Titolo

The whale

 

da domenica 5 a venerdì 10 novembre 2023

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THE WHALE

REGIA DI DARREN ARONOFSY

 

“Charlie è un uomo obeso di una cinquantina d'anni. Vive solo, passa le giornate seduto sul divano tenendo corsi di scrittura online, guardando la tv e mangiando compulsivamente. Nella sua vita ci sono Liz, amica infermiera che si prende cura del suo stato di salute sempre più precario, e la figlia Ellie, diciassettenne che ha abbandonato quando era bambina (…) Sentendo la morte avvicinarsi Charlie decide di spendere il tempo che gli resta per riconciliarsi con Ellie, la quale non gli ha mai perdonato la sua scelta... Tra la Bibbia e Moby Dick, attraverso il lavoro del commediografo Hunter (che firma la sceneggiatura), in The Whale Aronofsky riprende il tema per lui abituale della deriva fisica come tramite dell'ascensione e della redenzione spirituale. In questo nuovo film, interamente ambientato (a parte una breve sequenza onirica) nell'appartamento ingombro d'oggetti e di cibo del protagonista - un luogo anche al cinema predisposto come un vero e proprio palcoscenico - tutto ruota attorno al corpo fuori scala di Charlie, qui interpretato da Brendan Frazer: ingombrante, osceno, "disgustoso", come si sente dire più volte nel film. (…)  È lui, Charlie, come suggeriscono i continui richiami del testo a Moby Dick, la balena bianca, l'espressione, cioè, di un male inesplicabile, la parte oscura di sé stessi in questo caso finita spiaggiata su un divano, a masturbarsi guardando film porno, a mangiare pizza consegnata sul pianerottolo, con l'ipertensione e il cuore vicino al collasso. Ed è lui, ancora, come dice Thomas allo stesso Charlie, l'uomo della Bibbia che ha fatto della sua libertà un'occasione per vivere secondo la carne, rinunciando apparentemente all'amore. Eppure, tra questi due testi alla base della cultura americana, Charlie sa di aver generato il suo corpo deforme (interamente realizzato con trucchi prostetici) proprio per amore - o meglio, per mancanza d'amore - e che dunque in lui c'è una contrapposta spinta al bene e alla redenzione; un'anima divisa in due che conferma la natura intimamente religiosa (se non propriamente cristologica) dei personaggi di Aronofsky.  Le due ore di The Whale - film pensato e realizzato durante le restrizioni per la pandemia, come dimostra la sostanziale unità di spazio - raccontano dunque l'ultima settimana di passione di un uomo finito, il suo tentativo di compiere finalmente del bene. E lo fanno in maniera concitata, iper-dialogata, eccessiva a livello di recitazione (…) Aronofsky sceglie infatti il formato semi-quadrato per costringere il corpo di Charlie nelle inquadrature, ma muove spesso la macchina da presa con morbide carrellate togliendo perciò rigore al suo film.”

 da mymovies.it

 

 

 

 

Giulio Martini

(domenica pomeriggio)

   Turbinosa sarabanda di errori, rimorsi e rancori che disperano di purificarsi e che il film acuisce nel turgore visivo e nella perentorietà della recitazione.

Qui - paradossalmente - il più turpe peccato vetero-testamentario, la sodomia (l'autore del testo teatrale /sceneggiatore è dichiaratamente gay) viene "giustificato" dal protagonista come genuina passione irrefrenabile ed elevato ad autentica prova dell'impossibilità di non - amare.

Tuttavia la "balena" non riesce davvero a sfuggire ai tormenti bulimici della sua torbida storia.

Ma cerca disperatamente di liberarsi dal fardello di colpe che ne appesantiscono il corpo e lo spirito, prima in modo patologico auto - punendosi nell'ingordigia suicida, poi sfidando gli avversari/ carnefici.

Ed esce dal buio angoscioso in cui è sprofondato solo in "grazia" di una ritrovata sincerità (nel raccontare e nel raccontarsi a sé e agli altri ...) che gli appare improvvisa e luminosa via di redenzione.

Perché la Salvezza non viene certo da fuori.

Così la voracità autodistruttiva del mostro svanisce nell'insperato contraccambiamo di un abbraccio/ perdono con chi più di tutti non ha mai saputo nutrire ed alimentare con il suo amore.

