Titolo

Cold war

 

da domenica 1 a mercoledì 4 dicembre 2019

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COLD WAR

REGIA DI P. Pawlikowski

 

Cold Warè un film che si svolge lungo l’arco di circa 15 anni, dal 1949 al 1964, ovvero il periodo in cui inizia la Guerra Fredda. Il regista, però, ha deciso di soffermarsi solo sui punti focali del periodo, lasciando allo spettatore delle schermate nere con piccole spiegazioni per il resto al fine di non creare il binomio convenzionale di causa-effetto dati i temi trattati. L’effetto è la casualità negli incontri e nei destini dei due amanti protagonisti della storia e si riflette sulla struttura stessa del film che lo spettatore è tenuto a “rimettere a posto”. Il film, così come Ida, si svolge interamente in bianco e nero e non è stata una scelta casuale poiché inizialmente il film doveva essere a colori ma al regista risultava difficile trovare le giuste gradazioni di colore adatte al film e ai luoghi in cui si svolge.

Cold Warè quindi una storia d’amore tra due persone che provengono da ambienti diversi e il loro rapporto risulta essere sempre complicato e si separano più è più volte a causa della guerra.

 

 

 

 

 

Giulio Martini

Domenica pomeriggio

 

 

 

Con una scelta stilistica accurata, fatta di sfumature di grigi, bianchi e andate a nero, di dialoghi  sincopati e densissimi, di inquadrature sorvegliate e dense, di musiche capaci di integrare il racconto, il film celebra l'eterno mistero dell'innamoramento assoluto.

In precario equilibrio tra religiosità  e libera sensualità, la storia riconferma  l' autenticità di fondo delle storie melodrammatiche, ma ne riscatta la tragicità e il fatalismo  sublimando il tutto nella lotta ideale tra sentimenti limpidissimi e impedimenti politici o sociali .L 'ambiguo finale, contraddittorio  e indecifrabile, è il trionfo di un percorso  allo stesso tempo meraviglioso e quanto mai inverosimile, dove la ricerca della relazione totale con l'amato coincide con il reciproco annullamento.

 

 

 

 

 

Giulio Martini

Domenica sera

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giorgio Brambilla

 

Lunedì sera

 

 

 

 

 

Pawlikowski con un bianco e nero pregevole nel suo formato 1:1,33 ci racconta una storia che, senza effetti speciali, usa le diverse componenti del linguaggio cinematografico per comunicare in modo penetrante, ma mai urlato. Il sapiente uso di movimenti di macchina, di superfici riflettenti che ci mostrano gli eccellenti protagonisti e ciò che vedono, dell’inquadratura armonicamente costruita o frammentata a ingabbiare i personaggi e del fuoricampo, unito alle ellissi temporali, alla simbolicità dei luoghi scelti e dei diversi generi musicali che incontriamo, ci racconta la storia di due persone che si amano tanto appassionatamente che gli anni per loro sembrano non contare eppure non riescono a stare insieme, facendoci percepire fisicamente la distanza incolmabile che li separa, fino all’allusione ad un luogo assolutamente Altro del finale. Nulla è lasciato al caso, tutto ci parla senza che ce ne accorgiamo. Un film davvero notevole, elegantissimo nella sua essenzialità

 

 

 

Angelo Sabbadini

Martedì sera

 

 

 

Amor fou e guerra fredda: il binomio del bravo Pawel Pawlikowski funziona alla perfezione e conferma in pieno l’apprezzamento del Bazin nei confronti del regista polacco avvenuto qualche anno fa con il precedente film Ida. Funziona perfettamente il confronto tra chi sperimenta il fallimento di sé esule e chi invece non riesce ad identificarsi e a riconoscersi senza le proprie radici, anche se ha accanto l’uomo della propria vita. Suggestivo il nitore del bianco e nero

 

 

 

 

Guglielmina Morelli

Mercoledì pomeriggio

 

 

