Titolo

Tre volti

 

da domenica 12 a mercoledì 15 gennaio 2020

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TRE VOLTI

REGIA DI JAFAR PANAHI

 

 

una ragazzina iraniana vuole scappare dalla sua famiglia conservatrice e decide di mandare un video di richiesta d’aiuto a una celebre attrice, la quale si rivolge al suo amico Jafar Panahi, chiedendogli aiuto. Insieme, percorreranno un viaggio alla ricerca di questa ragazzina, immergendosi nella tradizione ancestrale del loro Paese.

 

 

 

 

 

Marco Massara

Domenica pomeriggio

 

 

 

In perfetta sintonia con le proteste nelle strade di Teheran lo schermo del Bazin si illumina con l’ultimo film di Jafar Panahi. I tre volti sono quelli del passato pre-rivoluzione Komeinista, che non si fa vedere ma sogna attraverso la pittura, l’energia al presente di  Behnaz Jafari  con la sua voglia di sapere e di cambiare con la mediazione ed il futuro di   Marziyeh   con la probabile realizzazione del suo sogno di attrice. Un cinema estremo, urlato al punto giusto e concluso con un omaggio a Kiorastami  ed al suo indimenticabile ‘Sotto gli ulivi”.

 

 

 

 

Giulio Martini

Domenica sera

 

 

 

 

aguzzando l'ingegno per sfruttare le più efficaci variabili di ripresa e montaggio,il regista (agli arresti domiciliari) offre una nuova lezione di come il cinema possa raccontare -pur con mezzi modesti e tra mille restrizioni - i nuclei fondamentali di una cultura,di una mentalità e di una situazione politica. Va  ben al di là del documentario, perché conserva  la natura discorsiva e affabulatoria della fiction, anche se ridotta ai minimi termini. E senza alzare la voce, anzi insinuando un po' di auto-ironia professionale, Panahi  questa volta mostra in particolare l 'ambiguo e potente ruolo dei mass media in un Paese, il suo, di aspre  tensioni tra le tenaci idee ancestrali  e il fascino irresistibile e legittimo del libero cambiamento.

 

 

 

 

 

Giorgio Brambilla

 

Lunedì sera

 

 

 

 

 

Panahi in questo film, realizzato nonostante la proibizione dei tribunali iraniani, non rinuncia a dire la sua su vari temi che gli stanno a cuore: la natura del cinema, capace di riprodurre la realtà creandone una parallela, nella quale lo spettatore viene subito invitato a calarsi, standone al contempo fuori, in un gioco spiazzante  e ironico insieme; quello iraniano e la sua storia, le cui epoche sono incarnate dalle tre attrici (i tre volti del titolo), che rappresentano anche l’essenza stessa della settima arte, come si comprende nella bella sequenza nella quale l’oscurità cala improvvisamente (effetto notte!) e le loro ombre danzano accompagnate dalla musica sullo sfondo di un telo bianco illuminato in un ambiente totalmente buio; il rapporto tra il mondo femminile, misconosciuto ma solidale al proprio interno, e quello maschile, opprimente ma ridimensionato da alcuni elementi fortemente simbolici, come la storia del toro e quella del prepuzio. Un testo semplice a un primo sguardo, ma in effetti leggibile a più livelli, drammatico e lieve insieme, realistico e simbolico, portatore alla fine di una certa dose di speranza, per quanto possa essere realistica nell’Iran di oggi

 

 

 

Angelo Sabbadini

Martedì sera

 

 

Sono i desolati villaggi del nord ovest dell’Iran, frequentati dagli Azeri, i luoghi in cui il regista Panahi conduce il suo sguardo curioso e riflessivo. Qui sono vissuti i suoi genitori e qui è possibile riproporre la lezione cinematografica del suo maestro Kiarostami. L’esito visivo è di una particolare levità, nonostante le vicende drammatiche delle sue eroine femminili. A vincere è ancora una volta il cinema di Panahi, cineasta fantasma, con la sua straordinaria efficacia visiva

 

 

 

 

Guglielmina Morelli

Mercoledì pomeriggio

Forse questo ultimo non è il miglior Panahi, forse non è neppure stato girato nella più assoluta clandestinità con la piccola macchina da presa digitale nascosta nel pacchetto di sigarette come vuole la vulgata (qui c’è un direttore della fotografia e un ampio cast) ma che bello è Tre volti. Con che garbata simpatia Panahi gioca con le contraddizioni che mette in campo: la ragazzina non deve fare film ma l’attrice di televisione è famosa e conosciuta da tutti; non c’è medico ma tutti hanno una parabolica; i veri maschi sono un vecchio attore ormai dimenticato e un toro male in arnese; il cinema dovrebbe essere verità ma lo smartphone iniziale filma una menzogna. Nonostante il sottofondo amaro della reale difficoltà nel fare film, nonostante l’allusione all’esilio e alla emarginazione cui sono sottoposti cineasti di “prima della rivoluzione”, nonostante i riferimenti ad una mentalità violenta e misogina (chi rappresenta, se non un pasdaran, l’ottuso fratello della giovane aspirante attrice?), traspare uno sconfinato, rispettoso amore per le persone, per la loro semplicità, ospitalità o bizzarria, per i paesaggi, per il trascolorare della luce del giorno, per gli animali. E, soprattutto, l’amore per il racconto (persino nella forma tutta orientale del teatro delle ombre) che si snoda lento e pone al centro lo spettatore senza frastornarlo, richiedendogli attenzione e sensibilità.

 

 

 

Carlo Caspani

Mercoledì sera

 

 

 

Tre volti di donne, ma ne vediamo solo due, il terzo ci viene negato, suggerito solo da una poesia e da un quadro a olio finale. Cinema apparentemente povero, ma curatissimo quello di Panhai, minimale nei mezzi ma ricchissimo nel senso e nel contenuto. Riflette sull'apparenza e la realtà, sui media apparentemente alla portata di tutti, sulla finzione, sul ruolo dell'arte e dell'attore, in cinema o in tv: qualcuno che "aiuti", che "risolva" e non si limiti a comparire. A patto che a essere attori, diversi, poco graditi e perbene, siano gli altri, fuori dal paese, dalla valle, dalla famiglia... Tra miti stantii di virilità superstiziosa e desiderio di rivalsa e di cambiamento, Panhai prova a fare da semplice testimone del tempo e delle cose, ma è finzione. Si capisce bene da che parte sta, e perché c'è bisogno di donne come le sue attrici per riavviare il mondo, per andare oltre le curve della strada, per riportare avanti l'orologio della Storia