matteo mazza
domenica pomeriggio
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Amelio penetra la natura umana col filtro delle relazioni e realizza un film malinconico sulla incapacità di comunicare. È un film sulla potenza della parola che può essere il ponte della salvezza umana. Napoli insolita, ambigua e contraddittoria ma in modo diverso rispetto alla consuetudine. |
giulio martini
domenica sera
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Amelio mette in scena le sue ossessione: il mancato
rapporto con il padre, l'abbandono improvviso di chi prima si amava e si doveva amare, l'incapacità di essere genitore,l'indecifrabilità delle emozioni profonde degli altri e, manomettendo una storia non sua , ci si specchia molto. Il coinvolgimento emotivo è garantito,la catarsi meno. I tanti "stranieri" del racconto finiranno con il toccarsi ? Dopo
tanti camminamenti in solitaria tra vicoli sporchi e corridoi d'ospedale chi farà la prima mossa non ruvida, non diffidente ? Chi si fremerà a lungo, accanto all'altro, per ascoltarlo ? Il film strazia e avvolge emotivamente, con attori bravissimi, ben diretti e assecondati dalla macchina da presa. Ma il "lieto fine" arriva a fatica. |
angelo sabbadini
martedì sera
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Ci vorrebbe sempre un posticino per Gianni Amelio nella programmazione del Bazin: “La tenerezza” è talmente coinvolgente da costringere i visionari del Bazin a fare le ore piccole. Ne vale però la pena davanti a un’opera di grande sensibilità, girata con maestria da parte di un regista abituato ad affrontare i grovigli famigliari. Gli attori, in stato di grazia, sono poi assolutamente funzionali allo sviluppo della storia che contamina intelligentemente il romanzo di Lorenzo Marone con le ossessioni di un regista di raro pregio. |
carlo caspani
mercoledì sera
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Titolo "ingannevole". Il film è tutto meno che tenero, tranne alcuni momenti fulminanti in cui protagonisti, tutti più o meno chiusi entro i loro limiti, tare e peccati precedenti, cercano un'apertura, un rifugio: la casa con due entrate, la "famiglia" sdoppiata e speculare del protagonista (Renato Carpentieri, magnifico). E poi follia, morte, sofferenza, paternità finta agli occhi del mondo e vera agli occhi del cuore, in attesa di un gesto, una mano stretta nel finale, uno squarcio attraverso cui la tenerezza, necessaria per comprendere, perdonare e amare possa entrare nel film, nella vita, nell'animo dello spettatore |
rolando longobardi
giovedì sera
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Tutto parte dal vuoto e dalle pareti che lo separano dal pieno. Amelio racconta una storia nella quale vuoto (casa, ospedale, spazi, sentimenti) e pareti (finestre, porte chiuse, vetri separatori di carcere e ospedali) dialogano tra loro per creare uno spazio altro: quello della relazione. Spazio nel quale è la vita a dettare i confini. In esso si sosta e si pensa a ciò che produce tenerezza: il ritorno.
La macchina da presa accompagna sempre in modo preciso e attento tanto i dialoghi quanto i movimenti. L'uso del fuori campo e della voce off sono il segno stilistico di una attenzione a non eccedere nei sentimenti e nel melodrammatico, ma al contrario diventano ulteriore motivo di lenta riflessione dal parte dello spettatore. Le parole che non sono state ancora dette (tradotte) sono quelle dei gesti e degli sguardi. Amelio ci regala così un film vero e delicato. riflessione sulla morte così come sulla vecchiaia, dove emerge come nessuna delle due è scontata.
Attori tutti perfettamente nel ruolo e credibili.
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giorgio brambilla
venerdì sera
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La tenerezza inizia in un’aula di tribunale, dove Giovanna Mezzogiorno è costretta a tradurre delle parole che sa essere false, e finisce con un sentimento autentico, espresso da lei che dà la mano a Carpentieri, silenziosamente, dopo una scena straniante ambientata nello stesso luogo, nella quale parla del padre, seduto nella gabbia degli imputati. C’è qui tutto il senso del film: il contrasto tra una parola chiara e apparentemente sensata, ma falsa, e un silenzio carico di verità, di umanità, di tenerezza, appunto. Lorenzo apparentemente rifiuta il contatto umano, ma in realtà lo cerca, con il nipote, con degli estranei, verso i quali non ha i sentimenti aggrovigliati come nei confronti dei propri figli. Elena fallisce quando cerca di prendersi cura del padre, di spiegarne le motivazioni, e arriva all’obiettivo quando si limita a stargli accanto, semplicemente. Questo è anche lo stile quello del film, un’opera d’altri tempi, che fa propria la lezione di Antonioni di un racconto assolutamente non didascalico, che non ci dà tutte le informazioni che desidereremmo, ma ci fa condividere un pezzo d’esistenza di personaggi che si sforzano di vivere con le loro contraddizioni e ci chiede di interpretarne liberamente i gesti, ma senza giudicarli, come l’avvocato protagonista, alter ego del regista. È grande cinema; non facile, ma proprio grande |