"Non saprei raccontare una storia d'amore così al giorno d'oggi, l'amore è troppo distratto da immagini e suoni tutto intorno, l'epoca della cortina di ferro mi sembrava il giusto ambiente per questo coppia tormentata perché all'epoca c'erano molti ostacoli e l'amore è tutto una questione di superare ostacoli. Era un'epoca più drammatica e i sentimenti erano più profondi". Non sempre le dichiarazioni degli artisti offrono le chiavi di lettura più veritiere delle loro opere, ma in questo caso mi pare interessante proporre questa considerazione di Pawel Pawlikowski (forse solo perché soddisfa la lettura che ho dato di Cold war). Film complesso, dove infiniti sono i livelli di lettura (film religioso, il reiterato tema del peccato e del tradimento e, sulla scorta di Tarkowsij, il matrimonio nella chiesa diruta sotto lo sguardo di una icona bizantineggiante; film politico, cui alluderebbero il titolo e la greve atmosfera della Polonia dell’immediato dopoguerra; film sottilmente sociologico nella definizione delle classi e dei comportamenti sociali; film musicale: si può seguire la trama anche solo considerando l’evolvere delle musiche; puro melodramma, come alluderebbe il finale centrato sul romanticissimo tema di amore e morte; etc). Ma non è solo questa pluralità di letture a rendere Cold war un film intensissimo: giusti sono i protagonisti, affascinanti, con quel tanto di inespresso, inquietante e provocatorio (lei soprattutto, splendida attrice per dar vita a un personaggio di donna energica e libera, forse per questo perennemente fuori posto, all’Est come all’Ovest); espressivi sono quei paesaggi innevati, percorsi da piccoli autocarri; esatte le musiche, secondo i luoghi e i tempi (dalla canzone popolare a Celentano, che era davvero un must nei paesi dell’Est). Ma non è neppure questo: è il bianco e nero che, impedendo ogni immedesimazione ed effetto realistico, ci catapulta nell’altrove del tempo e dello spazio; sono le nere schermate del montaggio che ci costringono a immaginare ciò che non vediamo. Ma la cosa più straordinaria è l’azzardo di raccontare una storia come non se ne possono più raccontare; dove i due protagonisti si amano così tanto da non poter vivere né insieme né separati, né nella patria comunista né nella Parigi bohemien, né ballando danze popolari né immaginando passi scatenati per il rock “aroud the clock”. Un amore così totalizzante che sussume ogni altro tema, lo piega al proprio intento e lo cannibalizza. Un incanto per gli occhi, per la mente, per il cuore: la intensa verità delle immagini e la meraviglia della recitazione sono gli unici effetti speciali che ci piace vedere al cinema.

 

 

 

 

Carlo Caspani

Mercoledì sera

 

 

 

Una Guerra Fredda della Storia che si riverbera sulla guerra, fredda nei modi ma non nelle passioni, tra Wiktor e Zula, scandito da una canzone finto-popolare che parla di quattro occhi, due cuori e cambia ritmo, stile e lingua ma rimane uguale a se stessa. Come il sentimento ed il desiderio contrastati, ondivaghi eppure saldi dei protagonisti in un film pieno di ellissi e stacchi a nero, in b/n e formato 4/3  stilisticamente "necessari", zeppo di omaggi al cinema est-europeo e francese anni 50-60. Come ha commentato uno spettatore, non occorre un film lungo per contenere così tanto: forse i 90 minuti più ricchi e intensi di questa stagione al Bazin     

marco massara

(fuori classifica)

Amour fou’ con musiche.

Il pregio del film è quello di rendere sempre lo spettatore  consapevole della tragicità della vicenda, ma nel saperla diluire con equilibrio, intensità ed eleganza nelle forme di un melodramma mai urlato e che non cade nella trappola di un registro strappacuori.

Storia di un amore forte ed ‘impossibile’ dove la storia di Zula e Viktor fa i conti con la Storia (da cui il titolo); un amore fatto di attrazioni e repulsioni che il bianconero (strutturalmente basato su una contrapposizione di luci ed ombre) sottolinea ed esprime al meglio.

Come scriveva Truffaut nella chiusa de “La signora della porta accanto”: “Né con te, né senza di te”