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L'ufficiale e la spia

 

da domenica 12  venerdì 17 dicembre 2021

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L'UFFICIALE E LA SPIA

regia di Roman Polanski

 

 

 

1894. Alfred Dreyfus, capitano dell'esercito francese, viene dichiarato colpevole di alto tradimento per aver passato segreti militari all'Impero tedesco. L'uomo viene degradato e condannato all'esilio sull'Isola del Diavolo; il suo affaire scatena una notevole eco in Francia poiché Dreyfus è ebreo. Un anno dopo l'ufficiale Georges Picquart, in passato superiore dello stesso Dreyfus, viene nominato capo della sezione dei servizi segreti nell'esercito francese; l'uomo, dai sentimenti antisemiti, è consapevole che il processo a carico di Dreyfus sia stato piuttosto sommario a causa della sua origine; tuttavia, notando alcune irregolarità nel dossier dell'affaire..........
 

.......L'Ufficiale e la Spia si colloca nella categoria delle opere di impianto classico che trovano la via del grande schermo nel momento storicamente giusto. È sicuramente vero che il regista e il suo co-sceneggiatore Robert Harris lavorano da anni su questa idea ma è ora che è indispensabile mostrare, con un film capace di arrivare al grande pubblico, come il Potere sia in grado di costruire falsificazioni capaci di resistere a lungo e di sconvolgere vite.
Viviamo in tempi in cui la memoria collettiva è quotidianamente insidiata da una valanga di news tra cui è sempre più difficile distinguere le vere dalle fake. Attraverso la persona di Picquart (magistralmente interpretato da Dujardin) Polanski ci ricorda come siano necessari uomini che siano capaci di andare al di là delle proprie convinzioni (il colonnello non amava gli ebrei) quando si trovano di fronte a un'ingiustizia che diviene tanto più palese quanto più chi la sta perpetrando fa muro perché non ne emergano le falsificazioni.

 

 

 

 

 

 

Rolando Longobardi

Domenica pomeriggio

 

 

 

Il tocco artistico si vede sin dalla prima sequenza: una riproduzione quasi perfetta della locandina de Le petite journal. Dreyfuss è degradato e con lui la verità. Il compito è quello di ricostruire ciò che è vero, facendo ben attenzione a distinguere quello che è falso da una copia dell'originale che. come diceva anche Platone, falso non è anche se non può dirsi vero.

Polanski gioca su tre livelli di ricerca di verità: Dreyfuss che la conosce; Picquard che la scopre e Zola che la comunica. Il tutto accompagnato dall'uso magistrale delle immagini e della fotografia. Un film che racconta una storia vera, che il cinema sa rendere finzione nel momento in cui chiede a noi, spettatori passivi, di lanciare il nostro j'accuse.

Un film a tal punto autobiografico (i riferimenti alla vicenda giudiziaria del regista sono sparsi per tutto il film) quasi da infastidire.

 

 

 

 

 

Giulio Martini

Domenica sera

 

 

 

Solidissima costruzione narrativa,dove il tipico/ topico"cul de sac" delle storie del regista (ossessionato dalle trappole,dai labirinti mentali e sociali) si apre ad un finto esito positivo.

Davide contro Golia/Istituzione militare vittima predestinata nella gabbia dei peggiori preguidizi,anche se qui rischia di finir male pure l'investigatore.

Però al can - can della Stampa dell'Epoca (non bella, anzi decisamente opaca) regista e sceneggiatore sostituisco silenzi, pause, vuoti, meditazioni, dialoghi asciutti e sferzanti. Tanti i collaboratori ebrei (dall'operatore agli attori ai produttori ...) ma a dichiararsi perseguitato dal processo mediatico/razziale non è solo il co-legionario Dreyfus quanto - in primis - Polansky.

 

 

 

 

 

 

Angelo Sabbadini

Lunedì sera

 

 

 

 

 

All’ultimo appuntamento cinematografico dell’anno si presenta Roman Polanski e si prende il banco! A 88 anni suonati il regista polacco orchestra una magistrale lezione di cinema che lascia senza parole per la qualità della composizione. Costruzione rigorosa e tesa il J’accuse di Polanski non sbaglia un dettaglio e ci consegna una ricostruzione storica di rara efficacia. Respiriamo la polvere degli interni e i miasmi di logiche ingiuste e meschine. Al Bazin nel declinante anno 2021 non abbiamo visto nulla di paragonabile.

 

 

 

Carlo Caspani

Mercoledì  sera

 

 

Essere pre-giudicati per colpe antiche che coinvolgono anche l'agire dell'oggi in una condanna senza appello, senza separare l'opera dell'artista dalla vita privata dell'uomo:  il tema si presenta puntuale nel gioco rimandi con i protagonisti in scena anche in questo Polanski "storico", ricostruzione impeccabile nella cronaca e nell'ambientazione (inclusi doverosi rimandi agli impressionisti e alla stampa dell'epoca) del famigerato caso Dreyfuss. Ma il J'accuse del regista va, evidentemente, ben oltre, con gli accenni all'antisemitismo, alla caccia al colpevole sacrificale, al senso di impotenza, pericolo senza salvezza alcuna, precarietà esistenziale che accompagnano la quasi totalità del suo cinema.

 

 

 

Giulio Martini

Giovedì sera

 

 

 

 

 

 

Giorgio Brambilla

Venerdì sera

 

 

 

L’ufficiale e la spia è un film storico preciso nei dettagli, formalmente ispirato alla pittura dell’epoca, a partire dalla Colazione sull’erba di Monet citata all’inizio. Lascia come esche di quanto accadrà in futuro in Germania alcune scene esemplari, come il rogo delle copie dell’Aurore accompagnato dalla stella di Davide disegnata su una vetrina poi rotta. Utilizza il punto di vista di un antisemita per far capire che per rifiutare aprioristiche discriminazioni non serve simpatizzare per un gruppo, basta avere a cuore l’onore (quello vero) della propria nazione e delle forze chiamate a difenderlo. Risulta, insomma, un testo dal valore universale costruito a partire da un caso particolare. Cinematograficamente un’opera senza fronzoli, precisa e incisiva. Può darsi che Polansky voglia immedesimarsi in Zola e dichiararsi ingiustamente perseguitato; di certo gli ruba il titolo (in originale J’accuse, appunto) ma, anche se così fosse, questo non renderebbe meno riuscita la sua opera

 

 

 

 

 

 

 

Marco Massara

(fuori classifica)

Quando si elabora per lo schermo un fatto storico, e quindi “si sa come va a finire”, bisogna architettare qualcosa che catturi lo spettatore, lo si seduca e magari un po’ lo si depisti.

E’ quello che fa il film nella prima metà, con atmosfere cupe, rischiarate da fasci di luce che ‘illuminano’ Picquard nella sua detection, con il suono attento ad amplificare ogni scricchiolio quasi in contrappunto con la storia ‘ufficiale’.

Poi il film cambia registro, bruscamente, e si trasforma in un ‘legal movie’, con una rappresentazione notarile, a volte stucchevole, delle udienze tribunalizie intercalandole con episodi storici ‘imbullonati’ come il duello Picquard-Henry o l’attentato all’avvocato Labori.

Peraltro le intenzioni di Polanski non erano certo quelle di fare un film ‘didattico’; a parte i riferimenti impliciti alla sua vicenda personale, forse la chiave è nel dialogo sulla copia ed il falso: se fai una copia (la versione di Picquard) per te non c’è problema, ma se la vendi o la porti in tribunale come prova rischi che sia un falso.

E con la Storia non si sgarra.