Titolo

Bohemian Rhapsody

 

da domenica 19 a venerdì 24 maggio 2019

 

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BOHEMIAN  RHAPSODY

regia di Brian  Singer

 

 

Un genere che segue uno schema obbligato: l'infanzia modesta, il trauma fondante, l'ascensione con prezzo annesso da pagare quasi sempre con una tossicodipendenza, la caduta, la redenzione a cui segue qualche volta la malattia e la morte. Insomma visto uno, visti tutti. Ma a questo giro di basso 'immortale' era lecito aspettarsi di più. Invece in Bohemian Rhapsody, proprio come in Ray o in Quando l'amore brucia l'anima - Walk the Line, l'originalità non è in gioco. Quello che conta è la ricostruzione pedissequa e la performance emulativa degli attori.

Dal premio assegnato a Jamie Foxx poi (Ray), il biopic è diventato un 'apriti sesamo' per gli Oscar. La somiglianza somatica e il mimetismo dei gesti cruciali. Lo sa bene Rami Malek assoldato per una missione praticamente impossibile: reincarnare l'assoluto, quel mostro di carisma e virtuosità che era Freddie Mercury. Pianista, chitarrista, compositore, tenore lirico, designer, atleta, artista capace di tutti i record (di vendita), praticamente uomo-orchestra in grado di creare e di crearsi. Un demiurgo che in scena non temeva rivali, che mordeva la vita, aveva la follia dei grandi e volava alto, lontano.

Le buone intenzioni e l'impegno pur rigoroso e lodevole dell'attore americano si schiantano rovinosamente contro il mito e una protesi dentale ingombrante che lo precede di una spanna ovunque vada. Non c'è rifugio in cui Malek possa fuggire o ripiegare. Con buona pace di Hollywood e di Baudrillard, l'aura di Freddie Mercury non conosce declino e schianta il suo simulacro.

 

 

 

 

 

 

Giulio Martini

Domenica pomeriggio

 

 

la musica è trascinante, le riprese spettacolari, la "mimesis" del
protagonista notevole.  Ma la storia è un puro panegirico del
protagonista, genio maledetto di una specie artistica vista tante volte ormai troppe volte nella storiografia estetica da un paio di secoli a  questa parte. Provocazioni continue,  mix di generi sonori e  sessuali ,esotismo ed esoterismo e tutto quanto fa spettacolo in un film che, tra qualche tempo, svelerà  i suoi  limiti ( ad esempio nella sceneggiatura conciliatoria e largamente acritica) rispetto a 
pellicole  meno indulgenti e più originali  su altri miti del rock. 
Però l'insieme scivola via rapido e - chiudendo gli occhi su qualche
scena un pò  banalotta - si arriva velocemente al super- Concerto
finale, molto suggestivo.

 

 

 

 

Roland Longobardi

Domenica sera

 

 

 

Usciamo dal primo fraintendimento dicendo come questo lungometraggio di Singer non è e non vuole essere un film biografico. Basta comprendere la sequenza con la quale vengono proposti i brani, funzionali quanto non mai al racconto.

Tutto ruota intorno a questa canzone che è la sintesi di più stili, e dunque di più anime, così come diverse sono le anime dalla band. Un film che oscilla tra realtà e immaginazione perché questo è quello che il pubblico vuole, al punto da aumentare anche le donazione al live aid.
Strepitosa davvero la performance (termine abusato anche nel film) di Malik.

 

 

 

Angelo Sabbadini

Martedì sera

 

 

Per carità non cadete nella tentazione di guardare Bohemian Rapsody: è un film da ascoltare e basta. Da un punto di vista cinematografico è poca cosa: sceneggiatura modesta, ricostruzione discutibile, regia multipla anonima e appiattita su stereotipi corrivi. E poi l'attore protagonista, Rami Malek che tenta l’impossibile: evocare l'anima controversa e le fattezze di Freddie Mercury. Ma il Biopic musicale sbanca: da Cannes arriva il monumento in vita per Elton John. Ottimo ! A patto di ascoltare e tenere gli occhi ben chiusi.

 

 

 

 

Carlo Caspani

Mercoledì sera

 

 

Bryan Singer è partito incendiario (i soliti sospetti, gran film d'azione/poliziesco con due marce in più) ed è finito pompiere tra supereroi con la X e serie televisive. Il suo biopic su Freddy Mercury e i Queen, che con altri sarebbe stato un onesto film ossequioso di regole e tempi del genere, ha però due marce in più: Rami Malek nella reincarnazione del protagonista, e loro, i Queen, con la loro musica e con quelle canzoni che hanno segnato e segnano il nostro tempo. Foot stomp movie, dicono gli americani: e in sala, a pestare i piedi a tempo e a cantare strofe c'erano diversi cinefili quueniani..

 

 

Giulio Martini

Giovedì  sera

 

 

 

 

 

 

 

 

Giorgio Brambilla

 

Venerdì sera

 

 

 

 

Bohemian Rhapsody, film di paternità incerta per i cambi di attori e alla regia, ha un formidabile asso nella manica: la musica dei Queen, capace di rendere interessante qualunque storia. L’ottima performance di Rami Malek aiuta pure a far perdonare le libertà che si prende nella ricostruzione degli eventi. D’altronde si sa che il cinema ha la vocazione sia di fabbrica di sogni che di fedele ricostruttore della realtà e, quando si tratta di narrare la storia di un gruppo e un performer entrati nel mito, la tentazione di farne una bella favola è comprensibilmente troppo forte, soprattutto se i produttori sono i protagonisti stessi. Tuttavia il fatto che il villain della storia, il giuda che tradisce il “povero” Freddy, sia disegnato in modo alquanto grossolano, rende tutto il racconto superficiale, così come il buonismo moralista che pervade l’intera pellicola, conferendole un effetto deja vu. Per fortuna la riscattano parzialmente alcuni momenti di grande entertainment, come il rifacimento meticoloso dell’esibizione al Live Aid e, più in generale, la capacità di rendere il rapporto assolutamente empatico della band, e di Mercury in particolare, con il proprio pubblico