Rolando Longobardi
Domenica pomeriggio
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Non lascia ampi margini di interpretazione McKay nel suo film Vice. L'uomo nell'ombra.
Ad essere chiamato in causa è direttamente lo spettatore, che deve immergersi nello stagno nel quale i pesci della politica sguazzano.
Attraverso la carriera di un uomo politico come Dick Cheney il regista disegna il percorso di chi capace di stare nell'ombra, e nell'ombra agisce.
Il montaggio ironico e fin troppo chiaro mette in luce il colpevole di questo sistema: noi spettatori.
non è chiesto allo spettatore di schierarsi ma di prendere atto di ciò che inconsapevolmente, e per questo più colpevole, ha causato.
È proprio lo spettatore il cuore del film. Chi ha orecchi per intendere intenda.
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Giulio Martini
Domenica sera
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uno sforzo non indifferente, e sostanzialmente riuscito, di fare il contropelo al Vice e Capo della premiata ditta Repubblicana che ha regalato al mondo varie guerre stupide e terribili. Ma la volontà didascalica e l'insistenza polemica non ci portano al "cuore" di questo assai grigio Macbeth moderno e la tensione narrativa ( ... cadranno o no le tazzine impilate ? ) viene spesso a mancare. Tuttavia il cinema USA conferma - qui anche con curiose invenzioni retoriche - la sua forte e chiara vocazione civica e democratica , che altrove - non si sa perché - manca del tutto.
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Giorgio Brambilla
Lunedì sera
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Adam McKay costruisce un pamphlet chiaro ed efficace con l’utilizzo di varie tecniche di montaggio, incluso quello concettuale, effetti visivi, finti titoli di coda dopo circa un’ora, un narratore inventato e tanti altri artifici. Un testo di discreto spessore che illustra l’ascesa al potere di un uomo mai in realtà scelto dal popolo, il quale si è trovato nella stanza dei bottoni solo grazie al fatto di aver servito, e ancor più utilizzato, gli uomini giusti, prima Ramsey e poi George W. Bush. Si tratta di un testo denso di nomi, riferimenti giuridici, come la teoria dell’esecutivo unitario, tesi, come l’idea che l’ascesa di Al-Zarqawi sia stata favorita da Cheney (che lo ha però anche eliminato…), ricostruzioni di retroscena. Probabilmente rinforzerà nelle proprie convinzioni chi è già critico nei confronti del vicepresidente più potente della storia degli USA, ma non pare sufficientemente profondo in termini di ricostruzione psicologica da scalfire i repubblicani convinti, che si sentiranno insultati nella propria intelligenza, come del resto ipotizza anche il suo autore attraverso l’ipotetico dibattito nei titoli di coda. D’altronde è pur sempre un film
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Angelo Sabbadini
Martedì sera
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Adam McKay, storico sceneggiatore del Saturday Night Live, costruisce un film sarcastico e godibilissimo tutto giocato sulla sistematica manipolazione di stilemi cinematografici e narrativi. Un gran divertimento per il pubblico del Bazin che sghignazza compiaciuto quando dopo un’ora appaiono inopinatamente i titoli di coda e non si fa cogliere impreparato dalle esche che il ghignante regista distribuisce a piene mani lungo il film. Compreso l’epilogo che è diabolicamente collocato dopo i titoli di coda !!!
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Guglielmina Morelli
Mercoledì pomeriggio
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Viceè un modo bizzarro, a tratti decisamente grottesco, per raccontare in un film “politico” all’americana, quello che già tutti sappiamo: che negli USA la democrazia è una sorta di elegante facciata che copre il reale potere che è esercitato da lobbies (nello specifico dei petrolieri) e che l’opinione pubblica è manipolabile, con irridente facilità, da guru della comunicazione neppure troppo brillanti, in verità, al servizio dei suddetti centri di potere. Detto così potremmo pensare a un film già visto (da Quarto potere in giù), invece Vice è ricco di trovate formali curiose e spiazzanti (i finti titoli di coda a metà film o i veri titoli di coda che, sulla musica di West Side Story, fungono da sottofinale prima della reale chiusura, ad esempio) in un meccanismo narrativo che procede per flash back e flash forward, anticipazioni o chiarimenti sul passato dei personaggi; cartelli e sottotitoli, con una voce off che solo ad un certo punto della narrazione capiremo perché conosce così a fondo Dick Cheney e la sua storia. Ma una delle chiavi di lettura è ben prima del finale: Cheney e la sua mogliettina Lynne (bionda e tenera in apparenza ma dotata di ferrea volontà, supporto indispensabile e spregiudicato nell’ascesa del marito da villico sbronzone puzzolente a vice potentissimo di un cretino come George Bush) nei panni di Macbeth e Lady Macbeth. Un ulteriore simpatico aspetto di novità sono gli espedienti atti a “rompere la quarta parete”, svelare didascalicamente (anche in senso letterale, cioè attraverso didascalie) gli accadimenti e mostrare la natura illusoria della finzione filmica; lo spettatore non deve essere coinvolto nella vicenda: mai guardare in macchina, come fa un grandissimo Christian Bale!
Noi italiani, all’epoca della guerra della “coalizione dei volenterosi”, ci siamo sempre fregiati di essere più “sgamati” degli Americani: sebbene partecipi in questa guerra “preventiva” nessuno all’epoca ha maicreduto che il conflitto fosse indirizzata alla liberazione dell’IRAQ dal dittatore Saddam che supportava i terroristi e aveva armi di distruzione di massa e, da subito, abbiamo immaginato migliaia di morti civili e la spartizione dei pozzi di petrolio tra le compagnie USA. Avremo bisogno di 20 anni e di un altro Vice per smascherare demagogia e finzioni della politica attuale?
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Carlo Caspani
Mercoledì sera
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Cinema pamphlettistico e doverosamente schierato quello di mcKay. Il suo Vice (vice president, ma anche Vizio di fondo della politica globale) è un Christian Bale bravissimo e letteralmente senza cuore (lo scopriamo alla fine, che a narrare la vicenda è appunto il "cuore di scorta", la seconda chance, il simbolo di immortalità). Il film si chiude e riparte due, tre volte, con un "codino" esplicativo finale che in realtà non spiega nulla che già non sappiamo: la programmatica negatività di Cheney non acquista mai la grandiosità del Male da combattere, quanto piuttosto la banalità a rischio di simpatia di un sistema che sembra avere addormentato cuori e cervelli, per chi li ha ancora.=
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Marco massara
Fuori classifica
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Dopo “ la grande scommessa” la fascinazione del cinema di Adam mcKay continua con una maggiore leggibilità in questo film sempre a cavallo tra il docu-film, il film di denuncia e una spudorata commedia. La seconda ipotesi è sicuramente quella a cui lo spettatore sembra credere con più convinzione, ma il regista è abile ad insinuare il dubbio di un clamoroso bluff. Non a caso quando ho visto il film precedente mi sono detto “Non ci sto capendo un tubo, ma mi piace un mondo!”
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