da domenica 12 a venerdì 17 febbraio 2023
MARX PUO' ASPETTARE
REGIA DI MARCO BELLOCCHIO

LA CRITICA
“Come se ogni volta, attraverso il cinema, oltre che ragionare in maniera approfondita e complessa sulla storia e le derive del nostro paese, sul conformismo borghese e/o sulle storture del potere, cercasse con disperata lucidità di instaurare un dialogo con lo spettatore/confessore infilando elementi più intimi, privati, magari auspicando risposte a questioni impossibili da risolvere.
Quello che accade stavolta, con Marx può aspettare, non è altro che la plateale conferma di questo ragionamento, già a partire dal titolo: citando se stesso con la frase pronunciata da Lou Castel in Gli occhi, la bocca, che a sua volta citava una frase riferita da Camillo al fratello quando, poco prima di togliersi la vita, rispondeva così all’allora talento emergente del cinema italiano (neanche 30enne, già premiato a Locarno per I pugni in tasca e a Venezia per La Cina è vicina) che per spronarlo lo invitava ad impegnarsi nella lotta rivoluzionaria, a mettersi a servizio del popolo. “Marx può aspettare, mi disse, come a voler intendere che prima avrebbe dovuto affrontare altri problemi”. Risolvere questioni che lo stavano dilaniando. Ma che nessuno, tra la madre e i fratelli, avevano intuito esistessero. Che quel dolore fosse così profondo.
È questa l’indagine personale e familiare che Bellocchio porta avanti e che restituisce senza pudori sullo schermo, a tu per tu con i suoi anziani fratelli (Piergiorgio, l’intellettuale, Alberto, il sindacalista, e le sorelle Maria Luisa e Letizia, quest’ultima sordomuta dalla nascita ma comunque in grado di sapersi esprimere, seppur con difficoltà): un memoriale che coinvolge anche i figli del regista, l’attore Pier Giorgio e la più giovane Elena, un botta e risposta tra i ricordi, a volte fumosi e insicuri, di parole e immagini (…). Un film di fantasmi e presenze, la materia di cui è fatto il cinema, per ritornare ad un momento tragico e cercare di cogliere eventuali responsabilità lì per lì neanche ipotizzate.
Un film a sua volta difficile da catalogare, da inscrivere in un filone, psico-autobiopic capace anche di slanci di tenera leggerezza che solamente un maestro come Marco Bellocchio (82 anni a novembre) sarebbe stato in grado di concepire, plasmare, restituire con questa profonda vitalità, senza cedere alle lusinghe di pietismi nostalgici o sentimentalismi a buon mercato. Un film-testamento, per certi versi lacerante, realizzato da un regista che però è già proiettato sul suo prossimo lavoro.”
Valerio Sammarco da cinematografo.it
Giulio Martini
(domenica pomeriggio)
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Spericolata e singolare psicanalisi di gruppo su sfondo marxista - piacentino, a discolpa di tutta la famiglia Bellocchio (ateo- religiosissimo-borghese ) per il suicidio del gemello del regista.
Confessione e ricostruzione autoassolutoria da un gravame insostenibile, mai metabolizzato nei precedenti film furiosi e simbolicamente autobiografici, e qui esposto invece in un vivido ed inusuale rito purificatorio pubblico grazie allo schermo ma senza peccati, senza rimorsi di sorta, senza penitenze, solo senili disilluse malinconie.
