Titolo

Lunana

 

da domenica 4  a  venerdì 11 febbraio 2023

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LUNANA

REGIA DI PAWO CHOYNING DORI

LA CRITICA

“È entrato nella rosa dei candidati all’Oscar per il miglior film straniero (prima volta per il Bhutan!) sbaragliando titoli autorevoli come A Hero di Farhadi. Eppure, solo chi non avesse compreso la ratio delle recenti scelte dell’Academy può realmente dirsi sorpreso dell’exploit di un piccolo film del Buthan come Lunana (dal 31 marzo nelle nostre sale con Officine UBU). Il successo di Parasite, il forte endorsement per Minari (produzione americana, ma lo mettiamo nel mazzo per cóte e sensibilità), da ultimo le quattro candidature al giapponese Drive My Car testimoniano della popolarità al Kodak Theater della proposta asiatica. Un’attenzione incoraggiata dell’accresciuto peso delle minoranze in seno all’organizzazione assegnataria degli Oscar e al contempo spia della crescente sfiducia verso l’attuale offerta valoriale dell’Occidente, investito da una crisi storico-politica preoccupante, che affonda le radici in un cedimento morale sotto gli occhi di molti.

Da questo punto di vista, la disponibilità di uno storytelling coinvolgente ma depurato dalla confusione del western man e dal cinismo fine a sé stesso, imperniato su una fusione di antica saggezza e moderna sensibilità, si è rivelata l’uovo di colombo per élite in cerca di retoriche credibili e più solide impalcature ideali. Se non fosse anche un film a suo modo sincero e fatto grazie agli autoctoni (cast composto da locals non professionisti), Lunana sarebbe il prototipo del nuovo corso, anche per lo stile globalizzato, la confezione da esportazione. L’abile regia dell’esordiente Pawo Choyning Dorji squaderna alcuni dei principali temi in agenda senza però ridurre il respiro mitopoietico del racconto. La storia di un giovane insegnante indolente verso la propria missione educativa – un bambino, in una delle battute fulminanti del film, gli ricorda che “un insegnante tocca con mano il futuro” – e convinto di essere destinato a cose più grandi in una illusoria terra promessa (l’Australia), è documento (basato sulla vicenda personale dell’attore protagonista) e parabola universale, attraverso la quale il film lascia decantare i suoi tanti sottotesti.

La solidarietà tra le generazioni e tra i popoli (nella neve che cade meno che in passato, c’è il battito d’ali della farfalla del riscaldamento globale); l’ecologia integrale di chi si riconosce vita tra vita, parte di uno spirito universale che soffia dove vuole, negli uomini, negli animali, nelle montagne; l’amarezza verso i millennials che possono fare ma scelgono di sottrarsi, fuggendo le responsabilità.

Pawo Choyning Dorji non trasforma nulla in biasimo, preferendo semmai usare l’ironia (quando ad esempio uno dei pastori ricorda il paradosso di chi desidera lasciare il Buthan, la nazione della “più alta felicità interna lorda”) e mantenere vivo il timbro poetico, venandolo di nostalgia. Tra il Buthan e l’Australia non c’è di mezzo solo il mare ma un percorso di conoscenza: è la scuola più remota del mondo, nel villaggio di Lunana, che assume simbolicamente nel film l’ancipite valenza di un altrove spaziale e mitico: è lì, tra le vallate dell’Himalaya, nel posto più improbabile ed essenziale della terra (per la mancanza di comfort, certo, ma anche perché basta a sé stesso) che il maestro “dovrà apprendere” la lezione della vita, imparando come si possa davvero trovare l’alba dentro l’imbrunire.

E scegliere comunque l’anonima ribalta di un sole ingannatore.”

Gianluca Arnone da cinematografo.it

 

 

 

 

Marco Massara

(domenica pomeriggio)

 A volte la semplicità paga.

La leggibilità è la dote saliente di questo piccolo film di una piccolissima “potenza” cinematografica.

Narra di un innamoramento progressivo, seppur negato a parole, attraverso stati di lento ma costante avvicinamento.

Forse il finale è un po’  troppo “telefonato”  ma le buone intenzioni valgono un ‘verde’ pieno di incoraggiamento.

Per chi ha una memoria cinematografica più estesa consiglio il parallelo con “Local Hero”. (Bill Forsyth, 1983)

 

 

 

 

 

Angelo Sabbadini

(lunedì sera)

Dalla Sicilia barocca all’Himalaya più remoto; dal trionfo dell’artificio al grado zero della narrazione; dalla fantasmagoria dei costumi al rigore del gho, il costume nazionale del Buthan. Nel giro di sette giorni due approcci antitetici al cinema per la curiosità degli spettatori del Bazin. Questa settimana è la volta di Pawo Choyning Dorji e la narrazione corre via lineare tra gli hak in the classroom e la magia sospesa delle panoramiche himalaiane. Film dichiaratamente buddista e empatico, difetta di originalità e s’inserisce in un filone riconoscibile come ben sanno i distributori di Officine Ubu, vicini di casa del Bazin. Il sorriso più bello è quello della giovane Pem Zam che, come molti attori, interpreta se stessa e ci regala uno stralcio di mondo dimenticato e sospeso in un magico incanto.

 

Giulio Martini

(mercoledì sera)

racconto elementare,con emozioni basiche e costruzione narrativa al limite del didascalico,ma sincero ed umile,così da risultate radioso e genuinamente nostalgico nella rievocazione del mondo buddista alle sue vette emotive più alte e pure

 

Carlo Caspani

(venerdì sera)

Un film che ti prende di contropiede, e non solo perché viene dal lontano Buthan. Un racconto che parla di tante cose già note e viste (Il lavoro svogliato contro la voglia di andar via in cerca di fortuna, l'omologazione globale di strumenti, linguaggi, moda e musica...) e che, nell'isolamento di un paesino posto all'altezza del nostro Monte Bianco, ne rilancia altre ancor più importanti: senso del dovere, spirito di solidarietà, tradizione, inventiva, sacrificio... Se si riesce a vederlo "ad altezza di bambino", con gli occhi puliti e limpidi, è un film che tocca il cuore, e scusate se è poco      

Guglilmina Morelli

(Jolly)

Ogni film che giunge a noi da luoghi particolari e poco praticati è un evento importante, anche se il sospetto è che la produzione interna sia ben diversa da ciò che vediamo. Ma tant’è … meglio di niente. Lineare nella struttura (dall’iniziale rifiuto del luogo fuori dalla civiltà alla sua accettazione) e nei contenuti (personaggi semplici e una storia d’amore appena abbozzata, il buddismo come lo immagina un occidentale), un po’ ruffiano (i bambini protagonisti, un paesaggio fantasmagorico di monti, cieli e yak scolastici): ma nel complesso si lascia vedere, incantato e rasserenante.