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Moonlight

 

da domenica 11  a  venerdì 16  marzo 2018

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MOONLIGHT

REGIA DI BARRY JENKINS

 

: Barry Jenkins nasce a Miami il 19 novembre del 1979. Tre premi Oscar, tra cui miglior film e miglior sceneggiatura non originale: la stagione dei premi è stata molto generosa con Barry Jenkins, ma gli Academy Awards hanno riservato ulteriori sorprese a questo cineasta emergente, soprattutto se consideriamo il colpo di scena della premiazione finale. Con simili premesse, Moonlight promette davvero di lanciare la sua carriera verso nuovi orizzonti. Vincitore del Golden Globe 2017 per il Miglior film drammatico, applaudito dalla critica di tutto il mondo, Moonlight racconta l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta di Chiron, un ragazzo di colore cresciuto nei sobborghi difficili di Miami, che cerca faticosamente di trovare il suo posto del mondo. Un film intimo e poetico sull’identità, la famiglia, l’amicizia e l’amore, animato dall’interpretazione corale di un meraviglioso cast di attori.

rolando longobardi

domenica pomeriggio

Si gioca tutto sul colore questo secondo lungometraggio del regista afroamericano Berry Jenkins. Sin dalle prime inquadrature si evince come il film vuole essere sensoriale, basato cioè sul sentire, vedere e infine toccare. Un modo intimo per raccontare la vita divisa in tre del protagonista che, come sotto ad una ogni vota diversa luce, prova a trovare la luminosità che gli si addice. In fondo se posti sotto la luce della luna, tutti i ragazzi neri sembrano blue. Una critica sociale forte all’america Bianca, dove il bianco però qui è solo quello della realtà candida e per questo poco reale.

giulio martini

domenica sera

quale brutta e doppia dannazione è essere neri e gay ! Questo primo(? )  film "all and only black"  fa sprofondare il protagonista in un' ulteriore difficoltà identitaria, mettendolo anche  al centro di  maltrattamenti ed incomprensioni familiari. Il  drammaturgo nero ne esce  impegnandosi  a raccontarcene in modo rispettoso e assai lindo, ma comunque pensieroso, l'auto-analisi  silenziosa e sconsolata, per cui muta la propria immagine verso sé stesso e verso gli altri, tonificando  muscoli e carattere. Il  regista nero  illustra  poi bene  l'insieme con scelte visive di sicuro  ed originale gusto espressivo, assecondando il più possibile il candore della narrazione, pur in ambienti  che sembrano predestinati alla sventura e alla sporcizia. Ottimi gli attori. Oscar meritato.

angelo sabbadini

martedì sera

L’oscar mistake di Barry Jenkins è un film ambizioso e intrigante tutto giocato su scelte stilistiche che si rifanno esplicitamente al cinema indipendente. Anche a livello di soggetto il film appare interessante per il tentativo di raccontare una sofferta storia di formazione per nulla consolatoria. L’esito complessivo dell'operazione è però diseguale con un evidente calo di tensione al momento dell’epilogo.

carlo caspani

mercoledì sera

Triplice linea narrativa (la famiglia, vera o acquisita, la scoperta della sessualità, l'evoluzione del protagonista) in un film dove la collocazione "in ghetto" (quartiere nero a Miami, spaccio, bullismo) viene programmaticamente rovesciata rispetto ai luoghi comuni cui ci abitua altro cinema di genere (anche i neri sono omofobi...). Per un film americano di oggi sono scelte coraggiose, ma un filo meno di "controllo" avrebbe giovato. Perfino le raffinate scelte di colonna sonora e fotografia rischiano di frenare troppo l'impatto quasi rivoluzionario del racconto

rolando longobardi

giovedì sera

 

giorgio brambilla

venerdì sera

Barry Jenkins costruisce un film su quanto è difficile essere un giovane nero omosessuale in un quartiere degradato di Miami. Il regista usa un ritmo lento e introspettivo e predilige i primi piani e le inquadrature ravvicinate, per portarci nell’interiorità dei personaggi e coglierne i dolori e le contraddizioni. Omette tutte le sequenze che potrebbero raccontare il contesto degradato, come ad es. quelle che dovrebbero raccontare la morte dello spacciatore Juan, o la galera e l’avvio alla carriera di spacciatore dello stesso Chiron, per cui su questi temi ci mancano molte informazioni, con il risultato che lo sviluppo della storia non convince pienamente. In compenso c’è una raffinata ricerca formale delle inquadrature e della musica, proprio perché quello che interessa non è la sociologia del crimine o mostrare quanto difficile sia per un giovane emanciparsi da un ambiente del genere, ma il dramma di un individuo che fatica a scoprire e accettare se stesso e che può, finalmente, riposarsi solo nell’ultima, pacificata, inquadratura, tra le braccia del suo amore giovanile finalmente ritrovato, anni dopo e nonostante il tradimento. Coraggioso