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La isla minima

 

da domenica 26 febbraio  a  venerdì 3 marzo 2017

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LA  ISLA  MINIMA

regia di A. Rodriguez

 

La isla mínima è un film che sfiora le corde dei migliori noir europei, rivela un tocco classico per quanto riguarda le indagini e lo sviluppo dei personaggi, ma con uno sfondo che è torbido, fangoso, denso e impenetrabile come le vere paludi nelle quali è ambientato: profondo sud della Spagna, 1980. Dalle note di regia: “La isla mínima nacque alcuni anni fa, in una mostra fotografica che ero andato a visitare con Alex Catalán, direttore della fotografia e mio buon amico. Atín Aya, il fotografo di Siviglia, si era dedicato a catturare le ultima vestigia di uno stile di vita che era esistito per secoli nelle paludi del fiume Guadalquivir. Molte delle fotografie erano ritratti di abitanti del posto e mostravano un misto di rassegnazione, diffidenza e durezza che erano parte di quei volti congelati nel passato e che, con la meccanizzazione del lavoro, molto probabilmente non avrebbero avuto un futuro duraturo. La mostra rifletteva la fine di un’era, di un’epoca. Questo è stato il mio primo contatto con La Isla, un paesaggio crepuscolare, adatto a un western di fine secolo. Per alcuni mesi, durante il 2009, con Rafael Cobos abbiamo giocato con la possibilità di scrivere un “noir”, traendo ispirazione dal romanzo di Bolaño 2666 e da film come Il mostro di Mägendorf di Ladislao Vajda, e altri: Memories of Murder, Chinatown, Giorno maledetto, ecc. Come fonte di ispirazione avevamo anche tutto quello che le paludi evocavano in noi, un magico e misterioso luogo in cui la ricchezza e il potere hanno vissuto spalla a spalla con il dolore e la tristezza di personaggi che sono il risultato di un passato politico e sociale. Con tutte queste informazioni a disposizione abbiamo iniziato a scrivere la storia. Abbiamo deciso di ambientarla nel 1980, un anno di grandi tensioni politiche in Spagna, una tensione che doveva essere percepita in sottofondo, come un digrignare di denti. La isla mínima è una fiction dall’inizio alla fine “(...). Alla fine ottenemmo una trama forte che trascinava la storia ma avevamo bisogno di integrare maggiormente i personaggi, così abbiamo deciso di ispirarci a eventi reali che erano avvenuti in quegli anni. Nel caso del personaggio di Pedro abbiamo utilizzato la vera storia di un poliziotto che venne ammonito e si ritirò dall’incarico perché espresse la sua repulsione verso alcuni militari che erano a favore di un rovesciamento del governo. Non dobbiamo dimenticare che la storia si svolge nel 1980.”        

matteo mazza

domenica pomeriggio

Un noir torbido, dalle temperature torride, polveroso e sanguinante, colmo di misteri e ambiguità, preciso nel mescolare le prospettive, gli sguardi sulla realtà, i dubbi, le paure. Una riflessione sul male e sulla società. Due cose di numero, giusto per motivare il titolo di "miglior film della programmazione di questo anno senza dubbio alcuno": intanto è un film sul vedere e il non-vedere, cioè sui limiti del nostro sguardo (le prove, le persone nelle fotografie, ma anche la visuale in auto a causa della notte o della pioggia), quindi è per forza un film sul credere e il non-credere, cioè sulla capacità o possibilità di credere alla parola di qualcuno o a quel che si è visto o di non credere: in pratica è un film sul dare una possibilità all'altro; poi è un film sulla Storia (i due poliziotti sono la storia: uno è il passato, l'altro è il presente-futuro), sulle sue storie, le sue cause e le sue conseguenze che ne fanno, quindi, un film di presenze e di assenze. L'essenza del cinema: mettere in scena la presenza di un'assenza qui è tutta racchiusa in quei momenti sospesi tra orrore-sogno-realtà (vedi le apparizioni di uccelli dopo gli svenimenti o anche la donna sul ciglio della strada, di notte, illuminata da un bagliore rosso). Un film meraviglioso.

giulio martini

domenica sera

con uno sforzo minimo, ma più che sufficiente abilità compositiva, il regista  spagnolo re-imposta e re-impasta, le antiche  tematiche del noir,  girando al sole e nella melma  - etica e politica - del  Guadalquivir. Il risultato sollecita la sensibilità iberica molto più  di quella degli altri Paesi, tuttavia il riciclaggio del genere anglo/americano funziona  bene per  raccontare la difficile e assai ambigua rottamazione del regime  franchista, dei suoi funzionari e dei suoi  modelli mentali. Palude,meandri e animali della "riserva", che si pescano, si cacciano e soprattutto si squartano, fanno da contrappunto metaforico iberico al mesto tono della cronaca poliziesca.

angelo sabbadini

martedì sera

Il Bazin è sempre più sedotto dal cinema spagnolo... questa volta è di turno Alberto Rodriguez, solido cineasta di Siviglia, che confeziona un thriller di classica fattura che rende felici gli amanti del genere. Ma l'operazione solletica non poco anche i cinefili grazie all'intrigante sottotesto politico. Gli attori perfettamente in parte e la location sconosciuta e suggestiva completano l'interessante operazione cinematografica

carlo caspani

mercoledì sera

Alberto Rodriguez firma un inatteso poliziesco in linea con i tempi, rispettoso delle regole contemporanee ma proiettato in un passato recente (1980) che aggiunge valenze storiche e politiche all'impianto narrativo, rendendolo in un certo senso simbolico della situazione di un paese impantanato nel fango di un passato dittatoriale, ma in procinto di uscirne definitivamente.

roberta braccio

giovedì sera
 

Film dichiaratamente 'di genere' che forse funZiona meglio se si esce dai canoni. Una coppia che rappresenta, nell'essere uno l'opposto dell'altro, un paese tenuto insieme dalle circostanze; un continuo alternarsi di opposti e di contrari (opposti metereologici, interni/esterni, uomini/donne); un finale beffardo. Concentrarsi dunque solo sull'indagine sarebbe banale e riduttivo, è tutto il resto che qui funziona, e alla grande, raccontandoci un Paese in un momento storico cruciale.

giorgio brambilla

venerdì sera

Rodriguez costruisce una grande metafora della Spagna post franchista, rispecchiata nella palude nebbiosa della foce del Guadalquivir, mostrando tutto il marcio di questo momento storico di transizione e facendo emergere la mentalità del periodo, fondata sulla prepotenza e l’abuso, ancora radicata in molti che rimpiangono il recente passato. Un lavoro pregevole di ricostruzione storica, tanto che anche il film stesso sembra girato in quegli anni. E di fotografia, come ad es. nella bellissima prima inquadratura, dove il territorio appare come un cervello nei cui meandri il regista sta per portarci, così come in quelli del cuore umano. I codici del noir sono usati con sapienza per fare un discorso che travalica i confini del genere, già di per sé ampi, e racconta come l’uomo, secondo il celebre adagio pascaliano, spesso non sia angelo o bestia, ma entrambi. Un film che riesce ad appassionare e far pensare insieme, evitando tanto l’intellettualismo che il divertissement fine a se stesso