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Il male non esiste

 

da domenica 30  a  venerdì 4 novembre 2022

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IL MALE NON ESISTE

REGIA DI R. MICHEL M.RASOULO

 

LA PAROLA AL REGISTA

 

Il regista non ha potuto ritirare l’Orso d’Oro perché, all’epoca, era agli arresti domiciliari in quanto i suoi film sono ritenuti da regime iraniano propaganda contro il governo. Qualche tempo dopo il regime decise di imprigionarlo e di impedirgli per due anni la produzione di film. "Sono davvero triste per quello che sta accadendo al popolo ucraino. L’Iran è  considerato un po’ una colonia russa e il governo del mio paese oggi appoggia il governo di Putin. Ma gli iraniani la pensano diversamente e provano grande empatia per gli ucraini”. A parlare è Mohammad Rasoulof che, in collegamento Zoom, ha presentato il suo nuovo film: Il male non esiste. Orso d’Oro come miglior film alla Berlinale 70. Non si parla direttamente di Ucraina, ma come sottolinea Rasoulof il tema è affrontato in modo indiretto: “In queste quattro storie parlo comunque di responsabilità individuale. Ci pongono di fronte a una domanda alla quale tutti dobbiamo rispondere: al posto loro cosa avresti fatto? E nel caso dei soldati russi ci si deve porre questa domanda: perché sono costretti ad obbedire e a partecipare a questa guerra sparando ad altri uomini?”

“Essere censurati è una cosa che conosco molto bene. La censura deforma la realtà ed è davvero doloroso sentire tante notizie false. È come una tenda che isola il popolo iraniano dal resto del mondo. In Iran la censura crea una realtà fittizia ed ha a che fare con la vita quotidiana di tutti i cittadini”.

E sulle censure degli artisti russi, non ultima l’esclusione della Russia dal Festival di Cannes e delle opere di autori russi dall’Efa (European Film Market), commenta: “Essere russo o iraniano non significa essere davvero uniti al regime che si trova in quel Paese. Una cosa è proibire un’opera che nasce come espressione del regime, altra cosa è impedire ad un artista di partecipare. In quest’ultimo caso il discorso è più complesso. Non è infatti detto che questo artista condivida le idee del suo Paese”.

 

LA CRITICA

 

“Heshmat, marito e padre esemplare, si alza molto presto ogni giorno. Dove va? Impossibile dirlo ai familiari. Pouya non vuole uccidere, ma deve farlo per obbligo di legge. Il giovane Javad non sa che proporre un anello di fidanzamento alla sua amata non sarà l’unica sorpresa per il suo compleanno. Bahram è un medico che non è in grado di praticare medicina e decide di spiegare alla nipote in visita il motivo della sua vita da emarginato.

Le quattro storie raccontate in Sheytan vojud nadarad offrono variazioni sui temi cruciali della forza morale e della pena di morte, ponendo la domanda centrale su fino a che punto la libertà individuale possa essere espressa sotto un regime dispotico e le sue minacce

 

 

Giulio Martini

(domenica pomeriggio)

 

Strepitosa operazione di "resistenza cinematografica" contro il feroce regime iraniano.

Semplicità e tensione, senso figurativo e spessore drammatico: il film è memorabile sia per il vigore della denuncia sia per la beffarda capacità di costruire qualcosa di bello tra mille difficoltà e mille divieti.

 

Angelo Sabbadini

(lunedì sera)

C’è un’anima partigiana nel film di Mohammad Rasoulof? Si canta “Bella ciao” e ci si interroga in modo accorato sui limiti e le possibilità cui è sottoposta la libertà individuale sotto un regime dispotico e spietato. Il tutto attraverso quattro storie, quattro drammatiche variazioni sul tema della forza morale e della capacità di opporsi alle logiche di morte di un sistema coercitivo. Bella la regia che lancia alla platea del Bazin in modo deflagrante una serie di quesiti etici a cui non è possibile sottrarsi.

 

 

 

 

Carlo Caspani

(mercoledì sera)

Orso d'Oro meritatissimo a Berlino 2020, distribuito in ritardo in queste stagioni cinematografiche scombinate dal Covid e non solo, il film di  Mohammad Rasoulof è la dimostrazione che il cinema più forte e morale viene da paesi che devono fare i conti con problemi veri di libertà e rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo. Quattro episodi indipendenti, uniti dalla comune tematica della pena di morte e di un regime che, in cerca di complicità, vorrebbe coinvolgere tutti rendendoli boia e aguzzini. Sono, soprattutto i primi due, veri cazzotti allo stomaco dello spettatore, con un linguaggio apparentemente semplice e didattico (ma provate voi a girare film di nascosto, in luoghi desertici, per schivare arresti e censure...) e un fortissimo contenuto morale. Uccidere perché comandati, per quieto vivere: voi cosa fareste? è la domanda che ci coinvolge in modo forte e diretto. Stile e linguaggio, comunque presenti, passano in secondo piano: questo è cinema partigiano, resistente, necessario

Giorgio Brambilla

(venerdì sera)

Hanna Arendt ne “La banalità del male” si chiedeva se il fatto di commettere un crimine per seguire gli ordini impartiti dallo stato assolva dallo stesso. La sua risposta era, com’è noto, negativa.

Mohammad Rasoulof costruisce un film intorno alla stessa domanda, presentando quattro possibili atteggiamenti di fronte alla richiesta di uccidere un essere umano, dalla piena integrazione alla consapevole scelta della marginalità. Il regista non assume uno sguardo manicheo sul problema, portando lo spettatore a decidere in autonomia sulla questione. Per lasciargli maggior libertà omette molte scene che sarebbero manipolatorie in quanto troppo dense di pathos, come ad es. quella della rivelazione del vero padre di Darya o il confronto finale nell’ultimo episodio.

La sua scelta è chiara, almeno per i problemi con lo Stato iraniano che i suoi film gli hanno causato, ma probabilmente capisce anche quanto sia duro stare accanto a un’”eroe”, tanto da affidare la parte di Darya proprio a sua figlia.

Il film è un vero e proprio appello alla responsabilità morale sotto una dittatura (per parafrasare il titolo di un’altra opera della Arendt), della quale ogni individuo è invitato a farsi pienamente carico, evitando il rischio peggiore, cioè quello di non comprendere più la tragica realtà è distruttività del male. Forse non un capolavoro, ma un’opera certamente di grande valore civile

 

 

Marco Massara

(jolly)

Cinema che non fa sconti: folgorante nel primo episodio, ansiogeno nel secondo, quasi razionale nel terzo dove i sentimenti vengono diventano protagonisti in chiaroscuro e aperto alla speranza nell’episodio conclusivo. Forse qualche lunghezza di troppo qua e là (ma non nel primo) e questo a causa dei ritmi edulcorati a cui purtroppo ci stanno abituando le varie fiction televisive. Ma questo si fa ben perdonare rispetto alla nobiltà del tema ed il rigore della messa in scena e, appunto, dal fatto di non concedere sconti allo spettatore.