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Lo spirito dell'isola

 

da domenica 7   a  venerdì 12 maggio 2023

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GLI  SPIRITI  DELL'ISOLA

REGIA DI MARTIN MC DONAGH

 

 

“Il nuovo straordinario lavoro di Martin McDonagh che fa seguito al grande successo di Tre Manifesti a Ebbing, Missouri, segna il ritorno del pluripremiato commediografo, regista e sceneggiatore britannico-irlandese. Nel cast la coppia di attori Colin Farrell (The Batman) e Brendan Gleeson (la saga di Harry Potter), che aveva già diretto in In Bruges nel 2008. Dramma grottesco con venature di commedia presentato al Festival di Venezia, candidato a 9 premi Oscar e vincitore di 3 Golden Globe, è la storia di un’amicizia infranta, che vive perfettamente anche solo nella dimensione denotativa. In realtà il lungometraggio è però anche e soprattutto una metafora il cui profondo significato si nasconde tra numerosi simboli. (…) Siamo nel 1923, sull’immaginaria isola di Inisherin (nome che significa «isola irlandese»), un minuscolo pezzo di terra al largo della costa occidentale dell’Irlanda. Il mansueto allevatore Pádraic Súilleabháin (Colin Farrell) rimane sconvolto quando scopre che il suo migliore amico, l’inquieto Colm Doherty (Brendan Gleeson), ha deciso, di punto in bianco, di non volerne più sapere di lui. Pádraic, confuso e devastato, tenta goffamente di ricucire un rapporto intorno al quale gira praticamente tutta la sua vita, ma Colm è irremovibile. L’uomo dichiara granitico – ma poco convinto – che il suo antico sodale non gli ha fatto nulla di male ma non gli piace più, al punto da volerlo completamente tagliar fuori dalla propria vita. Aggiunge anche che per lui è arrivato il momento di dedicare la propria esistenza a un fine nobile: comporre musica che gli sopravviva e lasci un segno nella storia. (…)  La costruzione dell’architettura narrativa de Gli Spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin) dimostra tutta la sua grandezza drammaturgica di McDonagh nello scrivere storie in cui il grottesco è destinato a diventare tragedia; una tragedia in cui sopravvive sempre una sorta di non-sense delle azioni e delle intenzioni. Qui, ancora di più, siamo nei dintorni del teatro di Samuel Beckett e non a caso la storia de Gli Spiriti dell’Isola nasce un ventennio fa, come terzo episodio di una serie di spettacoli teatrali di McDonagh (…) Opere che riprendevano l’immaginario e i topoi narrativi del folklore irlandese, una delle più grandi ossessioni del regista. Il film arriva dunque da quel primo McDonagh, da un autore teatrale che ancora non aveva conosciuto il cinema (avrebbe debuttato sul grande schermo solo nel 2008) e il cui approccio letterario-centrico sopravvive anche nella celluloide; non solo nella caratterizzazione dei personaggi, tutti straordinari, ma in ogni dettaglio strutturale di quello che vediamo.

I greci definivano quattro tipi di amore che una persona può provare per un’altra. Quello tra amanti, Eros, quello che i genitori provano per i propri figli, Storge, lo slancio affettivo nobile e incondizionato, Agape, e infine il tipo di amore che unisce gli amici, Philia. Apparentemente, il nuovo film di Martin McDonagh, esplora quest’ultima forma relazionale, assumendo le sembianze di una vera e propria ‘tragedia sull’amicizia’, contaminata con le tipiche venature pirandelliane con cui l’autore londinese ci ha abituato negli anni.