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Angelo Sabbadini
(lunedì sera)
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Solo dalla famiglia Bellocchio poteva nascere un’impresa cinematografica così efficace e inusuale. Perché, è bene dirlo, Marx può aspettare non è un documentario è vero e proprio cinema. A cominciare dai protagonisti che col cinema e la comunicazione filtrano da sempre. Letizia e Maria Luisa sono state le protagoniste di Sorelle mai, Piergiorgio è stato un intellettuale di rilievo e grande comunicatore, Pier Giorgio è attore collaudato, Antonio è un sindacalista riconosciuto per la sua verve dialettica. Di Marco è inutile ricordare il talento, qui ha il pregio di riunire la famiglia intorno a una drammatica autodenuncia. E con una seduta cinematografica di grande lucidità e di trattenuta commozione, mette in scena la tragedia del gemello Camillo. Alla fine il laico Marco Bellocchio viene assolto da Padre Virgilio Fantuzzi, storica firma della Civiltà Cattolica. Film bello, commovente e ironico
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Carlo Caspani
(mercoledì sera)
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Un docufilm ( mai una simile etichetta sta più stretta all' opera e al regista) in cui l'ultraottantenne Marco Bellocchio fa finalmente i conti con la ferita profonda della sua vita: il suicidio del fratelllo Camillo, il giorno dopo Natale del 1968. Li fa a modo suo, coinvolgendo tutta la famiglia, raccogliendo materiali e interviste nell'arco di quattro, cinque anni, lasciando sedimentare sentimenti, ricordi, punti di vista fino a giungere al cuore del problema: chiedere un perdono postumo, un'assoluzione invocata non a voce ma per immagini, con lucida freddezza, senza cedimenti né pietismi. Il cinefilo bellocchiaano troverà, in scene e situazioni del suo cinema, una fila ininterrotta di rimandi con la biografia dell'autore. Per tutto il pubblico, un'esperienza che tocca nel profondo e commuove: ne fanno fede partecipazione e commenti in sede di dibattito
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Giorgio Brambilla
(venerdì sera)
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Marco Bellocchio ci invita a una festa di famiglia, che diventa però il pretesto per rivocare il suicidio del fratello gemello. Ci rende così partecipi di una personalissima tragedia, presentandoci letteralmente i suoi e svelandoceli nelle proprie grandezze e miserie. Contemporaneamente ci porta dietro le quinte di alcuni suoi film, e rintraccia l’origine di alcuni personaggi, storie, ossessioni proprio nella storia e nei traumi della sua famiglia. Insomma ci ammette, per così dire, nella cerchia dei suoi intimi e ci svela alcuni segreti del suo mondo creativo, senza cedere a sentimentalismo, narcisismo o tentativi di ridimensionare le proprie debolezze o quelle dei suoi cari. Il risultato è un’opera semplice e diretta, sorta di confessione pubblica che ci consegna pure un’ulteriore chiave di lettura della propria produzione artistica, di un’onestà e una profondità toccanti
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Guglielmina Morelli
(jolly)
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Tra le molte suggestioni che il documentario (ma è davvero tale?) offre piace limitarsi a tre brevi considerazioni: attraverso questo film, Bellocchio sembra riordinare e “spiegare” tutta la sua opera, indicando “per esteso” le ragioni di certe scelte formali e contenutistiche, ad esempio la necessaria cecità della madre ne I pugni in tasca o la scelta di Lou Castel come proprio attore feticcio o il fratello folle ne L’ora di religione (sul ponte di Bobbio, poi, viene quasi replicato il finale di Buongiorno notte); in secondo luogo Bellocchio rifa Pirandello (autore che, del resto, ha praticato con buona efficacia) nella costante impossibilità di stabilire un unico e univoco punto di vista non solo sul perché dei fatti narrati ma anche sul come quei fatti sono avvenuti (come è morto il padre? c’era una lettera d’addio di Camillo? come si è comportata la famiglia Bellocchio con la fidanzata di Camillo? ma era ancora la fidanzata o si erano lasciati? ed infine, ma è siamo sicuri che sia stato un suicidio? eccetera, eccetera). Frastornati da tante incongruenze, non sappiamo ricostruire gli avvenimenti, il suicidio di Camillo resta nella sostanza inspiegato e oscuro. Forse però l’aspetto più suggestivo è la sostanziale differenza delle riflessioni dei fratelli di Camillo ancora in vita: tre maschi e due femmine. I maschi, affermati professionalmente e intelligentissimi, sembrano sottolineare le debolezze di Camillo e le proprie manchevolezze nel riconoscerle ed accettarle (persino con qualche caduta di stile, sottolineata dallo sguardo fermo e perplesso dei figli di Bellocchio), sono le due sorelle (viene quasi da pensare che forse non erano né brillanti e né intelligenti perché donne) a ritagliarsi il compito di “custodi” della casa e della memoria. Anch’esse rivelano contraddizioni circa la ricostruzione dei fatti, ma si capisce che il loro esprimere perplessità circa il suicidio è frutto di una profonda pietas: lo testimonia la struggente e poco convenzionale dichiarazione religiosa di Letizia che, nel deserto di una famiglia anaffettiva, dice di voler andare in Paradiso non per vedere Dio ma per ritrovare i propri genitori e fratelli.
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