Titolo

il cittadino illustre

 

da domenica 13  a  venerdì 18 maggio 2018

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IL  CITTADINO  ILLUSTRE

regia di Gastón Duprat e Mariano Cohn

 

 

: “El ciudadano illustre è (..) una solidissima commedia grottesca che racconta la storia di Daniel Mantovani, premio Nobel per la letteratura, traferitosi da decenni in Europa ma nativo di un paesino della provincia argentina a settecento km dalla capitale. Daniel deve il suo successo proprio al racconto di quella realtà provinciale dalla quale ha sempre e soltanto sognato di fuggire ma nella quale, almeno con la sua arte, è sempre rimasto intrappolato. (…) Tutto in El ciudadano illustre è costruzione del dettaglio. La descrizione dei personaggi di contorno che gli compaiono nel sogno, per esempio, quelli incontrati solo per pochi istanti eppure indispensabili nella progressione della sceneggiatura, ma anche la precisione estrema con cui sono caratterizzati gli ambienti, le case, l’albergo (che, dice Daniel, lo fa sentire in un film rumeno). El ciudadano ilustre è, d’altronde, proprio un film su quello che sta intorno, sui dettagli, sui particolari, che quanto più sono specifici e descrivono il paesaggio umano e ambientale di contorno, tanto più delineano la solitudine del personaggio principale. Daniel è solo, ovunque alieno. Uno straniero in Europa, un gringo in Argentina. Sempre fedele a sé stesso, sempre estraneo alla situazione, che si tratti della cerimonia di attribuzione dei premi Nobel oppure della premiazione del concorso per pittori dilettanti del pueblo. Daniel è l’artista che osserva criticamente la realtà e la rielabora attraverso la narrazione tentando un esorcismo personale ma anche imponendo la propria posizione di intellettuale, quella che lo costringe alla solitudine, al conflitto, alla rinuncia di un’appartenenza confortevole perché di quella e da quella si alimenta. Così l’artista, il narratore, vive la condizione di apolide, creatore sospeso tra l’immaginazione e la verità, sempre intento a costruire una storia dietro ogni segno, ogni ferita, ogni cicatrice; che poi la storia sia vera o immaginata in fondo non conta nulla.”

(Chiara Borroni da cineforum.it)

matteo mazza

domenica pomeriggio

Storia semplice di un film, a suo modo, complesso, certamente ambizioso e graffiante. Il potere dà alla testa? Può darsi. Qui sembra che determini un cortocircuito e questo mi pare un ottimo tentativo di rappresentazione della creatività umana alle prese con le sue contraddizioni, i suoi limiti, i suoi poteri, appunto. Linee sghembe, fotografia cupa, sottrazione drammatica, finale cupo, comicità amara, simbolismo e poesia (il fenicottero in apertura e in chiusura...).

giorgio brambilla

domenica sera

 Duprat e Cohn costruiscono una commedia amarissima e autoriflessiva, che spiega che nell’arte non conta se si racconta la realtà o se sia tutto inventato, e nemmeno se l’autore sia moralmente inappuntabile o meno. Lo fanno con coerenza, non dando giudizi morali e non permettendo al pubblico di capire cosa sia veramente accaduto: il protagonista del libro “Il cittadino illustre”, quello ritratto nella parte centrale del film, tolti prologo ed epilogo, assomiglia o meno all’ipotetico premio nobel per la letteratura, Daniel Mantovani? E in che misura è semplicemente prodotto della fantasia dello scrittore? E quel segno sul petto, alla conferenza stampa finale, che cos’è? D’altronde il paradosso è già tutto nel discorso a Stoccolma: se si applaude, si accetta che il premiato sia artisticamente finito; se non lo si fa, lo si disconosce comunque. Grande intelligenza e coerenza, in un film che, nonostante tutto, riesce a parlare anche alla pancia dello spettatore, con scene tanto divertenti quanto capaci di mettere a disagio. Un risultato notevole, come apprezzabile era stato pure l’esordio dei due registi, “L’artista”   

angelo sabbadini

martedì sera

Dopo aver destabilizzato la TV argentina la premiata ditta Mariano Cohn & Gaston Duprat si diverte a costruire una commedia nera ad uso del cinema internazionale. Al festival di Venezia 2016 il film è piaciuto moltissimo e anche al Bazin i cortocircuiti narrativi dei due cineasti divertono e perturbano allo stesso modo. E poi l'ambigua vicenda del protagonista suscita interpretazioni e commenti. W il cinema argentino ! 

carlo caspani

mercoledì sera

Apologo dolceamaro, onirico e perfino un po' bergmaniano ma efficace sull'Argentina, il ruolo dell'autore, le trappole della memoria e delle radici di casa, e molto altro. A evitare che diventi indigesto come un asado kingsize o una testina d'agnello, l'illustre Oscar Martinez (nomen omen?)

rolando longobardi

giovedì sera

Come può rendersi immortale un autore? Passando dalla morte alla resurrezione mantenendo insegni del martirio. Sembra essere questa la strada scelta dai due registi argentini nel raccontare il ritorno a casa di Mantovani, premio Nobel per la letteratura. Il ritorno a casa non è senza conseguenze, ma per andare avanti bisogna a colte, tornare indietro. Così si fanno i conti con la propria ipocrisia prima di tutto.
Anche nello stile questo film procede tra contrasti (fotografia)  e colori (luce narurale e artificiale).
La storia regge anche con aspetti grotteschi e provinciali.
Un bravo Oscar Martinez è pienamente nella parte.

giulio martini

venerdì sera

Il  protagonista - dal nome Daniel -  non è profeta in patria e finisce nella  sua moderna fossa dei leoni, da cui si salva in zona Cesarini, grazie alla citazione della famosa massima "nicciana" nel secondo finale. Del resto il  gioco narrativo della brava coppia argentina ( soggettisti /sceneggiatori/ fotografi / produttori ... ) è dichiarato fin dall'inizio e poi ribadito nei tanti discorsi/commenti  che marcano  l'intera  esposizione : non ci sono fatti , ma  solamente interpretazioni.  E  dello "storytelling pubblico", cioè delle interpretazioni più autorevoli , oggi come oggi  è  socialmente e solennemente incaricato con tanto di Premi    ( un ruolo mai esistito in passato... ) il  Divo /Artista/Letterato.  A lui la gente comune - e gli spettatori al cinema - si rapporta  come al detentore di  un particolare potere. L'Artista tuttavia non deve contrastare  il  vissuto e l'immaginario di chi lo osanna e magari gli  ha pure fornito  il materiali di partenza dei suo  compito favolistico. Il film dunque è  lo sviluppo dei temi  già  presenti nel thriller "Misery non deve morire", qui amplificati in versione sociologica.  Ma è  abile nel condire un cinismo spietato  con sufficienti momenti grotteschi,  in modo da risultare  allo stesso tempo  acuto e ironico, crudele e godibile. Ne esce poi l'ennesimo ritratto di una terra del Sud America  ingolfata da  storie pazzesche, che piovono dal cielo, tramortita  e allo steso tempo ansiosa di trovare luce  negli occhi altrui.  Però non è solo dell'Argentina che si discute.  E' del mestiere del Regista/Artista  e del suo  complicato rapporto  con noi, figli del "mondo dello spettacolo", per cui non si  desiderano  altro che  lodi e ammirazione, consolazione e aiuto a sognare e  si rifiutano le nostre sciatterie se malauguratamente sono riflesse nei libri o sullo schermo.