Titolo

Dolor y Gloria

 

 

da domenica 6  a  venerdì 12 novembre 2021

vai ai commenti degli animatori

vai ai commenti del pubblico

                  

DOLOR  Y  GLORIA

regia diPedro Aldomovar

 

 

 

Se nella filmografia di Pedro Almodóvar cinema e vita, cinema e autobiografia stanno costantemente legati stretti uno all’altro, per Dolor y gloria tale connubio diventa il principale ed effettivo fulcro narrativo, e l’immersione in se stessi, per ammissione dell’autore medesimo, è pressoché totale (..) In questo suo nuovo film si respira immediatamente un’aria di estrema   sincerità, un cuore pulsante di raccoglimento nel sé e di confronto col proprio passato, ivi compreso il lavoro, gli affetti più importanti, le figure che hanno costituito passaggi simbolici nella costruzione della propria identità. Almodóvar ha dichiarato che il film corrisponde alla verità dei fatti della sua vita per il 40%, ma non è questo il punto. Ché se si trattasse di una pura e semplice trascrizione di un’esistenza saremmo lontani da qualsiasi forma di rielaborazione creativa. Il Salvador Mallo protagonista del film, regista attempato e afflitto da una miriade di problemi di salute, sfiatato nell’ispirazione e abbandonato a una dimessa depressione, è impersonato da un sorprendente e strafatto Antonio Banderas, tutto di accenti trattenuti e sottintesi, divertito nel ricordare Almodóvar pure nella scomposta capigliatura. Eppure in questo gioco di specchi tra autore e attore l’esperienza intima di un regista fittizio evoca uno scenario di bilancio di vita che si allarga a macchia d’olio a ricomprendere gli universali umani quesiti che ciascuno si pone,  specialmente se giunto a un’età importante: il valore della propria vita, di ciò che lasciamo in tracce di noi, quanto si è stati capaci di rispettare gli affetti senza rimanervi imprigionati, libertà e individuo, e lo spettro della morte che continuamente rende vacua e futile qualsiasi nostra azione. (…) Le follie iconoclaste degli esordi hanno dato luogo a un graduale prosciugamento espressivo che tuttavia vede il pop e il barocchismo conservarsi pienamente nell’assunzione di altre forme (…) Stavolta il gioco sui colori primari si trasforma in sperimentazione visiva con reminiscenze di arte contemporanea, e la tendenza estetizzante si tramuta in squisita autoriflessione a scatole cinesi metanarrative (un’altra costante almodovariana) che però non perde mai di vista la sincerità dell’ispirazione. Sta proprio qui la sfida più grande del film: condurre un’intima riflessione su vita e arte che si mantenga viva, sincera e pulsante all’interno di un racconto consapevolmente avvitato dentro ai labirinti dell’artificio. È la riflessione più pregnante: quanto può rimanere di noi, del nostro vissuto, nel momento in cui ci apprestiamo a renderlo materia di racconto? Quel che nasce come rielaborazione/confessione quanto sconta, quanto perde nell’inevitabile formalizzazione alla quale va incontro? (..) L’esordio del film è una piena dichiarazione: Salvador è inquadrato in una vasca di piscina, fluttuante come nel liquido amniotico, proiettato in una sorta di seconda nascita che è quella della presa di coscienza di sé, del proprio vissuto e del peso specifico della propria esistenza. Nel vorticare delle memorie la madre ricopre il ruolo principale, archetipo esistenziale al quale risalire per fare probabilmente pace col dolore di vivere. (…) Se dunque l’esistenza dell’uomo costeggia sempre l’evanescenza, anche il corpo è un inganno e la certezza della sua fisicità non fa che testimoniare il suo stesso corrompersi momento dopo momento. L’uomo     almodovariano di Dolor y gloria è questo, accompagnato dalla costante predestinazione al nulla, sospeso in una statica dimensione di tormentosa inattività dove il passato e il presente, la realtà e il ricordo convivono sullo stesso piano fuori dal tempo. L’urgenza dell’arte resta un impulso al quale ritornare sempre, nella serena constatazione di un eterno crepuscolo, che forse si avvia nell’attimo stesso in cui la realtà e la coscienza di sé ci invadono violentemente strappandoci all’innocenza dell’infanzia fino a farci svenire.