Ma è, appunto, solo un’apparenza, perché a vederlo bene è molto di più di un dramma esistenziale sull’intimità spezzata. Piuttosto, è un manifesto universale sugli archetipi umani, una dolorosissima ballata sulla finitezza della vita, sulla noia e sulla genesi del conflitto. Una riflessione su come quell’idea di amicizia possa espandere il proprio respiro fino a legare interi popoli nel mutuo legame che li cementa – o su come eventi irragionevoli possano minarla irreparabilmente (…) mette in scena le sofferenze legate a un’amicizia infranta per raccontare altro, e cioè la guerra. Una guerra vicinissima, sulla costa appena al di là di un brevissimo tratto di mare, eppure remota, intuibile solo nei resoconti epistolari o dalle esplosioni che ogni tanto si intravedono in lontananza sulla terraferma. Il conflitto che fa da sfondo alle vicende del limbo di Inisherin è la prima guerra civile irlandese, scoppiata tra chi aveva sostenuto il trattato dello Stato Libero d’Irlanda sotto il controllo della Gran Bretagna e chi invece riteneva che l’Irlanda potesse essere libera solo se si fosse sottratta per intero dal dominio britannico.

Uomini che avevano combattuto dalla stessa parte ora si stavano combattendo l’un l’altro, uccidendosi senza troppi convenevoli. Una vicenda che ci porta indietro esattamente di 100 anni, messa nero su bianco da McDonagh un ventennio fa, adattata a film a partire dal febbraio 2020, e che però gode tristemente di una straordinaria attualità. Tutte le metafore e i simboli del film potrebbero infatti adattarsi perfettamente a un conflitto successivo all’inizio della produzione della pellicola e nato – per ragioni molto diverse – dall’invasione russa dell’Ucraina. Uno scenario bellico che, come in molte altre guerre passate, vede costretti a darsi battaglia su fronti contrapposti popoli legati da un vincolo fraterno. È anche questa la potenza universale del grande cinema, risultare sempre attuale.”

Da anonima cinefili.it

 

“Se è da molto tempo che soffrite come me per i film incredibilmente banali e privi di originalità proposti ultimamente, Gli spiriti dell’isola è quello che fa per voi. Questo nuovo film scritto e diretto da Martin McDonagh riporta insieme Brendan Gleeson e Colin Farrell, protagonisti di In Bruges, l’amato film di McDonagh del 2008. E il risultato è cupamente esilarante, tragico, scioccante, avvincente, commovente e tutti gli altri aggettivi positivi che potreste desiderare.

Questo racconto, unico nel suo genere, parla della minuscola comunità rurale irlandese che vive sulla remota (e fittizia) isola di Inisherin. L’isola riesce perlopiù a ignorare la guerra civile che, negli anni venti, infuria sulla terraferma, se si escludono i suoni delle esplosioni lontane. Ma a scoppiare è una guerra civile personale, quando due vecchi amici si allontanano improvvisamente. Un giorno Colm Doherty (Brendan Gleeson) dice impassibile a Pádraic Súilleabháin (Colin Farrell): “Non mi piaci più, tutto qui”. I disperati tentativi di Pádraic di riconquistare l’amico e la brutale tattica di Colm di porre fine all’amicizia creano reazioni sempre più devastanti nella comunità. A quanto pare il problema, secondo Colm, è che Pádraic è limitato e “ottuso”. Colm, volendo dare un senso alla sua vita, ha cominciato a comporre musica, sperando di lasciare una qualche eredità duratura, per quanto piccola, invece di passare le sue giornate seduto al pub con Pádraic, ascoltandolo chiacchierare. (…) Tormentato dall’allontanamento di Colm, Pádraic comincia a soffrire intensamente all’idea di essere davvero, forse, una persona “insulsa”. Di sicuro però non è la “più insulsa” dell’isola: quella è infatti Dominic Kearney (Barry Keoghan), un giovane con disturbi mentali, ossessionato dalle donne e che vive con il padre poliziotto, un uomo spregevole e violento (Gary Lydon). Dominic diventa l’unico amico di Pádraic, dopo che Colm lo ha abbandonato, e cerca di offrire consigli utili. (…) Ma bisogna fare i conti anche con le banshee [creature leggendarie della mitologia scozzese e irlandese, cui fa riferimento il titolo originale,The banshees of Inisherin]. Colm dice che, al giorno d’oggi, le banshee non gridano più nella notte, come creature soprannaturali che annunciano la morte. Vivono semplicemente tra la gente comune, subdole e morbose, osservando le cose terribili che accadono, e sorridendone.

