Titolo

No Time to die (2)

 

da domenica 22 a sabato 28  maggio 2022

 

 

NO TIME TO DIE

REGIA DI C.J.FUKUNAGA

vai ai commenti degli animatori

vai ai commenti del pubblico

 

 

 

 

James Bond ha lasciato definitivamente i Servizi segreti, MI6, ora sotto la guida di Gareth Mallory. Anche la sua relazione con Madeleine Swann non riesce a reggere allo strascico di conseguenze generate dalla fine di Spectre, con l’arresto di Blofeld. Rifugiatosi a vita tranquilla in Giamaica Bond viene raggiunto dall’amico della CIA Felix Leiter che gli chiede di recuperare uno scienziato russo..........

_____________________________________________

“No Time to Die” è il 25° film della saga 007, diretto da Cary Fukunaga e con Daniel Craig: l'attore ha vestito i panni di James Bond cinque volte in tutto in quindici anni, da “Casino Royale” (2006) a “Quantum of Solace” (2008), passando per “Skyfall” (2012) e “Spectre” (2015), fino a “No Time to Die” (2021). Craig si conferma così il Bond più “longevo”, anche se Sean Connery e Roger Moore hanno indossato più volte lo smoking della spia al servizio di Sua Maestà. Con quest’ultimo Bond di Craig si compie una definitiva evoluzione del personaggio creato dallo scrittore Ian Fleming nel 1953: quell’eleganza algida e sfuggente, marcata da ironia ‘so British’, tipica della maggior parte dei Bond, viene sostituita in un primo momento da un habitus molto fisico, un mix muscolare e sensuale, per approdare poi sulle rive del sentimento. Primo elemento chiaro di questo Bond “rivoluzionario” è senza dubbio il ruolo femminile. A ben vedere il ciclo di film su 007 con Daniel Craig aveva progressivamente dato uno spazio diverso alle donne, facendole uscire dai confini della “spalla” avvenente verso un ruolo piano piano più centrale (cammino intrapreso da M, capo dei servizi segreti, interpretato in 7 film da Judi Dench). È però in “No Time to Die” che gli argini vanno definitivamente in frantumi e il mondo di Bond si tinge di rosa: a cominciare dall’agente 007 che ha preso il suo posto nei servizi segreti (Nomi, interpretata da Lashana Lynch), trentenne dal piglio risoluto e dalla spiccata femminilità. Lei tiene la scena accanto a Bond, rimarcando bene i suoi spazi, a partire da quel nome in codice che non vuole cedere al suo storico “proprietario”. C’è poi la psicologa Madeleine Swann, l’attrice francese Léa Seydoux, già conosciuta in “Spectre”, che in questo episodio entra con passo più deciso e irreversibile nella vita di James Bond. Madeleine lo aiuta a curare le ferite lasciate da Vesper Lynd (Eva Green): è lei a guidare James verso un amore più maturo, fuori dai sentieri della passione travolgente, verso un orizzonte che si apre alla tenerezza e ad altre responsabilità. Senza voler dire troppo del film, possiamo affermare che in 007 si è ormai giunti a piena parità tra uomo e donna, anzi il suo futuro sembra essere sempre più sbilanciato a favore delle donne. Si è arrivati a questa svolta narrativa anche grazie al coinvolgimento nel team di scrittura di Phoebe Waller-Bridge, rivelazione per le serie Tv “Fleabag” e “Killing Eve”. È stata lei probabilmente a cesellare meglio i comprimari femminili del film, mantenendone immutato fascino e avvenenza, ma ritagliando per loro più azione, spazio e rilevanza. Altra grande novità di “No Time to Die” è la trasformazione di James Bond. Craig ha condotto il suo 007 fuori dai sentieri dell’eroe bello, spigoloso e inafferrabile, aprendolo alle sfumature dell’amore e alle pagine brucianti del dolore. Sia chiaro, Bond è sempre Bond, un eroe che si fa giustizia e resiste in maniera granitica alle aggressioni; semplicemente ora è più umano, più permeabile alle emozioni, compresi rimpianti e nostalgia. Inoltre, in questo capitolo arriva a sfiorare un profilo relazionale-umano mai toccato prima: si scopre prossimo alla tenerezza, vulnerabile come mai in passato. E questo ci regala una tensione emozionale verso il personaggio, al punto da attivare quella strana malinconia di cui si parlava all’inizio. Ci si affeziona ancora di più a Bond, perché lo si scopre vicino, non più mitico. Bond è uomo come noi. Applausi quindi a Daniel Craig, che non ha mai nascosto la sua fatica di portare a compimento questo quinto atto di 007; interprete che ha rivelato statura e mestiere fuori dal comune, riuscendo a ritagliarsi un posto di primo piano nella galleria di ritratti della spia di Sua Maestà. Sean Connery, però, resterà sempre il primo, inimitabile, Bond. Infine la regia. Dopo il britannico Sam Mendes, è toccato al regista-sceneggiatore statunitense Cary Fukunaga (classe 1977) firmare il 25° 007. Dall’esperienza cinematografica e televisiva versatile – tra i suoi titoli ci sono l’acclamata serie poliziesca “True Detective” (2014) come pure una nuova versione, meno convenzionale, di “Jane Eyre” (2011) – Fukunaga si è messo alla guida del nuovo Bond rivelando indubbio stile visivo e vigore narrativo. A essere onesti non tutto nel racconto gira nel verso giusto, in primis per qualche scivolata un po’ fracassona o per lungaggini (l’opera si attesta sui 163 minuti), ma il saldo è assolutamente positivo. Il suo Bond possiede tutto: azione, adrenalina, atmosfera rétro, ma anche aperture al nuovo, a quella freschezza narrativa riconducibile già a Mendes. Punto nodale in quest’ultimo 007 è la commistione convincente, e per certi versi sorprendente, tra la magnetica tensione da thriller spionistico e l’indagine delle pieghe dell’animo del personaggio, quello sguardo introspettivo che approda sulle sponde del sentimento. È proprio tale compenetrazione tra i due livelli di Bond che ammalia e tiene agganciati. E poi c’è quel finale mozzafiato che piace, e tanto, anzi fa proprio sussultare, del quale non si può (e non si deve) parlare, che vale di certo il biglietto al cinema.   

