Titolo

Tuttti lo sanno

 

da domenica 12 a venerdì 17 maggio 2019

vai ai commenti degli animatori

vai ai commenti del pubblico

 

                 

TUTTI  LO  SANNO

regia di Asghar Farhadi

 

 

Film nero bagnato da un sole brillante, Everybody Knows gravita intorno a una relazione privilegiata, consumata in un passato nemmeno troppo lontano. Un sentimento che cova ancora il fuoco, due iniziali incise sul muro di un campanile da due adolescenti persuasi di aver trovato l'amore. Se il campanile è quello hitchcockiano (La donna che visse due volte), che evoca un romanticismo indissociabile dal crimine, la relazione mai finita è quella tra Paco e Laura. Amici d'infanzia che sono stati innamorati, che sono stati una coppia, che sono adesso il ricordo ardente di amplessi spezzati.

Precipitati di drammi intimi, i film di Farhadi (di)mostrano come un evento imprevisto possa rivelare a ciascuno le proprie debolezze, e come, in quella circostanza, i non detti, i segreti troppo a lungo custoditi disorientino fino a sconvolgere le relazioni. Nei suoi racconti morali tutti hanno torto e allo stesso tempo ragione. Ciascuno giudica sulla base dei propri criteri personali gettando sul mondo e sull'altro uno sguardo che resta parziale, soggettivo, ridotto.

Everybody Knows osserva dall'alto di un campanile e di un drone una cascata di menzogne e di piccoli accomodamenti morali, trasformando un décor a cielo aperto in un labirinto angosciante. Nella Spagna rurale e nelle vigne contese tra transazioni sentimentali, giuridiche ed economiche, l'autore dispiega una suspense che indugia su un'importante somma di denaro che deve essere raccolta in poche ore.

 

 

 

 

 

Marco Massara

Domenica pomeriggio

 

Lo sbarco spagnolo di Farhadi avvicina il suo cinema alle nostre abitudini visive e di messa in scena, elimina l’alibi della ‘distanza’ culturale nella lettura del testo e sicuramente ci priva della fascinazione dei registri della ambientazione iraniana.

Ma se la regia diventa decisamente convenzionale è la sceneggiatura che invece sorprende; ogni scena, come recitano le buone   regole, “spinge avanti la storia” senza tentennamenti o ripetizioni. Ed il raccordo tra una sequenza e l’altra non è affidato alle classiche dissolvenze in nero o incrociate, ma a trasferimenti in auto riprese in soggettiva ed in oggettiva, in modo da sostenere con efficacia il ritmo del racconto.

Eccellenti gli attori, dalla Cruz , che ha la  parte più facile, a Bardem e Darin  che recitano con una efficacia esemplare.

 

 

 

 

 

Giulio Martini

Domenica sera

 

 

 

Intrighi, silenzi, regole segrete, cospirazioni, tabù' culturali , un misticismo inoperoso,assenze e scomparse incomprensibili : tutti lo sanno che questi sono gli argomenti tipici e  topici del nostro Regista. Ma  forse non tutti  gli spettatori convengono sul fatto ( e lui stesso non lo ha ancora realizzato in pieno... ) che  una storia  cambia  moltissimo se collocata in ambiti culturali diversi. Perché comportamenti all'apparenza simili sottendono invece - mutando  l'antropologia - rinvii a convinzioni, abitudini mentali e valori differenti.  Farhadi  si salva ,ma a fatica, da questa trappola che il cinema "globale" ha  vissuto  spesso, quando  le produzioni non  capiscono  che  cambiando l'ordine dei fattori emotivi e mentali  il "prodotto"- rispetto alla  matematica- non può più essere lo stesso.  Tuttavia il l film regge per la sua  evidente quota di apporto autoriale e se si rinuncia  a  leggerlo secondo i generi in voga. Perché non è un thriller, non è giallo, non è un neppure melodramma. Cos'è ? Come dicono le immagini simboliche di inizio/fine, si tratta  della rinnovata riflessione  del regista iraniano sull'ingabbiamento delle storie individuali, che ad un certo punto   del loro  sviluppo  svelano sempre  una  clamorosa carenza, un bubbone che le  fa  esplodere  sul  ruvido palcoscenico sociale. Anche se poi ci si affretta a mimetizzarle, cancellarle, facendo finta di niente  e/o nasconderle, detergendole con una sbrigativa pulizia superficiale, che ogni cultura si inventa a modo suo. 

