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Colpo di fortuna

 

 

da domenica 5 a  venerdì 10 maggio 2024

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UN COLPO DI FORTUNA

REGIA DI WOODY ALLEN

 

 

“Che Woody Allen sia ancora oggi un grande regista lo si capisce dalla prima sequenza di Un colpo di fortuna - Coup de chance, in cui i due futuri amanti Fanny (Lou de Laâge) e Alain (Niels Schneider), lei impiegata in una casa d’aste, lui scrittore, si incontrano per strada a Parigi dopo essersi conosciuti anni prima in un liceo di New York. La camera di Vittorio Storaro regge un morbido piano sequenza che prima coglie di sfuggita l’incrocio tra i due personaggi e poi dopo un attimo il saluto e la conversazione, introducendo lo spettatore nello spazio della città e nella accidentalità dell’incontro. C’è un senso preciso nella scelta del piano sequenza, dal momento che Coup de chance è costruito sul contrasto tra il caso e la premeditazione, tra la vita di Alain, artista senza radici innamorato dell’incertezza, e quella di Jean (Melvil Poupaud), il marito di Fanny, ricchissimo consulente finanziario e uomo possessivo e abitudinario, convinto al contrario che la fortuna di un uomo vada costruita e manipolata. (…) Coup de chance è la ripresa di alcuni dei tipici elementi dell’universo di Allen, dall’idea del delitto come affrancamento dal dovere morale, all’influenza dell’ambiente sui comportamenti individuali (…), alla casualità come ironica sistemazione di un ordine capriccioso. Le domande sono sempre le stesse, fin dai tempi di Crimini e misfatti o più avanti di Match Point: perché qualcuno si salva e qualcuno no? Perché alcune decisioni portano alla salvezza e altre alla condanna? (…) Con una scelta di sceneggiatura inaspettata, Coup de chance passa così da Dostoevskij a Simenon (citato esplicitamente), opponendo alle rigorose pianificazioni di Jean le intuizioni di una donna curiosa e al tempo stesso sbadata, che la verità non la conosce e non la può dimostrare, ma la sente e la sa… Un colpo d’ala geniale, che conferma la crudele precisione della scrittura di Allen (specie dell'Allen filosofico, che avrà per sempre in Crimini e misfatti il suo capolavoro) e, anche in questo piccolo film, il suo cinquantunesimo, la vena in fondo inesauribile di un cinema inteso come continua variazione sui medesimi temi.”

Roberto Manesseno da cineforum.it

 

 

“Woody affronta nuovamente il tema che più lo affascina: le dinamiche di coppia e il rapporto tra la fredda razionalità (anche se mascherata da sentimentalismo) e il flusso dei sentimenti veri. (…) Tutto va bene finché il caso non mette letteralmente sulla sua (di Fanny) strada Alain, un compagno di liceo, ora scrittore, da sempre innamorato di lei senza averglielo mai rivelato. Da questo momento Woody si diverte a lavorare su due termini che, fin dal tempo del teatro greco, attraversano la vita degli esseri umani e la sua rappresentazione scenica. Si tratta di due termini che la lingua francese con cui gli interpreti si esprimono sa distinguere con sottigliezza. (...) Il caso, la coincidenza può trasformarsi in un rischio? Woody pensa di sì ma ritiene anche che si tratti di un'opportunità. Ricorda, fin dai tempi di Match point, che in fondo tutti noi siamo in balia di questi due elementi a cui aggiunge una riflessione che porta, ancora una volta, con sé sin dall'età giovanile e dalla passione per Dostoevskij. Quali sono le vere colpe commesse dagli esseri umani? Vivere una modalità di relazione appagante senza per questo smettere di provare un sentimento sincero nei confronti della persona con cui si divide da anni il quotidiano è davvero una colpa? O ce ne sono altre, ben più gravi, che meritano una punizione ad esse commisurata? Allen, in una Parigi autunnale come piace a lui (ed esaltata in questo dalle scelte cromatiche di Storaro) con i toni delle sue commedie più riuscite ci mostra come la vita in fondo sia una lotteria. A partire dal giorno in cui siamo entrati in questo mondo.”

Giancarlo Zappoli da mymovies.it

 

 

“Il cinema di Woody Allen degli ultimi (chissà quanti) anni è spesso un esercizio di riciclo combinatorio. Temi, stilemi e situazioni (anche molto specifiche e circostanziate) dei suoi film precedenti vengono costantemente rievocate e riproposte, magari ricontestualizzandole, con leggere variazioni e ripensamenti/approfondimenti (…) il delitto, il castigo, la colpa (con o senza “senso di”) e ancora il fato, il caso, il controllo o la mancanza di controllo sul proprio destino. Più o meno. Con buona approssimazione, diciamo. Torna anche l‘ormai fido Vittorio Storaro e con lui l’eleganza, spesso inquieta, dei movimenti di macchina (il bel piano sequenza iniziale) e la taratura cromatica dell’immagine. Torna la direzione degli attori, sempre allenianamente perfetta/riconoscibile, così come la capacità, in fase di scrittura, di far convivere i meccanismi e gli sviluppi (quasi) da cinema di genere con un cinema che di genere, alla fine, non è, se non “genere Woody Allen”. C’è però una probabile, non si sa quanto volontaria, novità: Woody non sembra neanche più provare a farci ridere. (…) Della commedia è come rimasta solo l’aura, l’apparente intenzione, una vaga atmosfera. (…)
Ecco che Un colpo di fortuna risulta un film ancora più funereo e testamentario del precedente, con Woody Allen che progressivamente, come l’eremita di Battiato, rinuncia a sé.”

