Titolo

Easy Rider

 

da domenica 24 a  venerdì 29 ottobre 2021

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EASY  RIDER

regia di Dennis Hopper

 

 

 

"14 luglio 1969: nei caldissimi Stati Uniti d’America è distribuito un film destinato a rivoluzionare la storia del costume. Easy Rider, opera prima di Dennis Hopper è la parabola tragica di una generazione che, nell’America del Vietnam, dei figli dei fiori e dei sogni infranti, rifiuta ogni regola e si mette in viaggio. Nei paesaggi assolati della California, a cavallo delle loro motociclette, sfrecciano Wyatt (Peter Fonda) e Billy (Dannis Hopper) (…) Erano gli anni della rivoluzione giovanile, il maggio caldo del ’68 non è un ricordo, ma un presente con cui fare i conti. La leva obbligatoria ha portato via tanti giovani, tanti capelloni hanno dovuto rasare la loro simbolica chioma per indossare la divisa. Le famiglie piangono i morti, i sopravvissuti piangono loro stessi. L’idea di un’America eroica e invincibile – che dove passa porta pace e democrazia –è rovinosamente sfumata nelle giungle del Vietnam. Per la prima volta, la società civile si rivolta in massa contro i propri governanti, per la prima volta le grandi marce di protesta puntano dritte a Washington (…) le vicende di Wyatt “Capitan America” e Billy diventano esemplari. I due hippies non cercano guai, non provocano: tutto quello che cercano è libertà, tuttoquello che ottengono è violenza. Frutto della cultura giovanile degli anni Sessanta, è anche la diffusione sempre più  rilevante del fumetto, attraverso cui i suoi storici autori entrano a far parte dell’immaginario collettivo e determinano in modo irreversibile la cultura popolare. Non a caso, ilsoprannome del protagonista di Easy Rider è Capitan America, dall’iconico eroe Marvel nato nel 1941 dalla mente di Jack Kirby e Joe Simon.A un primo sguardo si potrebbe pensare che il legame tra i due è puramente superficiale, giustificato solo dal fatto che il casco e il chopper di Wyatt sono customizzati con la bandiera a stelle e strisce; tuttavia, la connessione fra i due simboli del Nuovo Continente è molto più profonda e trova un senso proprio in quel periodo di grande mutamento che chiuse definitivamente il capitolo del post Seconda Guerra Mondiale per aprire quello dell’emergenza economica e militare permanente, da cui non siamo mai realmente usciti.Wyatt, infatti, è uno di quei giovani che vive la cultura hippie non come semplice contestazione, ma come radicalizzazione del concetto di libertà alla base dello spirito yankee: silenzioso, riflessivo e sensibile, il personaggio interpretato da Peter Fonda è la quintessenza della purezza. La sua trasparenza – così come quella del personaggio cui prende il soprannome – si scontra inevitabilmente con l’America corrotta, violenta e intollerante che ogni eroe dovrebbe prefiggersi di combattere (…) Proprio in virtù dell’importanza dei suoi temi, Easy Rider ha subito conquistato il titolo di cult generazionale. Nel documentario del 2004 A Legacy of Filmmakers: The Early Years of American Zoetrope, George Lucas ha parlato del film di Hopper come di uno spartiacque che le major del cinema non hanno potuto ignorare per capire come parlare ai giovani. Dalla colonna sonora, il cui successo ha quasi travalicato la fama del film, alla maniera disincantata di parlare di amore libero, droga e società, Easy Rider racchiude tutta l’essenza del 1969.Finalmente i ragazzi che andavano al cinema hanno goduto di un prodotto artistico in grado di parlare il loro linguaggio, con dei personaggi in cui identificarsi e con un dramma che tutti possono sentire proprio. Da quel momento si inizia a parlare di Nuova Hollywood, che accoglie nel suo pantheon le firme più note del cinema americano di tutti i tempi; la rivoluzione di Lucas, Hopper, Altman, Scorsese, Coppola e gli altri passa per il linguaggio, per la nuova varietà dei temi e per il coraggio di parlare di sesso, violenza, droga, oppressione di genere e razza, inquietudine. Da questo momento in poi i giovani, folli e disperati artisti di Hollywood si armano di camera e iniziano a raccontarsi: un nuovo capitolo è iniziato e corre su due ruote lungo tutta l’America.”