Che gruppo di attori fantastico! Ci tengo a dire che Gleeson è magnifico come sempre, e così imponente fisicamente che quando mette al tappeto lo sgradevole padre di Dominic, un uomo molto più giovane di lui, non si dubita per un momento che possa farlo davvero. Dimostra poi le sue grandi doti musicali, suonando personalmente il violino, senza controfigura (è un film pacato nel complesso, ma la colonna sonora di Carter Burwell è comunque molto importante dal punto di vista tematico e tonale).

Farrell continua a migliorare con l’età e le sue sopracciglia nere sono ormai così arcuate da apparire esagerate come quelle di una maschera da “tragedia” classica, amplificando ogni espressione, rendendolo più triste o più divertente, a seconda del momento. (…)

In poche parole, è un film fantastico. Andate a vederlo!

Da Internazionale.it (Traduzione di Federico Ferrone; articolo è sulla rivista USA Jacobin)

 

“Irlanda, 1923. I migliori amici Pádraic e Colm s'incontrano da una vita alle due del pomeriggio per qualche pinta al pub e le solite chiacchiere. Un giorno, però, Colm non apre la porta di casa all'amico, e in seguito, costretto a fornire una spiegazione, afferma di averne abbastanza di lui e di non voler spendere un minuto di più in sua compagnia. Devastato e incapace di accettare la cosa, Pa'draic cerca l'aiuto della sorella e poi del parroco perché parlino con Colm, ma quest'ultimo non solo non ritratta, ma minaccia il peggio se Pa'draic non lo lascerà in pace. Mentre sul continente infuria la guerra civile, sull'immaginaria isola di Inisherin, che si è sempre considerata al riparo dal conflitto, l'allontanamento di due amici fraterni innesca ugualmente una serie di conseguenze e un'escalation di atrocità.

Martin McDonagh riunisce la coppia protagonista del suo film d'esordio (In Bruges) e la blocca in un avamposto rurale e isolato, al largo della costa occidentale dell'Irlanda (le location reali sono le isole di Inishmore e Achill), insieme ad una manciata di pochi altri abitanti incattiviti dalla solitudine, suggestionati dalle leggende, terrorizzati da una vita che spesso si traduce in quotidiana attesa della morte.

Con la stessa penna appuntita e lo stesso nero umorismo che aveva provato di saper maneggiare in Tre Manifesti a Ebbing, Missouri, il regista britannico scrive una parabola sul dialogo tra sordi nella quale commedia e tragedia si rincorrono e sovrappongono, in un microcosmo che è specchio ed effetto della storia d'Irlanda.

Chi sragiona di più, fra questi sentieri erbosi controllati da una statua della Madonna e da una vecchia con la pipa, dove i giovani sono contrari alla guerra e al sapone, non ci sono donne né cultura, e la solitudine è così imperante che persino gli animali tentano di entrare in casa in cerca di compagnia? È più ottuso Pádraic, che si comporta come un fidanzato scaricato, geloso e ferito, o Colm Sonny Larry, che teme di non aver più molto tempo da sprecare e si sveglia un giorno pieno di velleità artistiche e stufo delle chiacchiere inutili, fossero anche quelle del suo unico amico? Quel che è certo è che entrambi tengono radicalmente fede alla parola data, anche quando questa parola è maledettamente stupida.