 

 

 

Angelo Sabbadini

Martedì sera

 

 

Gli snodi del cinema di Farhadi ci sono tutti ma il contesto è completamente nuovo: siamo in Spagna. L'Iran è lontano e il grande regista sembra annacquare la sua poetica ad uso e consumo della famiglia Bardem. "Questo è il regista del Cliente !?!" commenta incredulo uno storico frequentatore del Bazin. E non sbaglia di molto perchè il film sembra girato da un epigono e le coinvolgenti geometrie dei film precedente  un pallido ricordo. Irriconoscibile. 

 

 

 

 

Carlo Caspani

Mercoledì sera

 

giallo

Ashgar Fahradi lascia per la seconda volta il suo paese e gira all'estero, ma la trasferta spagnola non gli giova. Nonostante attori e comprimari prestigiosi, la trama complessa e centrata sugli argomenti presenti in tutta la sua produzione (drammi e segreti di famiglia, interessi e rancori mai sopiti, passioni soffocate...) il film  risulta inferiore a quelli girati "a casa". Sarà per la mancanza di quel distacco che rende più efficace la narrazione (c'è una ventina di minuti di troppo, dice il pubblico, e ha ragione), l'occhio "turistico" e alcuni momenti più adatti a una telenovela che a un film di questo livello di ambizione, ma alla fine resta un po' di delusione e un finale affrettato e intuibile in rapporto allo svolgimento generale della vicenda

 

 

Rolando Longobardi

Giovedì  sera

 

 

La vera domanda è: per quale motivo un regista iraniano che ha fatto della visione politica e territoriale un tratto caratteristico del suo cinema, sia quando si tratti di questioni nazionali (una separazione ) che internazionali (il passato), ha deciso di girare un film in Spagna, con attori spagnoli o latino americani?

Questo NESSUNO LO SA. Insomma, un film decisamente sotto tono vista la capaicità che Farhadi ha mostrato più volte di raccontare delle storie legate a contesti esietnziali e sociali quali la famiglia, dinamiche sulla rottura dei rapporti, relazioni interne ad una comuntà ipocrita quando individialista e crudele quando comunitaria.

tutto questo compare nel film ma in modo confuso, anzi peggio, trasposto in un territorio, in una lingua, persino in una luce e fotografia che non lo rappresenta. Il tutto diventa una telenovela dove anche gli attori, pur bravi, se diretti meglio avrebbero potuto esserlo di più: e questo lo sanno tutti. 

 

 

 

 

 

 

Giorgio Brambilla

 

Venerdì sera

 

verdino

 

 

Hitchcock nella celeberrima intervista rilasciata a François Truffaut spiegava che in un giallo il MacGuffin è il pretesto, talora inconsistente, che viene usato per far sviluppare una storia. Nel film di Asghar Farhadi si potrebbe dire che l’intera trama gialla sia il debole MacGuffin che egli usa per fare quello che sa fare meglio, mettere a nudo l’umanità dei suoi personaggi. Non si tratta necessariamente di segreti dei quali si vergognano, ma piuttosto di convinzioni imbarazzanti. Questo era chiarissimo in About Elly, nel quale un gruppo di iraniani teoricamente laici e aperti dimenticavano che la giovane del titolo era morta per salvare i loro figli, giudicandola soltanto perché voleva incontrare un uomo nonostante fosse fidanzata. In quest’ultima opera girata in Spagna, “fuori casa”, il meccanismo funziona un po’ meno bene, ma il risultato è comunque un film interessante, capace di affondare il bisturi nel cuore umano e di gettare su famiglia apparentemente normale quella stessa luce che, nella prima inquadratura filtrava nella torre campanaria, dove era incisa la traccia dell’amore che fa da sfondo a tutta la vicenda, e che nell’ultima mostra quanto la verità possa essere disturbante