 

Angelo Sabbadini

/lunedì sera)

L'attenzione del Bazin è tutta per lui, la balena Brendan Fraser, sepolto per l'occasione in un gigantesco corpaccione stampato in 3D. Un corpo di 270 chili che attende faticosamente di spiccare il volo verso la redenzione. Claustrofobico e teatrale l'ultimo film di Darren Aronofsky radicalizza i fondamenti della sua estetica che si conquista i favori degli aficionados del cineclub

 

 

 

Carlo Caspani

(mercoledì sera)

Darren Aronofsky gira un film da camera, adatto ai difficili periodi produttivi del cinema nel periodo Covid. Con un attore bravissimo ma decaduto nello star system, Brendan Fraxer, che diventa balena e vince l'Oscar, insieme al make-up artist Morot, creatore di costumi e protesi che rendono enorme, mostruoso un protagonista moribondo prigioniero del proprio corpo. Riferimenti biblici a Giona (già argomento di un film precedente), alla Passione di Cristo (ricordate The Wrestler con Mickey Rourke?), allo scontro genitori-figli, all'omosessualità sentita come colpa da scontare con un contrappasso bulimico all'anoressia che ha ucciso il suo amante. Charlie ingoia cibi orrendi, sfigurato dall'obesità, eppure speranzoso fino alla fine. Non lo salva il finto dio di un predicatore giovanissimo, bigotto e ladro, ma un tema di terza media della figlia su Moby Dick: stare con gli altri, donare quello che si ha dentro, contare su una persona amica. e accettare il proprio destino: questo conta. Pubblico colpito dalla portata del film, davvero "fuori misura" e da digerire ma con effetti meno devastanti delle pizze serali che alimentano l'uomo-balena

 

 

 

 

Giorgio Brambilla

(venerdì sera)

Darren Aronofsky ci porta nella grotta della balena, a incontrare un essere la cui esistenza ci mostra come gli uomini non siano in grado di non amare, ma neanche di farlo davvero. Quindi la sua infermiera/amica è pronta a stargli accanto mentre è arrabbiatissima per il suo tradimento, lui ha abbandonato la figlia ma ha poi rinunciato a tutto per lasciarle una somma che le assicuri una certa serenità, e questa lo odia ma non può fare a meno di leggergli un suo tema, nel quale tra l’altro lo insulta, come estremo atto d’amore. L’importante è essere sinceri e veri, non come il giovane bigotto che recita semplicistici messaggi salvifici disincarnati. Di carne, invece, Charlie ne ha fin troppa, poiché usa il cibo per punirsi fino a uccidersi, divenendo un mostro adorabile. Ma la macchina da presa che entra dentro lo schermo nero all’inizio è uno sguardo sia sul bestiale protagonista del film, sia su ciò che sta dietro la macchina stessa, l’autore implicito del film, il suo senso, paradossale come lui: sovrabbondante, simbolico, sgradevole, ma insieme concentrato sull’essenziale, diretto, coinvolgente. E quella risurrezione alla fine della sua ultima settimana di passione viene accettata dagli spettatori come l’immersione in un luminoso paradiso finalmente raggiunto, a compensazione di una vita che per buona parte è stata un buio inferno

Marco Massara

(Jolly)

Ci sono elementi tipicamente americani, come i soldi ed il cibo, qui declinato nelle sue forme peggiori, ma il clima e l’intreccio drammatico sono altrettanto tipicamente europei, evocando non a torto gli stilemi dell’Ingmar Bergman più intenso.

Charlie, la balena, vive la sua settimana santa con tanto di ultima cena autodistruttiva il giovedì e morte con liberazione dell’anima dl corpo il venerdì. Diventa il catalizzatore delle tensioni con gli altri personaggi con cui interagisce, teso verso una pacificazione difficile, ma non impossibile. La balena può essere intesa sia come una mostruosa degenerazione di un bulimico stile di vita, sia come una presenza immanente che appunto scatena la catarsi delle tensioni accumulate, che come una prigione in cui Charlie/Jona vive come recluso nel ventre, fino al balzo verso la luce del sole dopo tanta, tanta pioggia.