Colin Farrell e Brendan Gleeson, ribaltamenti antieroici di Michael Collins e Eamon de Valera, sono gli strepitosi protagonisti di questa riflessione sui compromessi dell'amicizia e le diaboliche tentazioni dell'individualismo, annegata nello humour e investita di fascino e di libertà dall'ambientazione e dalla scelta dell'epoca. Una barca a vela di legno, che i venti del talento e gli spiriti dell'ispirazione fanno volare veloce e leggera dentro la tempesta.

Da mymovies.it

 

“Un’isola irlandese in mezzo all’Oceano. Non c’è luce elettrica né mezzi di trasporto che non siano carri trainati da animali. Un uomo cammina lungo un sentiero per andare a prendere un amico e scendere al pub del paese per una birra. L’amico non gli risponde, non vuole più vederlo. L’uomo rimane perplesso, non se ne fa una ragione. Insiste per vedere l’altro, che invece è concentrato nella sua musica. Colm (Brendan Gleeson) sta infatti finendo di comporre una canzone con il suo violino e dice di non aver tempo da perdere per amici che lui definisce noiosi come Patraic (Colin Farrell). È il 1923 e dall’altra parte della costa c’è una guerra civile di cui gli abitanti dell’isola sembrano interessarsi poco. Qualche lampo in lontananza. Qualche colpo di cannone. Ma se una guerra “fratricida” iniziasse anche in quell’isola? Così per un nonnulla? (…) All’inizio sembra una commedia dell’assurdo in costume scritta da Beckett: due uomini un tempo amici litigano senza un motivo preciso e la situazione via via degenera fino a sposare linee sanguinolente, quasi horror. Poi il ritmo diventa tragico, quasi ineluttabile, come quello di una ballata irlandese. (…) Gli spiriti dell’isola è comunque un film meno sensazionalistico rispetto al precedente Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Forse la sua opera più personale, sicuramente la più “irlandese e politica”, quasi una sorta di prologo shakespeariano al recente Belfast di Kenneth Branagh. Stavolta il cinema “di scrittura” di McDonagh, ossessionato dal portare lo spettatore a forza dalla “sua” parte, riesce a “respirare” più del solito, tirandosi dietro un alone di maledizione e mistero – di fatto il paesaggio arriva ad avvolgere in modo stregonesco la solitudine di Padraic e Colm e la graduale escalation di non sense e violenza che li coinvolge. Gli spirito dell’isola è allora per certi versi un film gotico, un Cime tempestose al maschile con venature grandguignolesche e ovviamente omoerotico.

Carlo Valeri, da sentieri selvaggi

 

“All’inizio, questa insolita commedia sembra una divertente variazione in costume dell’inesplicabilità delle azioni umane (Colm decide di punto in bianco di non parlare più con Pádraic) per precipitare poi in una faida sempre più violenta e sanguinaria.

Impossibile allora non pensare alla lotta fratricida di cui si sente l’eco lontana arrivare dalla terra ferma (siamo nel 1923, nella fantasiosa isola di Inisherin) e che sembra non voler smettere mai di dilaniare l’Irlanda, da cui solo la morte o la scelta di andarsene sono dolorose vie di fuga. All’inizio ci diverte raccontando i variopinti abitanti del villaggio che fanno da coro alla surreale disputa tra i due amici, per poi immergersi in quel misto di follia, testardaggine e mistero che sa restituire lo spirito di un’Irlanda che non vuole tradire le sue radici ma da cui anche si sente soffocare.

Per chi vuole scavare nell’insensatezza umana.