(Francesca Romana Torre, da cinematographe.it, 14 Luglio 2018)

 

 

 

 

 

 

Giulio Martini

Domenica pomeriggio

 

 

 

Contro - western  hippie,  manifesto di una breve epoca di contestazioni anarcoidi e fanciullescamente utopiche, surriscaldate da musiche onnipresenti e  intaccate da droghe orientali dilaganti, il film è la sintesi di  tanti esperimenti sociali e linguistici,che hanno segnato la cultura non solo americana, anche al cinema.  Ma ne ha anche i limiti e le approssimazioni.

 

 

 

 

 

Giulio Martini

Domenica sera

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angelo Sabbadini

Lunedì sera

 

 

 

 

 

Via via lungo la Death Valley seguendo la vecchia Route 66 ! Billy & Wyatt sgommano ancora con i loro chopper verso il loro destino tragico. Il viaggio lisergico e tragico di Denis Hopper  funziona ancora con tutte le sue dissonanze e le sue magnifiche imperfezioni. I visionari del Bazin non si lasciano scappare l’occasione e vanno diritti al cuore di un film che è ancora in grado di far palpitare la platea

 

 

 

Carlo Caspani

Mercoledì  sera

 

 

Con due anni di ritardo sul cinquantenario, causa Covid, una doverosa celebrazione del film che ha rivoluzionato il "cinema giovane" negli USA narrando, con un po' di romanticismo, un movimento hippy che stava già avviandosi verso la fine e una ricerca dell'America destinata a infrangersi al bordo di una strada, presa a fucilate come in una ballata di Dylan (quello vero, Bob). Colonna sonora inossidabile, doppiaggio che risente di novità linguistiche per l'epoca che lo renderebbero oggi quasi ridicolo: ma per chi ha abbastanza capelli grigi da ricordarlo, quello fu uno di quei film che cambiano il modo di stare al cinema, per qualcuno perfino il modo di stare al mondo. We weren't born to follow, born to be wild

 

 

 

 

Giorgio Brambilla

Giovedì sera

 

 

Dennis Hopper ha costruito un film che esprimeva benissimo le contraddizioni della società americana della fine degli anni ’60, decennio degli omicidi dei Kennedy e di Martin Luther King, oltre che della guerra del Vietnam. È stato il momento della perdita dell’innocenza degli USA, che hanno smesso di vedersi come una nazione di individui buoni e disinteressati, con cambiamenti anche nel genere cinematografico patriottico per eccellenza, che nel 1970 con film come “Soldato blu” ha svelato il vero volto dei “nostri” del cinema classico. Il nostro film è un vero e proprio western capovolto, coi riders sulla moto invece che a cavallo, i quali vanno da ovest a est e sono tutt’altro che degli eroi. Esso illustra il lato violento e ottuso dell’America profonda, a cui contrappone la controcultura hippy, all’epoca di moda ma oggi percepita come lontana; questo accentua l’effetto di spaesamento che già la trama, volutamente senza una direzione precisa, tende a generare. Lo sperimentalismo del linguaggio farà da viatico per la nascita del cinema d’autore d’oltreoceano, quella New Hollywood che ha visto in azione i migliori registi del cinema moderno americano. Un’opera in sé piccola, ma un punto di svolta

 

 

 

Marco Massara

Venerdì sera

 

 

 

Di solito non mi piacciono i ‘titoli supplementari’ che spesso la distribuzione italiana assegna senza motivo.

Ma questa volta quel ‘libertà e paura’ ha un suo perché. Ogni slancio libertario,  di cui è paradigma l’orologio gettato nella polvere da Wyatt all’inizio del viaggio, è accompagnato, anzi direi oscurato come minimo dalla incomprensione di una società refrattaria, fino poi ad arrivare alla tragedia conclusiva.

Film rivoluzionario, rapsodico per temi e per forma; dalla sequenza iniziale in lingua senza sottotitoli e con la ‘fila’ di aerei in atterraggio, alla straordinaria recitazione di un quasi esordiente Jack Nicholson che non può non richiamare le scene del bar di Shining. Hollywood non sarà più la stessa, anche se Wyatt (novello Earp, l’eroe dell’OK Corral) ostenta sulla moto, sul casco e sulle spalle la bandiera a stelle e strisce.