 

Recensioni in ordine cronologico di trasmissione, non essendoci stato dibattito

 

Giulio Martini

Enorme sforzo produttivo ed inventivo, un po' arzigogolato, per tener "vivo" il marchio di fabbrica, ma con una rielaborazione dei personaggi che li allontana di molto (troppo ?) dall'originale.

Sempre splendide e incredibilmente verosimili le varie sarabande di inseguimenti e scontri in locations multiple e variegate.

Ma il giocattolone auto - ironico per adulti, che sotto sotto sognano ancora di essere agenti segreti invincibili, mostra ormai strane contraddizioni interne nella imperturbabile super efficienza fisica e i tormenti psicologici del protagonista

 

 

Angelo Sabbadini

Bond? L’obiettivo dichiarato è proprio rilegittimarlo. La vicenda serve proprio a provare che il mondo ha ancora bisogno di uno come lui. L’Occidente, come negarlo, è tuttora esposto a complotti innumerevoli, crudeli e capziosi. E allora il bravo Fukunaga rimette in pista il vecchio carrozzone con le sue tre ore di artifici. Certo, il film è lungo oltre il lecito ma il vigore narrativo tiene svegli e lo sguardo introspettivo sul personaggio non guasta

 

 

 

Carlo Caspani

Parola di bondiano di ferro dal 1963: fine di una saga, di un amore, di un'epoca. Il fracassone americano Fukunaga ci tiene a chiudere coi fuochi d'artificio, e dopo 24 minuti di prologo ad alto tasso di SFX e spot turistico pubblicitari, manda avanti veloce di sei anni e mostra un Craig/Bond falsamente pacificato, giamaicano, citazionista alle prese con il suo ruolo di ex ormai sostituito anche nei numeri del servizio segreto (da una donna di colore...), richiamato a salvare il mondo dal suo amico Leiter: Che peraltro muore, come muoiono tutta la Spectre, il suo capo Blofeld, un certo numero di cattivi in una raffica di scene adrenalinico-citazioniste che vorrebbero richiamare memorie antiche nei vecchi babbioni nostalgici come chi vi scrive (e Aston Martin, e Walther PPK, e vodka Martini...) ma senza alcuna traccia dell'antica ironia gaglioffa, British, da male chauvinist pig che era una cifra sdrammatizzante di tutta la saga. Il politically correct, il Me too, buoni per gonzi e gonzesses giovani e immemori trionfa quando, nel finale, ci troviamo un Bond papà che si sacrifica martire tra fuochi d'artificio  e virus vari che sottendono un patto diabolico tra Servizi Segreti e Cattivi Assoluti... insomma, salvo dieci minuti di azione a Cuba con una bellona reminescente di ben altre Bond girls, il giocattolo si è aggiornato, ma noi siamo troppo vecchi. It's time to die, goodbye JB007

 

 

 

 

Marco Massara

Da ‘bondista’ della primissima ora (credo proprio di averli visti tutti – è il mio scheletro nell’armadio..) la delusione è tanta.

Quasi tre ore di un film senza ritmo, con gli elementi più deteriori del filone esasperati (mentre se dosati bene funzionano, eccome!), ironia 0,007 % e con inserti pseudo-citazionisti e pseudo-romantici che scatenano una tempesta di rimpianti. Manca proprio quel guizzo, accompagnato dall’inconfondibile stacco musicale, che Connery attivava magistralmente e che gli altri 007 hanno saputo declinare in vari registri.

E poi: la Spectre si è autodistrutta, Felx Leiter è morto, Blofeld idem, Bond è polverizzato (negli ‘007 movies’ si fanno molti cadaveri, ma non ci si preoccupa mai – Goldfinger mirabile dorata eccezione – di farli sparire).

Qui ci vuole una rifondazione integrale. E non è facile.

 

 

 

Giorgio Brambilla

 

Cary Joji Fukunaga chiude una saga durata 60 anni e 25 film con un finale che vorrebbe essere, non solo letteralmente, col botto. La serie di cinque film interpretati da Daniel Craig, il più umano e meno distaccato dei Bond, si conclude coerentemente, mostrando come il lasciarsi toccare dalla realtà faccia vivere in modo autentico, ma possa portare a farsi male. C’è una penetrazione molto maggiore della psicologia del personaggio, una dignità superiore attribuita ai personaggi femminili resi più complessi, oltre a scene d’azione decisamente ben fatte. Detto questo, non mancano alcune perplessità: prima di tutto l’esigenza di dire così tanto porta a farlo in modo un po’ confuso e non adeguatamente coinvolgente, a causa anche di un antagonista non proprio all’altezza. E poi non riesco a scacciare il sospetto che si chiuda un’epoca solo per entrare in quella della politically correctnes. Spero tanto di sbagliarmi, ma intanto questo film, pur non privo di pregi, proprio non mi pare all’altezza del compito che si trova a svolgere