Paolo Mereghetti, da Io donna

 

“Non fatevi trarre in inganno dal titolo originale: The Banshees of Inisherin di Martin McDonagh non è un horror. Non ci sono fantasmi di signore urlanti che si presentano fuori dalla porta per trascinare con sé nella tomba i propri congiunti; ma se mai solo signore inquietanti che ti sorridono malevole da lontano e ti chiamano con un cenno. Sono queste le nuove banshees spiega all’altro uno dei due protagonisti, il musicista e violinista Colm, che ha intitolato la sua nuova canzone proprio The Banshees of Inisherin perché gli piace il suono delle s che si susseguono. E glielo spiega proprio quando, dopo anni di fedele amicizia, ha deciso di non parlargli mai più, perché non ha più tempo da sprecare in discorsi inutili con il mite, frastornato Padraic, noiosissimo anche secondo sua sorella. Bastano la noia e una certa semplicità di spirito per troncare improvvisamente un’amicizia? Secondo Colm (che sotto sotto ne soffre quanto Padraic) sì, sono più che sufficienti. E l’ostinazione della controparte può portare anche a gesti estremi ed estremamente incisivi, folli nella loro apparente esagerazione.

Ma qui, immersi nel verde e nell’azzurro dell’isola irlandese (inesistente) di Inisherin, una certa follia surreale fa parte dello spirito del luogo, qui hanno tutti un umorismo aspro e indurito che trasforma anche un poliziotto disgustoso e un sacerdote sbrigativo in personaggi da ballata fordiana. Qui l’asinella Jenny può comportarsi come un cane da compagnia e un cane da compagnia avere intuizioni e comportamenti del tutto umani. Qui la banshee locale ti deride invece di minacciarti e tutti sono pronti ad accettare le rispettive stranezze. Tranne Padraic, che non si dà pace. (…) Non per niente Samuel Beckett è dublinese e certamente uno dei referenti più forti del lavoro teatrale di McDonagh (vincitore di tre Laurence Olivier Awards), che anche in film come In Bruges e Tre manifesti a Ebbing, Missouri si è dimostrato abilissimo tessitore di trame e dialoghi impastati nell’assurdo. E in questo film tutto si è rarefatto, tutto è guidato dalle bizze, i capricci, gli interrogativi senza risposta dei due protagonisti, l’uno cocciutamente attaccato ai giorni felici che non ritornano, e l’altro deciso a giocarsi un finale di partita alla sua maniera solitaria. Colin Farrell (il noioso Padraic) ha probabilmente la parte migliore della sua carriera, dimentico di fascino e bella presenza, prima stupefatto, poi sempre più incredulo, indeciso, maldestro e infine vendicativo. E Brendan Gleason (Colm) è un gigante dai capelli rossi e dalla faccia tormentata, quello che ha capito tutto, che attiva e maneggia l’incomprensibilità della vita, della morte, dell’affetto, dell’ostilità, dell’abitudine, degli improvvisi cambi di passo. Si ride con The Banshees of Inisherin (uno dei film migliori del Festival di Venezia 2022), commedia grottesca nerissima che non risparmia nessuno, nessun popolo, nessuna faida nazionale, nessun gruppo etnico e umano. Siamo tutti qua, stretti nell’assurdo e nella solitudine, davanti alla banshee che ridacchia, davanti a conti non fatti, davanti all’imprevedibilità delle scelte altrui e nostre.

Emanuela Martini da cinematografo.it

 

“La pregnanza del titolo italiano del film Gli spiriti dell’isola (titolo originale The Banshees of Inisherin), da poco uscito nelle sale italiane e il quale si avvale di nove nomination ai prossimi Oscar, la si può concepire solo alla fine della visione dell’opera di Martin McDonagh che ritorna sul grande schermo dopo la consacrazione di cinque anni fa con Tre Manifesti a Ebbing, Missouri nel quale svetta la superba interpretazione di Frances McDormand.

Inisherin è un’isola immaginaria, rupestre e selvaggia, al largo delle coste irlandesi. Nella realtà il film è stato girato ad Achill Island e ad Inishmore, la maggiore delle Isole Aran, due isole con le medesime suddette caratteristiche che si affacciano come dei bubboni sinistri e solitari al largo della costa occidentale d’Irlanda. Questa evoca, come suggerisce il titolo originale del film, rituali magici, esoterismi e leggende, in una terra variamente popolata di leprecauni, folletti, divinità e creature fiabesche quali appunto le banshees, figure del folklore irlandese che non si mostrano mai agli esseri umani ad eccezione dei familiari di coloro che sono prossimi alla morte, recandone il tragico presagio. Nel film di McDonagh ve ne è una, un vero e proprio angelo della morte; infatti l’anziana donna che in mantello e cappa nera fa le sue sporadiche apparizioni è l’annunciatrice di luttuosi eventi.

