Titolo

Ariaferma

 

da domenica 3 a venerdì 8  aprile 2022

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ARIAFERMA

REGIA DI LEONARDO DI COSTANZO

 

Barbagia, oggi.

Durante una chiacchierata notturna attorno a un falò un piccolo gruppo di guardie carcerarie commenta l’imminente chiusura del ‘loro’ carcere, dal nome di fantasia di Mortana.

Al rientro per la guardia notturna però arriva una notizia inattesa: il carcere in cui saranno trasferiti i detenuti non li può contenere tutti, per cui 12 dovranno restare a Mortana in attesa di nuove disposizioni.

La guardia Gargiulo sarà quindi il nuovo comandante. Alla partenza del grosso dei detenuti i 12 rimasti vengono riallocati nelle celle che si affacciano sulla rotonda centrale. Essendo chiusa la cucina i pasti verranno forniti da un catering esterno. Il detenuto Lagioia.....

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La compresenza forzata in un luogo chiuso ed in una situazione particolare è un ‘luogo cinematografico’ ben codificato e sfruttato da autori di varie nazionalità e con registri narrativi differenti.

Quella del carcere poi è una situazione particolarmente fertile, dove i ruoli sono definiti e son pronti a trasformarsi e a confondersi, e anche qui il cinema ha attinto a piene mani.

Di Costanzo ha però scelto una rappresentazione minimalista, in una struttura fatiscente e prossima alla chiusura e utilizzando sia l’inversione dei ruoli che meccanismi drammaturgici tanto semplici quanto efficaci.

Lagioia che da criminale rivela il talento culinario tenuto nascosto; Gargiulo che è più o meno costretto ad abbandonare il proprio ruolo di rigido custode concedendo aperture impreviste salvo poi riprendere la “giusta distanza “. Questi sono appunto i movimenti e le trasformazioni dei personaggi, unitamente alla crescita dello spessore del personaggio dell'ultimo arrivato che appunto assume un ruolo di cerniera tra l’atmosfera rarefatta del carcere e la realtà del mondo esterno.

Un altro elemento molto cinematografico e fondamentale sul piano umano è quello del cibo. La tavolata improvvisata crea una comunione imprevista, salvo poi fare rientrare tutti nelle celle e riprendere quella sospensione del tempo e rarefazione delle azioni che pervade tutto il film.

 

Maiuscola interpretazione di Servillo e soprattutto di un Silvio Orlando imprevisto in un ruolo drammatico.

Intelligente l’uso di musiche e canti tradizionali nella colonna sonora e fotografia dai toni giustamente sottomessi, contribuiscono alla realizzazione di un film che si distingue dalla scarsa qualità delle produzioni fortemente condizionate dalla pandemia.

 

 

 

 

 

Rolando Longobardi

Domenica pomeriggio

 

 

 

Spicca nel panorama italiano degli ultimi anni questo bellissimo film di De Costanzo. Tutto giocato sulla relazione luce (artificiale) ombra (luce soffusa) del carcere fatiscente e dell'animo altrettanto logoro dei personaggi. Un film intenso, dove la bravura dei due protagonisti è resa ancora più valida dall'ambiente non-luogo che li circonda. Il perdono, la comprensione, la colpa e la redenzione sono qualcosa che se non coltivate, fanno crescere erba, buona da mangiare, ma emergenziale. 

la vita non è un'emergenza, ma una scoperta.

Bello

 

 

 

 

 

Giulio Martini

Domenica sera

 

 

 

Tentativo non del tutto riuscito, per mancanza di approfondimento drammatirgico, di analizzare la pressoché identica situazione esistenziale dei controllori e dei controllati in in "Carcere metaforico",emblema della società meridionale tutta.

Ci si trova a "lavorare" in un certo ruolo e non nel suo opposto per motivi imperscrutabili,divenendo erba buona o cattiva dello stesso orto,senza decifrare come mai si sia creata questa diversità pur partendo da un terteno comune.