Gianluca Pelleschi da spietati.it

Giulio Martini

(Domenica pomeriggio

Chi mai è riuscito alla soglia  ei 90 anni a sfornare un film così gioiosamente esistenziale ?

Il talento di Woody si replica e si impreziosisce nel tempo. E non è prodotto del Caso a generare tanta eleganza sul tema del destino (perturbante quesito di fondo) ma sono le sue meditate scelte espressive  a collocare il  percorso del film su binari precisi, con incroci narrativi perfetti, scambi di  battute ben oleati,  segnali di attenzione e  di pericolo nei luoghi giusti, scorrimento rapido della trama, e puntuale arrivo a destinazione secondo le promesse del titolo.

Woody, come il trenino/ giocattolo che odia (da confrontare con quello delle prime scene del correligionario Spielberg di quest'anno al Bazin) ci dice che analoghe passioni ludiche infantili e poi professionali possono derivare da motivazioni molto diverse.

L' altro si diverte a far correre il suo cinema ricamando su paure sublimate dalla fantasia, lui - da sempre - solo per esorcizzare/ filosofare ironicamente su angosce e quesiti incombenti fin dalla nascita e irrisolti perché secondo lui irrisolvibili in eterno.

 

 

 

 

Angelo Sabbadini

(Lunedì sera)

Come sostiene un simpatico aficionados del Bazin con grande convinzione: sotto sotto, Woody Allen è sempre stato un giallista, un autore noir – in un modo o nell’altro, e non solo in Manhattan Murder Mystery o in Crimini e misfatti – è sempre stato anche il Georges Simenon di New York, il Raymond Chandler che suona il clarinetto. Nell'ultimo film il riferimento evidente è Match Point, con Scarlett Johansson, del 2005: la forza del caso che spinge quasi inavvertitamente verso il delitto. Ma ci sono anche i grandi russi, per quanto mai citati, a muoversi nel sottosuolo di Colpo di fortuna: non c’è delitto senza colpa (anche se il colpevole non conosce alcun rimorso), è il caso a muovere nel modo più subdolo e sorprendente le azioni umane. Questo film, dopo la scivolata di Rifkin's Festival, riconcilia Allen con il pubblico del Bazin che gli regala commenti molto affettuosi.

Marco Massara

(Mercoledì sera)

Woody Allen in stato di grazia realizza (siamo a Parigi…) una commedia nera quasi in controcanto con il sopravvalutato “Match point” (se è un capolavoro allora “Crimini e misfatti” un iper-capolavoro!).

Ma c’è di più; Woody trasferisce la sua poetica nei personaggi di Fanny e Alain: la creatività e lo stile di scrittura nel ragazzo, l’empatia con lo spettatore nella ‘moglie da trofeo’.

Confesso che avevo immaginato uno sviluppo da “Il postino suona sempre due volte” e che sono rimasto (felicemente) spiazzato quando Jean, magistralmente ripreso in perfetta silhouette, si svela, quale autentico ‘uomo nero’, nello spietato mandante.

E’ invece il caso a bussare due volte, anzi tre: se la suocera non avesse dimenticato le pillole, se Fanny non avesse deciso di tornare nella casa di Alain, se l’ignaro cacciatore non avesse scambiato Jean per un cervo (!), le cose sarebbero andate in ben altro modo.

E appunto il manoscritto ritrovato a chiudere il film con una perfetta dichiarazione alleniana sul mondo quale teatro di una cieca ed inesorabile ‘lotteria’.

Attori quasi tutti eccellenti: mai visto un antipatico interpretato così ‘professionalmente’ come da Jean/ Melvil Poupaud.

Musica cool al punto giusto e Vittorio Storaro che conferma una volta di più la sua fama.

Grazie Woody!

 

 

Guglielmina Morelli

(Venerdì sera)

Ancora “una occasione favorevole” per vedere all’opera Allen regista. Film dove la precisione tecnica, in alcuni momenti, sfiora la perfezione. I colori che connotano i personaggi già ne definiscono la visione del mondo: un azzurro chiaro e freddo per il freddo Jean e i colori caldi dell’autunno (giallo, arancio, marrone chiaro) per il poeta Alain; una musica che non è più la romantica, struggente colonna sonora di Cole Porter (colui che ha scritto I love Paris) o di George Gershwin ma l’eleganza stilizzata di certo jazz anni ’50, tipo Modern Jazz Quartet. E tuttavia qualcosa discorda, in tanta perfezione: una recitazione non all’altezza (soprattutto Niels Schneider), i due romeni cattivissimi che starebbero bene nella parte dei “bravi” in un nuovo sceneggiato dei Promessi Sposi, soprattutto un desiderio di “spiegare” ciò che al cinema si deve mostrare. Allen è sempre Allen, ma evidentemente 50 film pesano.

Rolando Longobardi

(Jolly)

Continua il dialogo tra tragico e commedia nell'ultima filmografia di Allen. questo "un colpo di fortuna" segna un nuovo paragrafo del libro visivo che il registra newyorkese concederà ai posteri: dramma, cinismo, ipocrisia, assurdità dell'esistenza. Ingredienti questi che ormai caratterizzano gli ultimi lavori importanti del nostro. forse il messaggio è ridondante, ma anche questo fa parte della necessità ed esigenza di comunicare l'umano nella visione di Allen. La fotografia (guidata dalla maestria di Storaro), rende tutto ancora più sublime (nel senso kantiano del termine, come affascinante e terrificante nel contempo).