Tuttavia, dopo le quasi due ore di visione ci si accorge che gli spiriti dell’isola sono in realtà i personaggi tramite i quali la storia si dipana. Anime e creature umane e non solo, in quanto anche gli animali in modo grottesco umanizzati nell’ambientazione hanno una parte rilevante, che dal loro isolamento, si parla di isole di una terra (l’Irlanda) che di per sé è isola, ci parlano della propria condizione, una solitudine più esistenziale che geografica e alla ricerca di un contatto con i propri simili, di “gentilezza” il cui bisogno è rivendicato da Pádraic (Colin Farrell), di riconoscimento, come sognato da Colm (Brendan Gleeson), l’ex amico di Pádraic, il quale intende dedicarsi completamente alla composizione di brani musicali grazie al suo violino che strimpella nel pub del villaggio, al fine di essere ricordato nei tempi come il citato Mozart, come Dominic (Barry Keoghan), il figlio del poliziotto del villaggio, additato come lo scemo del villaggio, in realtà un ragazzo sensibile, il quale subisce abusi da parte del padre (Gary Lydon), e semplicemente alla ricerca di amore; la sua dichiarazione alla sorella di Pádraic, Siobahn (Kerry Condon), la quale inevitabilmente lo rifiuterà vista la differenza di età segna idealmente lo smacco esistenziale e comunicativo che pervade tutto il film e del quale lo stesso Dominic sarà la prima vittima.(…) Su tutto il grande, brullo, glabro e quasi lunare paesaggio irlandese e l’immenso mare costantemente sullo sfondo, con le grandi onde che si infrangono sulle selvagge scogliere e delle quali il montaggio sonoro attutisce scientemente il rumore quasi a voler focalizzare l’attenzione sulla commedia e il dramma degli uomini. Il paesaggio li contiene, li osserva e chissà se li commiseri. Gli spiriti dell’isola è un dramma dell’isolamento, dell’assurdo e della ricerca di sprazzi di umanità e calore in un’umanità che assurdamente sembra averla perduta. In lontananza, dalla terraferma di Irlanda si odono gli spari dell’ultima fase della guerra civile tra i sostenitori e gli oppositori al trattato anglo-irlandese del 1921 che sancisce la nascita dello Stato Libero d’Irlanda, al netto della divisione delle sei contee dell’Ulster (siamo nel 1923), una guerra fratricida della quale si sentono solo gli echi e della quale non si conoscono i motivi, proprio come nel caso della rottura dell’amicizia tra Pádraic e Colm; emblematica è in tal senso la frase del poliziotto il quale si deve recare sulla terraferma per prendere parte dietro compenso a un’esecuzione a seguito delle lotte tra i sostenitori dello Stato Libero e membri dell’IRA: confessa di non sapere chi debba uccidere aggiungendo che non si capisce chi lotti contro chi e che era meglio quando si sapeva che si doveva sparare agli inglesi. Il film diventa così anche una grande metafora della divisione fratricida che segna l’Irlanda dall’epoca della guerra civile.”

Simone Bachechi, da Minima&moralia

 

 

 

 

 

 

 

 

Giulio Martini

(domenica pomeriggio)

Un titolo italiano neutro fa perdere la forte immersione nel mondo pagano della celtica Irlanda, nelle sue paure oceaniche e nei suoi buchi neri metafisici. Perché è proprio la terra più religiosa d'Europa diventata la patria dell'Assurdo più cupo - non solo in Letteratura - a far da sfondo e a dar origine ad

un j altro racconto sulla mancanza di ogni Senso, sul moltiplicarsi quotidiano dei Perché senza risposte, sui ripetuti Interrogativi privi di riscontri, ma densi di attese sempre angosciosamente disattese.