 

 

 

 

 

Angelo Sabbadini

Lunedì sera

 

 

 

 

 

 

 

Uno spazio delimitato, un tempo sospeso, un gruppo di personaggi reclusi in una gabbia teatrale: ecco le ritualità espressive del cinema di Leonardo Di Costanzo. Qui riproposte e affidate alle cure amorevoli della coppia attoriale Servillo/Orlando che, lavorando in sottrazione, rendono magistrale il senso di isolamento dei detenuti del carcere immaginario di Mortana.

 

 

 

Carlo Caspani

(semper in absentia)

Mercoledì sera

 

 

 


Leonardo Di Costanzo con un film apparentemente di genere. sul microcosmo carcerario, ma fuori dagli stereotipi anche grazie a una recitazione alta e sinergica dei due protagonisti. Orlando e Servillo condividono l'elemento speciale che decreta il successo, anche al Bazin, del film italiano forse più interessante della scorsa stagione. In circostanze di quasi abbandono, sbirri e galeotti si ritrovano a dover superare contingenze elementari che li accomunano: mangiare, sorvegliarsi a vicenda, trovare un punto di convivenza che conferma, durante una cena comune, il senso ultimo della storia: in fondo sono tutti dello stesso mondo, addirittura dello stesso paese o quartiere. Stare da una parte o dall'altra della barricata è in fondo questione di caso, o fortuna, o destino scritto da altri. Un orto, un piatto di pasta, un dialogo danno alla fine senso a un film per nulla freddo e distaccato. Luca Bigazzi alla fotografia, poi, è una garanzia se il regista vuol vincere facile dal punto di vista della cinematografia.

 

 

 

 

Marco Massara

Giovedì sera

 

 

E’ la ricerca di un punto di equilibrio: tra esercizio della autorità e aperture permeate di umanità, tra la scoperta del talento (il cuciniere) e quella delle potenzialità di leader, tra l’autolesionismo (il tentato suicidio) e l’accettazione della giusta punizione.

Proprio a tendere all’ “Ariaferma” del titolo sapientemente scelto ad indicare appunto il tendere ad una situazione di equilibrio delle ‘forze’ in campo. Ottimo esempio di un cinema minimalista che si avvale della fotografia desaturata del grande Luca Bigazzi e sulla eccellente performance di Toni Servillo e Silvio Orlando; il primo si conferma “Patrimonio universale del Cinema italiano”, mentre il ruolo drammatico interpretato dal secondo è un’altra bella sorpresa

 

 

 

 

 

Giorgio Brambilla

Venerdì sera

 

 

 

Leonardo Di Costanzo mette insieme attori professionisti e non, tra cui ex detenuti, per costruire un mondo diviso a metà, fatto di guardie e ladri, prigionieri insieme di un carcere in dismissione. Non ci racconta i dettagli delle storie dei suoi personaggi; ci mostra le loro interazioni e come, partendo da un’iniziale distanza apparentemente incolmabile, si realizzi un avvicinamento che culmina nella cena insieme alla luce fioca delle lampade. Tutto avviene in un edificio in stato di abbandono, metafora di quanto possa essere fallimentare lo strumento carcerario, con i suoi corridoi fatti – necessariamente, intendiamoci - per isolare le persone. La storia cambia quando i detenuti sono concentrati nella struttura centrale, la quale diventa una sorta di agorà dove si discute, si lotta, ma si stabilisce pure un contatto. Certo, appena la luce si riaccende tutti rientrano nei propri ruoli ma, anche se Servillo nell’ultima inquadratura continua a guardarsi intorno con circospezione, qualcosa è mutato: quando Orlando gli rivela che non ha mai avuto il coraggio di dire ai familiari che tra le guardie c’era il figlio del lattaio fa cadere la maschera della finzione, che nascondeva per un tacito consenso la comune origine, e i due possono finalmente camminare affiancati. Non sono diventati amici, semplicemente ciascuno è se stesso insieme all’altro