Titolo

Rifkin's festival

 

da domenica 1 a venerdì 7  maggio 2022

vai ai commenti degli animatori

vai ai commenti del pubblico

 

 

RIFKIN'S FESTIVAL

REGIA DI FLORIAN WOODY ALLEN

 

Mort Rifkin, docente in pensione, accompagna la moglie Sue, press agent di un regista emergente, al Festival cinematografico di San Sebastián. Molti nodi verranno al pettine…

 

_______________________________________________

 

Ma il film è anche un grande omaggio al cinema del passato. Woody Allen/Mort dichiara ripetutamente la sua ammirazione per registi europei quali Fellini, Truffaut, Lelouch, Godard, Bergman e sparpaglia in tutto il film citazioni di capolavori della storia del cinema. Usando l’espediente del passaggio al bianco e nero il regista catapulta improvvisamente gli attori (e gli spettatori) nelle scene più celebri di “Jules e Jim” (1962), “Il fascino discreto della borghesia” (1972), “Il settimo sigillo” (1957)… Il film può contare sull’ottima performance di tutti i protagonisti, ma soprattutto di Wallace Shawn, che ha lavorato in altri film di Woody Allen (“Manhattan”, 1979; “Radio Days”, 1987; “Ombre e nebbia”1991, e “La maledizione dello scorpione di giada”, 2001) e che presta a Mort la sua espressività e la sua impacciata e disarmante fisicità. Il film si muove lungo una scrittura frizzante, condita dalle “consuete”, fulminanti, battute in perfetto equilibrio tra ilarità, malinconia e ironia, tra quello che avrebbe dovuto essere e non è stato

 

 

 

 

 

 

 

 

Giulio Martini

Domenica pomeriggio

    Il festival di mitiche pellicole in b/n (storpiate) che il Sig.Rifkin si auto-proietta di notte mentre se ne sta nella bella concha basca è una modalità furba di Allen per intrufolarsi tra i Classici che ama, sperando prima o poi di essere annoverato pure lui tra i Maestri.

Ma purtroppo, per quanto i suoi ricorrenti temi siano sublimi (citazioni dottissime sono sparse a piene mani tra i dialoghi più superficiali...), l'avatar del regista sa che non basteranno ad elevarlo ai massimi livelli della critica e che dunque neppure per questa 48.a sua invenzione si griderà al Capolavoro.

È la condanna dei comici, mai presi sul serio nei loro tormenti neppure dal pubblico, specie al cinema, anche se la risata di Allen , rispetto ai falsi film "impegnati", nasce dalle stesse profonde domande dei filosofi europei più celebri e celebrati, ma in modo assai umile, quotidiano e - soprattutto - senza  mai (dice sconsolato, al pari di Sisifo ) nessuna certezza di successo o soluzione.

 

 

Giulio Martini

Domenica sera

 

 

Angelo Sabbadini

Lunedì sera

Woody Allen si lascia alle spalle i travagli americani, riattraversa l’oceano, stringe un’alleanza di ferro con la film commission di San Sebastian e ci racconta un film di struggimenti senili e cinefilia esibita. Operina minore tutta giocata sul già visto strappa diversi sorrisi ma sembra un esercizio di stile privo di un’autentica neccesità.

 

Giulio Martini

Mercoledì sera

 

 

 

Marco Massara

Giovedì sera

 

La fisiologia cinematografica di Woody Allen gli impone di girare un film all’anno. Giunto al 48°, Woody ritorna in Spagna dove aveva girato uno delle sue opere meno riuscite – Vicky, Cristina, Barcelona – ma non fa gli stessi errori. Soprattutto felice è la scelta di Warren Shawn come suo simpatico alter-ego ed anche di non scostarsi troppo, anzi immergendosi completamente, dal mondo del Cinema frequentato nel precedente “Giorno di pioggia a New York”.

Una messa in scena ed in sequenza impeccabili e battute adeguatamente rinfrescate sono la parte migliore di “Rifkin’s Festival” ma scavando un po’ più in profondità ci si accorge che il tessuto generatore del ‘senso’ del film è un po’ liso e anche l’idea di adattare alla vicenda del film brani di opere significative della storia del Cinema all’inizio sorprende ma poi diventa piuttosto stucchevole. Ho rimpianto l’intensità e l’originalità de “La ruota delle meraviglie”, l’ultimo film di Woody visto insieme al Bazin.

 

 

 

Giorgio Brambilla

Venerdì sera

Allen costruisce il suo ultimo film come una seduta psicanalitica: Mort Rifkin, il suo alter ego, racconta al proprio dottore, che impersona lo spettatore, un momento di crisi nella sua vita, nel quale fa un bilancio della sua esistenza e dichiara il suo amore per il cinema e per i grandi maestri, in prevalenza europei, della settima arte. Rilegge attraverso alcuni capolavori, che cita e parodizza con affetto, la propria esistenza, fino ad arrivare ad alcune certezze fondamentali. Primo: il cinema non è più quello di una volta; qualunque borioso e inconsistente registucolo può essere scambiato per un maestro. Secondo: lui ha amato infinitamente il grande cinema europeo e ha cercato di fare qualcosa che valga la pena di essere davvero ricordato, ma forse è stato solo uno snob incapace di relazionarsi agli altri e vivere davvero. Terzo: sta lontano dall’America, ma “New York era la sua città, e lo sarebbe sempre stata”, come diceva in Manhattan. Dilaniato con ironico distacco da queste contraddizioni ci regala un oggetto apparentemente cerebrale e per cinefili, che è al tempo stesso forse il suo film più sincero e disarmato, anche se non uno dei più memorabili, capace di appassionare soltanto i suoi fan più devoti, come il sottoscritto.

 

 

 

Carlo Caspani

Fuori classifica

In absentia

D'accordo, avviato ai novanta il Nostro tende a ripercorrere strade fin troppo note, in questo caso il canovaccio del film turistico-alimentare che gira intorno alla passione di una vita, il cinema, attraverso gli occhi e le imbranate ambizioni di Mort Rifkin, ebreo borghese del Bronx e critico cinematografico, ennesimo alter ego del regista. Lo schlemiel che rimanda a innumerevoli riferimenti autobiografici, nevrosi, frustrazioni, ingenuità: anche qui roba già vista, direte. Ma, con la scelta di un protagonista eccellente come Wallace Shawn e di comprimari come Gina Gershon e Louis Garrel, Allen riesce a rilanciare, tra ironia e malinconia, i temi della separazione tra le proprie azioni e il senso di un mondo che cambia e ci lascia indietro. E ci fa rifugiare, mendicanti del sogno della quarta parete, nelle favole belle di Fellini e Lelouch, Godard e Truffaut, Bergman e Bunuel. Chissenefrega se il film è in certi momenti fragile, approssimativo, sicuramente opera minore della sua cinematografia: ironico, coltissimo, un po' misogino, Woody Allen è vivissimo e lotta insieme a noi!