Continuando nella sua proposta di errori senza movente, di sfibranti accuse infondate ma con tragiche conseguenze, di relazioni intensamente traumatiche - già viste nei film precedenti

-  McDonagh va ora alla radicale ricerca delle misteriose ragioni dei conflitti viscerali anche tra fratelli) che intorbidano la sua terra e l'essere stesso degli uomini.

Ma non ne trova di plausibili

dato che l'esistenza non è logica, ma "stregata" e vanificata dai continui presagi di morte. E dunque insistere ad investigare sul Significato ultimo delle emozioni e dei gesti quotidiani dà solo risultati incongrui e stridenti.

La vita è come aver a disposizione uno strumento musicale che potrebbe donare eterne armonie, ma che poi nei fatti - sfiduciati o depressi dalla nostra pochezza e/o dall'altrui stupidità - impediamo a noi e agli altri di maneggiare perché suoni anche solo per un attimo

 

 

Angelo Sabbadini

(lunedì sera)

Martin McDonagh è tornato! Il Bazin ne ha intuito per tempo il talento fatto di irriverente cinismo e di caustico umorismo. Questa volta con‘The Banshees of Inisherin’, tradotto malamente dai nostri distributori in “Gli spiriti dell’isola”, ci racconta una favola nerissima su una amicizia negata che diventa un conflitto insanabile. E ancora una volta il regista irlandese mette a frutto il suo superpotere: quello di continuare ad accumulare strazio e solitudine e di riuscire comunque a proporci qualcosa di caloroso e toccante e pure dannatamente divertente. Un vero miracolo di un commediografo di razza che cesella dialoghi di assoluto non sense sotto lo sguardo protettivo del conterraneo Samuel Beckett. Bene ha fatto lo stabile di Torino a tradurre le sue opere teatrali e bene ha fatto il Bazin a inserirlo stabilmente nella sua programmazione cinematografica.

 

Giorgio Brambilla

(mercoledì sera)

Martin McDonagh ci propone un film che tratta in modo ironico un tema tragico. Come la Banshee di Inisherin(titolo originale) sono diventate più sornione e non strepitano ma si limitano a sorridere malignamente della sofferenza degli uomini, altrettanto il regista ci mostra una situazione tragica condendola con un’abbondante dose di ironia. D’altronde si sa che il comico si basa sull’inadeguatezza degli uomini ridicoli e questa, se solo si cambia il modo di guardarla, in sé è qualcosa di niente affatto innocuo. Con questo stile che lo contraddistingue ci racconta il precipitare di una relazione tra amici fino all’automutilazione dell’uno e al tentativo di omicidio dell’altro. La cosa più notevole è che i due si vogliono ancora bene ma, una volta presa una certa china, non riescono più a fermarsi e ragionare davvero lucidamente. Ecco che la storia di due individui diventa metafora della storia di una nazione, l’Irlanda, che a sua volta lo diventa dell’esistenza umana. Ecco perché un racconto al limite della surrealtà ci colpisce così a fondo e ci dà l’impressione di vedere qualcosa di così insensato, eppure così realistico

 

 

 

 

 

Guglielmina Morelli

(venerdrdì sera)