 (Massimiliano Schiavoni, da cinelapsus.com, 18 Maggio 2019)

 

 

 

 

 

 

 

Marco Massara

Domenica pomeriggio

 

 

 

Esemplare percorso di rinascita (la piscina/liquido amniotico), di guarigione (la ferita rimarginata nella stessa inquadratura) e di redenzione.

Tutto attraverso la riconquista della creatività, indotta attraverso i dolorosi incontri con il passato da cui però trarre spunto per la progressiva riconquista della voglia di scrivere, di ritornare al ‘premiero deseo’, il primo desiderio di trasmettere ad un pubblico il proprio carisma, di superare i dolori e pervenire alla ‘gloria’ attraverso la cura salvifica che il fare cinema sa dare.

Film di rara intensità di comunicazione e densità di segno, confermata attraverso il mantenimento di una scenografia e fotografia ricca dei colori ‘primari’ tipici del cinema di Almodovar che qui trasmettono energia e passione.

Con ‘Effetto notte’ una accoppiata straordinaria per raccontare la necessità e la gioia del fare cinema.

 

 

 

 

 

Giulio Martini

Domenica sera

 

 

 

 Auto-fiction sulla dipendenza dai desideri, specie infantili e più o meno oscuri ( cfr. Bunuel ) ostacolati da una mala education, cui si sente comunque legati,  e dal groviglio di odii e di amori che non bilanciano le mille sofferenze fisiche dell'età.

La carne, sempre tremula e sull'orlo di una crisi spirituale, è fonte inesauribile di emozioni e slanci estetici, ma la gloria cinematografica che ne deriva è effimera quanto lucida consolazione narcisistica.

Almodovar rischia la ripetizione, anche se qui si salva azzeccando gli attori che fanno i suoi personaggi senza tradirlo. 

Chissà se Almodovar sa che linventore dell'antidolorifica Aspirina ha inventato pure l'eroina...

 

 

 

 

 

 

Angelo Sabbadini

Lunedì sera

 

 

 

 

 

“Può esistere un film Almodovar senza lacrime?” si chiede una visionaria del Bazin. Bel quesito ... che Gloria y Dolor risolve affermativamente grazie a una storia dichiaratamente autobiografica a ciglio asciutto. Dove la narrazione procede sciolta senza particolari invenzioni e i diversi piani temporali si giustappongono con calibrato equilibrio. Il focus è tutto sul protagonista, la profondità di campo è quasi abolita e lo spazio  è magnificamente descritto in una costruzione formale dai vividi colori pop. Un film che interessa ma alla fine non avvince.

 

 

 

Carlo Caspani

Mercoledì  sera

 

 

Sì', va bene, il solito Almodovar, e meno male! Pittorico, mélo, ipocondriaco, teatrale, sofferente tra eroina e cocktail di farmaci "legali", spine in gola e ferite nel cuore, Salvador/Pedro si salva ricostruendo da regista, quindi artista, la propria storia di rimpianti e lutti affettivi da rimembrare e inseguire, ripartendo dal fondo che poi è il principio di un film circolare e vivissimo, altro che mortifero. Perché fare il cinema, andare al cinema, è vita, consolazione, medicamento, commozione, gloria dopo il dolore.

 

 

 

 

Giulio Martini

Giovedì sera

 

 

 

 

 

 

Giorgio Brambilla

Venerdì sera

 

 

 

Almodóvar costruisce un film sul modello di 8 e ½, ma centrato sulla propria crisi esistenziale piuttosto che creativa. Ci mette tutti i suoi temi tipici: dall’omosessualità al complesso rapporto con la madre, dall’educazione dai preti all’amore per il melodramma, trattati esplicitamente o attraverso citazioni cinematografiche (dal DVD  di Mamma Roma sulla scrivania alle immagini di Niagara). Utilizza pezzi del suo passato, come lo scritto La dipendenza, degli anni ’90, e due dei suoi attori simbolo, Antonio Banderas e Penelope Cruz. A partire dalla situazione di malessere fisico nella quale si trovava per un’operazione alla schiena e per cui andava spesso in piscina (così ha dichiarato) si immerge in se stesso e ci regala un film di fiction che è insieme una riflessione sulla propria esistenza dolorosa e gloriosa, contraddittoria e profondamente umana. Con quest’opera parla con noi spettatori con una sincerità esemplare e compie insieme un atto d’amore per il cinema, la cui realizzazione è concausa e sintomo di una ritrovata pace fisica e spirituale. Un testo assolutamente personale, nonostante sia distante anni luce dallo stile dell’enfant terrible che tanto amiamo