccola musica». Mi restava solo da trovare la mia, poiché a quel punto dovevo inventarla in immagini. Innanzitutto mi ha stimolato il tema della partenza, della separazione vissuta come una lacerazione. È possibile lasciarsi con dolcezza? È possibile amarsi profondamente senza vivere in simbiosi? Come lasciare a ciascuno il suo spazio di libertà? Che ne è del nostro sguardo sull'altro quando cresce ed evolve? E il fatto di amarsi molto non vuol dire necessariamente che ci si ama bene. In una famiglia, che cosa aiuta a costruire, che cosa serve per andare avanti, che cosa ci fa soffocare? Dove posizionare il cursore in queste scelte? Anche il tema della paura, quella che ti impedisce di agire, quella che ti blocca… La fine dell'adolescenza è un momento cardine della vita. Guardare da lontano il mondo degli adulti nel quale si sta per essere catapultati senza rete può generare terrore. Persino il corpo non è ancora completamente formato. È un'età vibrante e vacillante che mi tocca molto. Raccontare i primi passi incerti di questa giovane ragazza il cui orizzonte si spalanca bruscamente mi ha appassionato. Il percorso di Paula, prima che trovi la sua strada e si assuma la responsabilità del destino che le si profila davanti, appartiene a ciascuno di noi. E sarà anche quello dei miei figli e dei miei nipoti. E poi trovare il proprio posto. Divenire se stessi. Bisogna per forza tradire un po' i propri genitori, uccidere il padre, come si suole dire? Del resto, è bello uccidere un padre quando questi, all'improvviso, si rende conto che quest'atto di violenza di fatto altro non è che una rinascita. In quanto genitori, cerchiamo di accompagnare al meglio queste creature così «fragili». Quello che mi divertiva in questa storia era spingere gli spettatori a chiedersi dove si possa situare la normalità. Sappiamo bene che è lo sguardo degli altri a determinare quello che è normale e quello che non lo è: abbiamo una grande capacità di imprigionarsi in un castello di idee preconcette e una certa propensione ad avventurarci su strade sbagliate. Lavorando a questo progetto, mi sono reso conto che i sordi non hanno lo stesso concetto del rapporto con gli altri degli udenti: sono estremamente diretti e se una cosa non gli sta bene non si fanno scrupoli girandoci attorno, ma al contratto vanno dritti al punto e, a volte, questo loro cogliere l'essenza può apparire volgare. Coloro che escludono al pari di coloro che sono esclusi hanno bisogno di affermare la loro appartenenza. L'istinto gregario riguarda ciascuno di noi, è un difetto che condividiamo tutti.”
roberta braccio domenica pomeriggio |
Si comincia l’anno con l’applauso in sala. Questo film dimostra ancora una volta come molti registi francesi siano ben sintonizzati sulle emozioni universali e come sappiano muoverle a regola. I tipici toni sempre un po’ stonati, o sul melodramma o sulla comicità che sfiora il cattivo gusto, sono un vero e proprio marchio di fabbrica di un’industria ben rodata e consapevole che è ciò che piace ad un pubblico, ormai forse assuefatto agli scossoni emotivi. E allora via, su una girandola di sentimenti. Poco importa se la regola è il politicamente scorretto: sappiamo bene che alla fine la piccola voce (tanto difficile da accettare per la madre) scoppierà in un tripudio di gioia. Poco importa qualche banalità ( ogni pezzo s’incastra alla fine e persino il cinico professore troverà l’amore): la storia è così originale che forse un po’ di banalità la rende fin rassicurante. Sebbene a mio avviso un film sfrontato non sia per forza coraggioso, questo resta un film riuscitissimo, e davvero piacevole. |
giulio martini domenica sera |
dopo molti film targici o melodrammatici su vari tipi di handicap,e a seguito della svolta "emotiva" di Quasi amici, i francesi ci riprovano con questa famiglia di provincia che supera l'immancabile esame funale ( a Parigi ! ) in un campo che è che è l'esatto contrario del difetto di partenza ( Bélier, contiene - all'origine - il conecetto di belare non certo di cantare...). Girato con scrupolos a attenzione al pubblico dai 7 ai 77 anni, e avendo per colonna sonora un cantuatore DOC - Sardou - che ha fatto di tutto per non farsi conoscere all'estero, il film graonda di aromi e profumi d'oltralpe, occuratamente citati ( dalla Bretagna ai formaggi locali ) e riconferma uno stile inimitabile nel racconto e nellle battute: ma le critiche dell' Associazione sordomuti di Francia per alcune situazioni forzate ed improbabili sono legittime e rappresentano il punto debole dell'insieme. |
angelo sabbadini martedì sera |
I sordomuti in forma di commedia: a memoria nessuno mai prima del regista Eric Lartigau aveva tentato l’impresa. E a giudicare dalle calorose reazioni del pubblico del Bazin ci è riuscito in pieno nonostante il carattere palesemente consolotario dell’operina e il vezzo di accentuare a dismisura la gestualità degli attori che interpretano i genitori della brava Louane Emera. Insomma l’operazione è piaciuta molto ma la sistematica propensione a semplificare l’assunto ne limitano inevitabilmente la portata. |
carlo caspani mercoledì sera |
Storia di famiglia molto particolare, di passaggi e talenti adolescenziali, e di comunicazione: i sordomuti si affidano alla protagonista per mediare il loro rapporto col mondo cosiddetto "normale", e tutto passa attraverso una forte fisicità che è linguaggio del corpo, espressione di emozioni e in alcune situazioni pretesto per una comicità di grana grossa codita da qualche luogo comune che funziona molto bene, almeno in Francia, nel generare un film ad alto gradimento di pubblico. |
marco massara giovedì sera |
E’ una questione di approccio: se si mette il film sotto la lente di ingrandimento del critico inquisitore è innegabile che si evidenziano dei difetti più o meno importanti : al di là del punto di vista verso l’handicap non proprio ortodosso ci sono dei cascami di narrazione non completati e qualche incertezza nel ritmo. Tuttavia la presa emotiva ha il sopravvento e si apprezza la delicatezza del tocco, la qualità della recitazione e la freschezza che nella commedia francese è quasi una garanzia. E con un pizzico di generosità si dà il primo ‘verde’ della stagione. |
giorgio brambilla venerdì sera |
La famiglia Bélierracconta il passaggio di una giovane donna all'età adulta, con annesso distacco dalla famiglia e realizzazione di un sogno fondato sul dono del canto. Una storia che sarebbe oltremodo prevedibile e scontata, se non fosse inserita in un contesto di sordomuti. Questo aggiunge materiale per una serie di gag originali e amplifica un altrimenti semplice contrasto generazionale, perché il canto viene avvertito inizialmente dalla famiglia, soprattutto dalla madre, come una sorta di tradimento. Si introudce così prepotentemente anche il tema della diversità, intesa non solo negativamente, ma come capace di conferire identità; questo porta alla difficoltà e possibilità di comprendersi (non a caso “je vous entends” è il motto del padre per le elezioni), come quando, dopo la soggettiva acustica del concerto di fine anno, prima il padre fa cantare Paula mettendole una mano tra il cuore e la gola, e poi, al concorso, lei canta accompagnando le note con i gesti, per comunicare sia con la giuria sia con la famiglia. C'è qualche caduta qua e là, ma nel complesso risulta un'opera divertente e non banale |