Comunque lo si consideri, questo Spiriti dell’isola solleva troppe domande per questo modesto spazio di riflessione. Perché i due protagonisti si comportano così? Perché Colm non vuol più avere a che fare con Pàdraic? Che ruolo ha nella vicenda lo “scemo del villaggio” Dominic? Cosa rappresenta Siobhan (nome legato al tema della misericordia divina o, secondo altra etimologia, alla magia) che abbandona un luogo dove la vendetta e la violenza sembra non abbiano fine? È lei la “Banshee” (la creatura mitica cui allude il titolo) poiché la sua partenza annuncia, nei fatti, la distruzione fisica e psicologica degli abitanti dell’isola e provoca inconsapevolmente la morte di Dominic oppure la Banshee è la vecchia McCormick, forse troppo simile alla morte del Settimo sigillo? Nel finale Colm è morto nell’incendio e Pàdraic vede il suo fantasma oppure si è salvato e con la sua presenza continuerà a suscitare le dissennate ripicche di Pàdraic? Il film ha una lettura storica alludendo alla guerra fratricida irlandese (molti ne parlano ma dall’isola si odono solo colpi di cannone), insensata e autolesionistica, che uccide le creature innocenti (Dominic e l’asinella), oppure è una indagine sulla complessità dei rapporti umani e sulla inevitabile “disperazione” dell’uomo per il suo destino di morte ed oblio, cui vanamente Colm vorrebbe opporsi? E che dire degli uomini di potere, il prete e il poliziotto? Basta così: è però un film coinvolgente, emozionante, angosciante, dalla sceneggiatura e dai tempi scenici perfetti e se non fosse che è morto da tempo potrebbe essere un western girato l’irlandese John Ford (l’amicizia virile, gli animali, il saloon, la noia prima della violenza). Attori splendidi: Colin Farrell da quando ha lavorato con Lanthimos è diventato perfetto per questo tipo di film: distopico, grottesco, puntellato di humor nero e beffe al pubblico (la ballata iniziale è una canzone popolare bulgara, altro che Irlanda); interpreta alla perfezione il “dull”, un noioso, ottuso, scialbo, monotono ometto.

 

 

 

Carlo Caspani

(Jolly)

Ingannevole, cupo, insanguinato, disperante, formalmente bellissimo. Nel finale di stagione i baziniani si troveranno forse afflitti e spaesati nell'affrontare il film più cripitico della stagione, MA, premesso che:

1. Martin McDonagh, prima che regista cinematografico è autore e drammaturgo di alcune delle opere teatrali di lingua inglese più profonde e coraggiose di questi anni

2. Suoi padri spirituali sono David Mamet, Harold Pinter ma soprattutto Samuel Bechett. McDonagh sta al teatro come Tarantino sta al cinema

3..The Banshees of Inisherin è la terza opera, mai compiuta da un punto di vista teatrale, di una trilogia dedicata alle isole irlandesi; è anche il titolo del pezzo per violino che il coprotagonista Colm compone nel film. E le banshees sono spiriti femminili legati a una famiglia che piangono e si disperano in prossimità della morte di un membro di essa

Tutto ciò premesso, 

McDonagh (In Bruges, 3 Manifesti a Ebbing Missouri) realizzza un'opera filologicamente prerfetta, ambientata in un'isoletta inventata, recitata in perfetto anglo gaelico (chi può veda la versione originale) dove l'automutilazione di Colm il violinista per autopunirsi della mediocrità dell'amico Pàdraic è scelta comunque perdente, come lo è il cercare di fermare il tempo, cambiare lo scorrere della storia, opporsi al vizioso esistere del potere (il poliziotto pervertito, suo figlio Dominic, vittima sacrificale predestinata). Potete provare a fuggire di là dal mare, anche se laggiù si combatte contro non si sa chi e perché (è guerra civile irlandese, IRA contro indipendentisti). Ma dovete vestirvi in modo colorato ed essere una donna CHE LEGGE come Siobhan. Altrimenti la condanna è lanciare per provocazione le vostre dita mozze, la sola falsa consolazione il vostro cane e la vostra asinella, il tutto nel santo nome del Teatro e della Tragedia, dai Greci a Beckett.

Grazie a Emanuela Martini e a Giulio Sangiorgio che coi loro saggi su Cineforum - nuova serie n. 9 hanno annaffiato la terra asciutta del mio cervello.