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Lion - la strada verso casa

 

da domenica 25  a  venerdì 30  marzo 2018

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LION - LA STRADA VERSO CASA

REGIA DII GARTH DAVIS

: Uscito un po’ in sordina, nonostante un cast di richiamo, considerato dai produttori un piccolo gioiello su cui scommettere e che all’improvviso, grazie al passaparola si è scoperto con 7 candidature all’Oscar (tra cui miglior film). “È una di quelle storie con cui è impossibile non creare commozione nelle persone a cui ne parli. È una storia incredibile, che fa venire a tutti i brividi. Si aggancia a qualcosa di primordiale in noi come esseri umani, il bisogno di trovare la propria origine e sapere chi siamo”, dice il produttore Emile Sherman nel pressbook. Il produttore Iain Canning segue: “È un’incredibile storia vera. Non appena ne siamo venuti a conoscenza, abbiamo subito capito che dovevamo cercare di ottenerla. Io ed Emile abbiamo letto le memorie di Saroo, storia che ha, senza ombra di dubbio, uno dei più incredibili finali”. Basato sul romanzo La lunga strada per tornare a casa di Saroo Brierley, Lion è diretto dal regista Garth Davis, alla sua prima prova per il cinema. Perché scegliere un regista al suo primo lungometraggio? Lo spiegano i produttori: “Abbiamo seguito il nostro istinto. Abbiamo sentito che Garth – nonostante non avesse ancora girato un lungometraggio – era proprio il regista perfetto per il film. Lui è incredibilmente cinematografico e in grado di creare un’opera di grande portata visiva. Allo stesso tempo, è altrettanto brillante con gli attori. Riesce a creare una grande intimità nel suo lavoro e noi volevamo essere sicuri che il risultato finale del film fosse vero e autentico (...) “Questo è un film sulla famiglia, su quei legami profondi che non si dissolvono mai, che sostengono le nostre vite. Garth questi legami li sente. È un regista che non ha paura delle emozioni. Accoglie le emozioni, ma lo fa in un modo che è autentico, nuovo e all’avanguardia. Ha anche un lato spirituale; nel film c’è il senso del destino. La storia parla di speranza e destino; noi sapevamo che Garth avrebbe tirato fuori questi temi in un modo che un altro regista non avrebbe reso in maniera altrettanto armonica.”

 

giulio martini

domenica pomeriggio

Argomento esistenziale come pochi. Prima parte ben
giostrata, con abile tecnica  da pubblicitario pluiri-premiato. Seconda
contorta, a tratti inverosimile nelle situazioni, nella psicologia 
nella risoluzione  "magica" del problema grazie a Google.  Esotismo 
controllato, spirito ospitale dell'Australia  non esagerato. Tanti 
totaloni  da drone svolazzante. Kidman  fuori parte. Ma l'effetto
complessivo sul pubblico c'è.

giulio martini

domenica sera

 

angelo sabbadini

martedì sera

Bravi i produttori Sherman e Canning a fiutare le potenzialità del libro di Saroo Brierley !!! Coraggiosi ad affidare la regia a un promettente debuttante come Garth Davis e a scegliere come coprotagonista del film il programma Google Earth. Il film è un lungo, emotivo campo e controcampo tra India e Australia. Un melodramma internazionale che funziona nella prima parte e perde tensione e tenuta nel capitolo australiano. Il più bravo tra Kidman e Patel è il piccolo Sunny Pawar che conquista l'uditorio del Bazin.

carlo caspani

mercoledì sera

Parte come un onesto racconto drammatico: vicende sopra le righe del più fortunato tra gli sfortunati orfanelli dell'India contemporanea, perso in un viaggio senza fine che lo allontana da casa, da mamma, dal fratello maggiore. Schiva pericoli, pedofili, fame, orfanotrofi, trova una fatina buona e una supermamma adottiva in lana Tasmanian col volto di Nicole Kidman, e a quel punto il film parte in picchiata. Bellezza da "réclame" degli attori, memorie affioranti e disagio mediati attraverso un fratello che le ha tutte (brutto geniale tossico disturbato...) portano il protagonista in un volo confuso sull'India attraverso lo sponsor tecnico Google Earth, fino a un lieto fine dolceamaro con titoli, sovrascritte, foto dei personaggi reali ("da una storia vera" come plusvalore...) che ci tolgono ogni dubbio: questo è un superpacco buonista, dove andrebbe invocata come aggravante di reato la credulità popolare, che è l'unico carburante di una siffatta nefandezza

roberta braccio

giovedì sera

Una storia eccezionale non fa necessariamente un film eccezionale, ma certamente Lion si fa ricordare (fatto non scontato). Se Lion ha dei limiti, soprattutto nello sforzo eccessivo di commuovere il pubblico con ogni possibile mezzo, ha anche la forza di sollevare una riflessione interessante sul tempo: se da bimbo/ aragazzo la vita è 'qui e ora', quando si comincia a cercare la propria strada e a costruire il proprio futuro, è necessario cercarsi e scoprirsi. Diventare genitori poi allunga improvvisamente il concetto di oggi ad un futuro di cui si è responsabili, e questo nel film esce molto bene.

rolando longobardi

venerdì sera

La scelta del quarantenne Davis di dividere il film in due segmenti ha il merito di saltare il contrasto tra quello che è e quella che sarebbe potuto essere la vita del giovane Saroo. Una separazione che viene risaldata sul finale dopo un continuo lavoro della e sulla memoria da parte del protagonista; lavoro che lo condurrà dall’immagine alla realtà e nuovamente verso casa.
Un film che gioca proprio sulla  relazione tra immagine e realtà lasciando che a prevalere siano queste ultime. Si pensi alla sequenza nella quale le parole ( in lingua indiana) lasciano spazio al suono e poi alla lingua dell’occidente, lingua della ragione e non del sentimento per poi ritornare, attraverso una corretta pronuncia del nome, alla lingua madre nel finale. Ecco scoperto il segreto del nome: Leone.